di Federica Tosadori
«Lo so che è solo un esperimento, però…»
«Allora se lo sa dovrebbe smettere di preoccuparsi, signorina.»
«Ho provato a smettere di preoccuparmi, ma davvero non riesco a calmarmi, faccio fatica a dormire la notte, io credo che dovremmo finirla qui.»
«Signorina, il cliente ha pagato, è stata una sua scelta. Se ne vada senza aggiungere altro per favore, se non vuole essere licenziata.»
A passi brevi e decisi Alice esce dalla stanza del capo e cammina velocemente nel corridoio morbido di moquette dell’ufficio. Si dirige verso il bagno sperando di non incrociare nessuno nel tragitto, nessuno che la veda piangere. Si sente una debole, un’incapace, una creatura fragile: sa che non c’è niente di positivo in tutto questo. Nello specchio del bagno riconosce il suo riflesso, si vede piccola negli occhi della persona che le sta davanti, immobile come lei. Si rimprovera di non essere stata più sicura davanti al suo superiore, più decisa, di non essersi abbastanza imposta, di non aver fatto valere la sua posizione, una posizione su cui non potrebbe essere più certa. È tutto sbagliato, quello che la sua azienda, il posto in cui lavora e vive da anni, sta facendo. Si è chiesta più volte che cosa sia “sbagliato”, come abbia deciso, in base a quali categorie mentali, che ciò che sta accadendo sia effettivamente l’opposto del “giusto”. Non si è ancora data alcuna risposta e forse è proprio questo il motivo per cui non è riuscita a far capire al capo che qualcosa deve cambiare. Subito.
Nello specchio la ragazza davanti a lei ha smesso di piangere. Ha dei capelli biondi, lunghi, una frangetta geometrica e delle ciglia lunghissime, chiare, sottili come fili di ragnatela. È bella, glielo dicono fin da quando era una bambina, rotonda e imbronciata, anche quando non le andava bene niente. È bella perché è bella, non c’è modo di spiegarlo altrimenti, è una cosa oggettiva, certa, e nessuno ha mai sentito il bisogno di motivarla. Il principio è lo stesso: l’esperimento è sbagliato, oggettivamente, non si può spiegarne il perché, lo è e basta. Riconosce ora nello specchio quello stesso broncio che le rimproveravano da piccola. Anche ora non le va mai bene niente.
I suoi passi sulla moquette sono diventati tranquilli: è una copertura, nessuno deve sospettare che quella giovane e bellissima ragazza sta per far saltare, in un secondo, l’esperimento da anni in atto.
Aveva avuto nel periodo della sua giovinezza l’impressione di vivere come “tra parentesi”; gli sembrava a volte che ogni cosa fosse un “a prescindere” da altro, una specificazione o una digressione, un qualcosa di escluso, di alternativo rispetto a qualcos’altro. Cosa potesse essere questo qualcos’altro era impossibile da sapere, nemmeno da immaginare, anche se aveva provato a farlo, a fantasticare su cosa fosse quel qualcosa che sentiva di perdere giorno dopo giorno. Non ne ha mai parlato con nessuno di quei pensieri che vorticavano e vorticano rumorosamente dentro alla sua testa, una centrifuga che girando fa rimbalzare fuori ciò che non resta ben saldo al centro. E nel centro, nel punto fermo all’interno della sua testa persiste tutt’oggi quella sensazione, sopita ma fissa, proprio come il perno di una trottola. Adesso è un uomo maturo, crescendo è diventato una persona meravigliosamente equilibrata, costante in tutto ciò che fa. Si rabbuia a volte, quando si rende conto di non aver fissato, come delle scritte su un foglio di carta, il vorticare dei suoi pensieri, tutto quel suo sentirsi in mezzo a delle parentesi, quel suo percepire la vita come una parte di qualcosa di più ampio che è rimasto fuori. Si immagina ancora di prendersi il cervello e di appiccicarlo su un quaderno con del nastro adesivo o su una bacheca con delle puntine: lo osserverebbe da fuori e tenterebbe di capire perché, per quale assurdo motivo sente così tanto il desiderio di risolvere le operazioni all’interno di quelle parentesi tonde, per poter finalmente passare fuori, in altre parentesi forse, ma pur sempre fuori, fuori da sé, sempre più vicino all’esterno estremo. Poi si punisce di questi pensieri perché sa di non poterseli permettere: la sua vita è la perfezione, vive davvero nel migliore dei mondi possibili.
Da anni su questo pianeta dominano pace, ricchezza, benessere. Dopo le profonde e terribili crisi del secolo appena finito l’economia si è come per magia risollevata e quelli che erano prima i “paesi ricchi” sono riusciti a sfamare i “paesi poveri”. Questa distinzione oggi non esiste più: ogni essere umano sulla faccia della terra, dall’Australia alla Russia, dal Giappone al Messico consuma tre pasti al giorno, vive in case dotate di ogni comfort, guarda la tv, accede a internet, viaggia con facilità da un capo all’altro del globo e non ha paura di ciò che è rimasto della criminalità: pochi poveri uomini che impazziscono improvvisamente. Ma stanno già trovando una soluzione, i governi, gli scienziati, le istituzioni. Insomma tutto è in equilibrio, tutto è arrivato al suo culmine e il futuro non terrorizza più nessuno. L’energia è naturale e non c’è rischio di rimanerne senza. Si vocifera anche che abbiano trovato un modo per non far spegnere il sole, mai. La vita si è allungata e i supermercati hanno sempre un’offerta speciale. Tutto il mondo è una grande offerta speciale, un’offerta speciale infinita, speciale non perché valida solo per poco tempo, speciale perché mai nella storia si erano avute condizioni tali da permettere a ogni creatura di vivere come vive ora, speciale in quanto della specie, della specie umana. Il mondo intero è dell’uomo, è speciale come quando si dice a una persona “sei speciale”, speciale come contrario di generale, speciale come eccellente, esclusivo. Esclusivamente per tutti. È capitato molte volte a Dario (-esperimento 267) di dire a una persona “sei speciale”. Anche oggi lo dice quasi ogni giorno alla splendida donna che ha sposato e lo pensa davvero, ne è felice davvero. È felice del suo lavoro, della sua casa, del suo rapporto con i genitori, della sua infanzia, delle aspettative, perfino di se stesso, del suo modo di camminare, di lavarsi i denti, dei suoi stessi denti bianchi, del suo fisico, dei suoi rapporti sessuali. Dario (-esperimento 267) è felice di ciò che ha, del mondo intero in offerta speciale, dei suoi vestiti, perfino dei vestiti degli altri, della filosofia, dell’arte, della temperatura del sole e del colore delle nuvole, quando ci passano davanti, quando coprono il cielo, quando piove, quando tuona, quando prova a non pensare. Ed è per tutto questo che quando si rabbuia e vorrebbe strapparsi il cervello dal cranio contemporaneamente si maledice e finge spudoratamente, vergognosamente, inevitabilmente che non ci sia proprio niente che non vada, perché palesemente non c’è proprio niente che non vada. Spera intimamente che facciano in fretta a trovare la cura alla pazzia, perché teme nel profondo che basterebbe poco per cadere, per smascherare la sua apparente costanza, per rendersi conto che tutto quello che è in offerta speciale è marcio, come una di quelle mele bellissime, piene di vermi.
«Signorina finalmente! Dov’era finita? Deve controllare l’(-esperimento 267).»
«Mi scusi, ho dimenticato l’orologio. Entro subito.»
Basta un ammiccante sorriso e anche il dottore, come tutti gli uomini che ha incontrato nella sua vita, persino il capo, le perdonano qualsiasi cosa. Anche il capo infatti, ne è certa, ha già dimenticato la spiacevole richiesta da lei mossagli poco prima: far terminare quel tremendo esperimento. Tutti si fidano di lei e della sua bellezza che non ha bisogno di spiegazioni. Entra a testa alta nella stanza: su una poltrona l’(-esperimento 267) siede tranquillo e comodo; sugli occhi una maschera; davanti uno schermo, il film della sua vita. Non esiste quella vita, eppure lui la sta vivendo. Alle estreme conseguenze qualcosa che non era reale lo è diventato: è bastato crederci. Dario (-esperimento 267) si era rivolto a quella azienda circa cinque anni prima. Aveva sentito parlare dell’offerta speciale “Vivi nel migliore dei mondi possibili, il tuo!”, e ci aveva provato, non avendo niente da perdere. Aveva accettato di dimenticare tutto e di vivere in quella parentesi perfetta. Certo il costo era alto: tutta la sua memoria e tutto il suo denaro. Ma non aveva niente al di fuori di questo e voleva solo essere felice. Sono oramai cinque anni che l’esperimento va avanti. Dario (-esperimento 267) si è costruito ricordi fittizi, presente fittizio, speranze fittizie, vive nel migliore dei mondi possibili, eppure, eppure qualcosa nella sua mente gli dice quotidianamente che deve stare in guardia, che c’è qualcosa di nascosto, qualcosa che non quadra. Non lo dà a vedere a nessuno, finge, proprio come fingeva prima di avere avuto la possibilità di costruirsi quella realtà virtuale in offerta speciale. Solo Alice, da fuori, se n’è accorta e ha profondamente capito. Ora è lì davanti a lui e sta per spegnere il bottone di quella bugia.
Proprio nell’istante in cui quel mondo perfettamente globalizzato, perfettamente radioso, perfettamente favorevole, perfettamente perfetto si spegne davanti ai suoi occhi, Dario (-esperimento 267) sente di aver risolto l’operazione nella sua testa; capisce improvvisamente di non aver mai cercato nulla più di questo: sentirsi libero da se stesso.
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