L’epica della sconfitta ne “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway

Fernanda Pivano ravvisava ne Il vecchio e il mare l’epopea dello sconfitto-vincitore, dell’uomo che, nonostante tutte le battaglie e i numerosi sforzi, non trionfa mai ed esce vittoriosamente sconfitto: l’importante, però, è la costanza che concorre alla possibilità, nell’ottica di Ernest Hemingway, di raggiungere la vittoria nella sconfitta. Il pescatore protagonista de Il vecchio e il mare, Santiago, dunque, è un trionfante perdente. Il vecchio e il mare tradisce, per così dire, l’impianto del romanzo ottocentesco tradizionale, in cui l’eroe usciva vincitore dalle avventure o dalle sfide, dopo aver dato prova del suo valore.

Sapeva benissimo di aver scritto un libro molto bello: lo scrisse al suo editore Scribner, o per meglio dire al funzionario che li faceva da intermediario, dicendogli che non voleva sottolineare le virtù o le implicazioni del racconto ma sapeva che era la più bella cosa che avesse scritto in vita sua e gli pareva che potesse fare da epilogo a tutto quello che aveva imparato o cercato di imparare mentre scriveva e cercava di vivere.

Il sugo della storia è piuttosto semplice: Santiago è un pescatore anziano di Cuba, la cui pelle è abbronzata e rovinata dall’eccessiva esposizione al sole; ha come giovane apprendista Monolo, il suo unico amico. A causa di un’improvvisa penuria di pesci nell’oceano, che, a quanto pare, ha colpito esclusivamente la barca del vecchio, i genitori di Monolo insistono affinché il ragazzo peschi su un’altra barca. Inizia, così, il viaggio in solitaria di Santiago caratterizzato dal sapore epico-omerico e dalla sconfitta annunciata, affrontati dal pescatore con estremo coraggio e un sentimento di simbiosi con il mare e con i suoi abitanti, seppur prede.

Un’avventura, dunque, a dir poco atipica: infatti, man mano che Santiago si addentra nell’inseguimento del pesce, che poi riesce a catturare, egli va sempre più identificandosi con il suo nemico, che ammira e rispetta e, proprio per questo, continua a desiderare di prendere con l’amo. Le pagine apparentemente statiche che narrano l’inseguimento del pescatore hanno come unica ambientazione – a tratti statica – l’oceano con la sua sterminata distesa d’acqua, che amplifica la solitudine di Santiago, ma lo avvicina anche spiritualmente al suo nemico, identificato come suo unico sventurato compagno oltre che come preda. Ci sono loro due in mezzo alle acque sconfinate.

Il rapporto instaurato con l’animale supera ogni confine di lotta e supremazia tra mondo umano e quello della natura, forse perché Santiago è consapevole, nonostante tutti i suoi sforzi, di non aver alcuna speranza di uscirne vincitore. Da qui la saggezza del personaggio hemingwayano e il suo rispetto per l’essere ancestrale che insegue.

Voglio vederlo, pensò, e toccarlo e sentirlo. È la mia fortuna, pensò. Ma non è per questo che voglio sentirlo. Credo di aver già sentito il suo cuore, pensò.

hemingway

Non c’è nulla di meramente violento o di ricerca del sangue fine a sé stesso nella narrazione hemingwayana: la tesi della Pivano, inoltre, concorre a ridelineare l’immaginario collettivo dello scrittore come di un uomo che, nel profondo, non amava la violenza politica, militare e perfino sportiva che facevano leva sulla sopraffazione per l’affermazione del singolo.

Tutto ciò probabilmente risulta molto lontano dall’immaginario comune che molti lettori potrebbero avere dell’ Ernest Hemingway scrittore, cacciatore e pescatore, che, però, risultava avulso dalla violenza strumentalizzata dalla vita politica e militare e intrisa di soprusi e repressioni: lo scrittore, infatti, è sempre stato dalla parte degli ultimi e non per i potenti. Questi ultimi sfruttano il patriottismo dei cittadini semplici per spingerli ad andare in guerra, tema ossessivamente ricorrente nelle opere dello scrittore raccontate, però, non dalla parte delle alte sfere della gerarchia militare, bensì dalle prime file, quelle dei soldati semplici.

Vorrei essere il pesce, pensò, con tutto quello che ha da contrapporre alla mia volontà e alla mia intelligenza, che sono l’unica cosa che ho.

Si è molto discusso in merito al simbolismo latente nel romanzo, la cui vera forza consiste esclusivamente nell’azione che anima l’intera vicenda di Santiago. Infatti, le parole di Bernard Berenson concorrono ad accreditare:«Nessun vero artista scrive simboli o allegorie – e Hemingway è un vero artista – ma ogni vera opera d’arte emana simboli e allegorie. Così avvenne per questo breve ma non piccolo capolavoro». Non a caso, l’opera fece ottenere a Hemingway il Premio Pulitzer nel 1953 e, nel 1954, il Premio Nobel per la Letteratura. Dunque, un romanzo, Il vecchio e il mare, così travolgente e ammaliante per la sua potenza ed epicità a tal punto, a lettura conclusa, non ci si può non sentire vuoti dentro.

FONTI

Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare, Milano, Mondadori, 2011.

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