di Filippo Bottini
Io ho una deformazione professionale, dati i miei studi di architetto, e quando guardo un’opera d’arte la prima cosa che osservo è il suo rapporto con lo spazio in cui è immersa. Molti artisti lavorano con lo spazio in modo diretto, intervenendo sulla sua percezione con alterazioni sensoriali che ci proiettano in mille mondi psichedelici. Altri lo fanno in modo molto più delicato e subliminale. Un appartenente alla seconda categoria è l’inglese Anthony Gormley.
Quando si parla di spazio è fondamentale avere bene chiara in mente una scala. Basta pensare all’universo per capire che il concetto stesso di dimensione è costantemente mutevole a seconda del sistema di riferimento. Quando noi ci rapportiamo ad una grandezza lo facciamo sempre in base alla scala del nostro corpo. Non a caso il sistema metrico imperiale utilizza delle unità di misura derivate dagli arti di importanti sovrani. Quello che fa Gormley nella sua ricerca è una sorta di passo avanti di questo percorso.
Il mezzo espressivo è prevalentemente la scultura, e questa rappresenta per lo più figure umane, con giochi di scala, matericità e numero. In Field, del 1984, la scultura vede un uomo collocato in una stanza, con le braccia innaturalmente allungate a toccare le pareti laterali. Il corpo nella sua relazione con lo spazio in cui è immerso.
In un’altra opera sempre chiamata Field, del 1993, il pavimento di una galleria è completamente ricoperto da piccole statue di uomini, in un suggestivo gioco di scala.
Another Place è un’installazione del 1997 nella Germania del nord, e vede una moltitudine di statue disperse nella fascia di marea del mare del nord. Si crea così un ambiente regolato dalla dimensione umana dispersa su grande scala e dal contante mutare del livello di marea. Veniamo messi in relazione diretta con la vastità e l’ineluttabilità della natura.
In altre opere lavora sulla smaterializzazione del volume, ricreando la solita silhouette umana con soli stecchi di metallo, fil di ferro, monolitici blocchi di metallo. Gioca con la percettività di una figura a noi familiarissima e che il nostro cervello tenderà sempre a leggere come tale.
Image credits @ Antony Gormley