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Cover Gallery: copertine da esposizione (II parte)

Prosegue il viaggio de «Lo Sbuffo» alla scoperta delle copertine realizzate da grandi artisti. Dopo Andy Warhol per i Velvet Underground e Robert Rauschenberg per i Talking Heads, che trovate qui, il percorso continua verso un’altra corrente artistica da sempre legata alla musica: la street art.

La street art si sviluppa dalla cultura dei graffiti, nata a partire dagli anni Sessanta e affermatasi negli anni Settanta grazie alla diffusione delle bombolette spray con cui venivano effettuati tag e writing. A differenza dei graffiti, la street art utilizza un linguaggio più figurativo, che combina le influenze pop del periodo ad un intento di protesta e ribellione. Una modalità di espressione che permette di comunicare la propria rabbia e indignazione verso determinati fenomeni quali razzismo, crisi economiche o guerre, che raggiunga tutti e sia perennemente visibile, ma allo stesso tempo estemporanea ed effimera.

Con delle premesse simili, la street art non poteva che andare d’accordo con la musica. E così fu. Le collaborazioni sono numerose, ma partiamo da uno dei più celebri esponenti della corrente: Keith Haring.

Keith Haring e i suoi omini radioattivi

L’iconografia di Keith Haring è inconfondibile: omini stilizzati e colorati di tonalità accese e brillanti, contornati da spesse e continue linee nere. L’artista iniziò a disegnarli nelle metropolitane di New York negli anni Ottanta, quando nacque il famoso Radiant Baby, ispirato al movimento cristiano Jesus Movement e che l’artista definisce come

The purest and most positive experience of human existence.

Il Radiant Baby, denominato anche Radiant Child o Radiant Christ, viene inserito spesso nelle opere dell’artista, ora come iconografia di Gesù, in un’opera rappresentante la natività, ma anche come simbolo contro gli armamenti nucleari. È proprio da questi omini radioattivi che nasce la copertina del singolo Without you di David Bowie, contenuto nell’album Let’s Dance del 1983. Bowie era un grande estimatore dell’opera di Haring, tanto che ne collezionava le opere, così come Elton John e Andy Warhol.

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Quella di Bowie non fu l’unica cover realizzata dall’artista, che fece anzi una decina di copertine durante la sua carriera. Nello stesso anno realizzò infatti la copertina di Rap it, una compilation hip hop, raffigurando due conigli intenti a rincorrersi e quella di Life is something special, dei NYC Peach Boys. È’ del 1986 invece la copertina di Someone like you, pezzo del cantante disco Sylvester. Anche in questo caso gli omini restano elemento ricorrente, questa volta rappresentati danzanti durante un concerto.

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Banksy

Facendo un salto in avanti di qualche anno, altra icona della street art ad aver collaborato alla realizzazione di alcune copertine è Banksy. Se la sua identità non è ancora nota al pubblico, certamente lo sono le sue opere dallo stile satirico e inconfondibile, realizzate con intento di protesta e denuncia verso le crudeltà della guerra, l’assurdità della società contemporanea e altre importanti tematiche sociali su cui dirigere l’attenzione pubblica. La prima copertina alla quale collabora rientra proprio nel campo semantico della guerra, raffigurando un carro armato sovrastato da un megafono nel disco Cut Commander dei Onecut.

Le collaborazioni più celebri sono però quelle con la band britannica Blur, di cui Banksy raffigura l’album Think tank (2003) e i due singoli Out of Time e Crazy beat. La copertina dell’album rappresenta una coppia intenta ad abbracciarsi con in testa il casco utilizzato dai palombari, che ne ostacola la comunicazione. Out of time invece ci mostra una coppia con degli ingranaggi sulla schiena che permettano loro di ricaricarsi come carillons. Crazy beat, infine, è un ritratto satirico della famiglia reale inglese, affacciata al balcone, ma con i volti sostituiti da delle maschere da clown. Una differente versione di quest’ultimo disegno era stata realizzata anche sui muri di Londra, nel quartiere di Hackney, dai quali è stata cancellata dopo 8 anni.

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Commerciale, ma non disprezzabile

La decisione di Banksy di realizzare delle opere a fini commerciali ha destato parecchie sorprese, considerando quanto sia restio a questo genere di operazioni. A questo proposito, ha affermato:

I’ve done a few things to pay the bills, and I did the Blur album. It was a good record and [the commission was] quite a lot of money. I think that’s a really important distinction to make. If it’s something you actually believe in, doing something commercial doesn’t turn it to shit just because it’s commercial.

L’opera da cui è tratta la copertina del disco è stata battuta all’asta nel 2006 al valore di 62.400£. Il vero record consiste nella vendita di un’altra immagine realizzata per l’album, data nel 2013 alla cifra di $ 516.120.

Alla prossima, con la terza (e ultima) parte dedicata alle copertine più iconiche della cultura pop, con Jeff Koons e Damien Hirst!

 

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