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Le nuove frontiere della similpelle sostenibile

 La sostenibilità negli ultimi anni è diventata una prerogativa per la maggior parte delle case di moda, le quali si prodigano per risultare innovative e attente ai bisogni del cliente. La pelle rientra tra i materiali più problematici, in quanto nessuna delle sue versioni tradizionali risulta veramente sostenibile a livello etico ed ambientale; infatti si distingue in tre grandi tipologie: la pelle conciata, quella di derivazione animale, l’ecopelle e la similpelle.

La pelle di derivazione animale è particolarmente durevole e resistente, quindi contraria al concetto di “moda usa e getta”. Seppur più del 90% provenga dall’industria alimentare, quindi riutilizzando materiali destinati allo smaltimento, questa soluzione risulta problematica: se si sceglie un prodotto in pelle, si andrà automaticamente a legittimare gli allevamenti intensivi del Brasile e dell’India, da dove deriva la maggior parte dei materiali, e dove le lavorazioni successive risultano deleterie per l’ambiente.

L’ecopelle, che da molti viene confusa con la pelle sintetica, è un tipo di cuoio a ridotto impatto ambientale, che rispetta i requisiti della norma UNI 11427:2011, la quale definisce alcuni standard minimi del prodotto e del processo di produzione, come la limitazione dell’utilizzo di alcune sostanze chimiche. Questa può risultare la soluzione più convincente in termini di sostenibilità ambientale ed etica.

In ultimo, la similpelle è un materiale sintetico che imita l’aspetto della pelle naturale; questa può essere ottenuta in due modi: con supporti di tessuto, come il cotone o il poliestere, su cui vengono spalmate resine poliuretaniche, oppure realizzata totalmente in materiale sintetico senza l’utilizzo di una base. Il materiale risulta meno durevole e resistente rispetto alla vera pelle; inoltre, al contrario del cuoio naturale, la pelle finta è altamente inquinante in quanto è difficile da smaltire: per la similpelle il tempo di degradazione raggiunge i cento anni.

Negli ultimi anni, mossi dalla presa di coscienza ambientale ed etica, sono state studiate diverse alternative alle classiche tipologie di pelle.

In primo luogo bisogna ricordare come il mercato del vintage possa rappresentare una soluzione economica e sostenibile, in quanto non immette nessun nuovo prodotto sul mercato.

La seconda alternativa riguarda la pelle riciclata, o rigenerata: gli scarti di produzione della pelle naturale vengono finemente tritati e mischiati ad altre componenti, come la gomma, pressati e lavorati in modo da ottenere un prodotto finale simile alla pelle naturale. Recyc Leather e ELeather sono le due principali case di produzione di pelle rigenerata: la prima assembla gli scarti di produzione di guanti, ottenendo un materiale adatto alla piccola pelletteria, mentre la seconda impiega il suo prodotto nell’industria automotive. Alcuni grandi brand hanno utilizzato la pelle riciclata per le loro capsule collection: la più famosa è Flyleather di Nike.

Esistono però alcuni piccoli marchi che utilizzano questo materiale per gran parte dei loro prodotti: Juta Shoes, brand londinese che ricicla scarti di produzione delle industrie vicine per confezionare scarpe, in particolare espadrillas; Better World Fashion, che con il suo motto “This jacket used to be something else”, produce giacche, borse e accessori in pelle riciclata. Un progetto particolarmente interessante è quello di Remade, che distingue i suoi prodotti in “remnant made”, confezionati con pelle imperfetta, rifiutata dalle industrie di alta moda, mentre i “remade to order” sono prodotti, generalmente borse, ottenute con giacche inviate dalla stessa cliente: pezzi unici ispirati alla personalità del singolo acquirente.

Nella terza alternativa ricadono tutte quei materiali ottenuti attraverso la lavorazione di scarti di produzione di altre industrie, in particolare quella alimentare, e che mirano ad assomigliare a livello estetico alla vera pelle. Uno dei prodotti più famosi è il Pinatex, che impasta la fibra delle foglie di ananas e le spalma su una base di tessuto. La materia prima viene reperita nelle Filippine, dove vi sono grosse coltivazioni di ananas: oltre a risultare sostenibile a livello ambientale, lo è anche da un punto di vista etico in quanto supporta le comunità rurali del posto. Grossi brand hanno confezionato capsule collection con il Pinatex, come Hugo Boss e H&M, ma anche marchi di nicchia come gli orologi di Votch, le borse di Eve + Adis e di Ina Koelln.

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Un progetto tutto italiano è quello di Vegea, un’azienda milanese fondata nel 2016 basata sullo sviluppo e l’integrazione tra produzione agricola e tessile; in particolare produce poliuretano a base bio, derivato dalle vinacce, uno scarto della lavorazione vinicola. Anche altre realtà produttive si concentrano sulla cooperazione tra queste due industrie: Happy Genie sfrutta gli scarti di succo di mela per produrre borse ed accessori in similpelle, mentre Grado Zero Innovation ha ideato MuSkin, una pelle derivata dal fungo Phellinus ellipsoideus: il risultato è un materiale dall’aspetto poroso, simile al camoscio.

Sono diverse le case di moda che hanno adottato il sughero come alternativa alla similpelle: dal plantare delle ciabatte Birkenstock, alle borse di Corkor. Allo stesso modo, la pelle vegan di Nuo, derivata dalla lavorazione delle fibre del legno, è applicata in diversi campi: automotive, arredamento e ovviamente all’abbigliamento ed accessori; il materiale viene reso unico grazie alle sue incisioni e alle diverse texture.

Se la pelle derivata da scarti di produzione e fibre naturali può sembrare qualcosa di estremamente avanguardistico, l’ultima alternativa è addirittura fantascientifica: Modern Meadow ha ideato ZOA, una pelle naturale creata e “coltivata” in laboratorio. Questo annulla totalmente l’impatto ambientale e lo sfruttamento di qualsiasi animale, senza però rinunciare a tutte le caratteristiche positive della vera pelle. L’idea è rivoluzionaria, tanto che uno dei primi modelli di t-shirt confezionati in pelle e cotone da laboratorio è stato esposto al MoMA di New York.

Le soluzioni alternative alle tipologie di pelle più tradizionali sono infinite: tantissime start-up stanno ricercando e ricavando fibre sempre diverse da impiegare nel campo del tessile e dell’abbigliamento, in modo da ridurre sempre di più l’impatto ambientale dell’industria della moda. Ad oggi le scelte sono molteplici, ed il futuro non potrà che sorprenderci con idee sempre nuove e sempre più sostenibili.

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