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Cambiamento climatico: come i media sbagliano a raccontarlo

Il cambiamento climatico è la storia più grande dei nostri tempi e i media, specialmente quelli tradizionali come giornali e televisione, non sono in grado di raccontarla in modo adeguato. Nonostante l’interesse per le tematiche ambientali sia cresciuto negli ultimi anni nei cittadini di tutto il mondo, come dimostrano per esempio le molto partecipate marce per il clima e i successi in diversi Paesi dei partiti verdi alle elezioni, i media parlano di cambiamento climatico male e molto poco, per lo meno in relazione alla complessità del problema.

Solo guardando alcune cifre, ci si rende conto quanto bassa sia la copertura da parte dei media tradizionali sulle tematiche ambientali. Anche l’Italia segue questa tendenza globale. Il rapporto Eco-media 2018, realizzato dall’Osservatorio di Pavia e da Pentapolis Onlus, osserva come i sette principali telegiornali nazionali abbiano dedicato alle tematiche ambientali appena il 9% del totale delle notizie, in calo rispetto all’11% del 2017.

Questo fallimento dell’informazione è legato al fallimento della politica a livello mondiale nel trovare soluzioni valide per arginare gli effetti più catastrofici del cambiamento climatico. Della necessità di arginare il cambiamento climatico se ne parla già dagli anni Ottanta, ma i mezzi di informazione per tutto questo periodo non sono stati in grado di raccontare correttamente il cambiamento climatico. La crisi climatica è in relazione anche alla crisi della comunicazione e dell’informazione, vale a dire il peggioramento delle condizioni generali del discorso pubblico. Questo processo è iniziato negli anni Ottanta ed è dovuto tra le altre cose alla pressione sempre maggiore degli indici di ascolto e all’aumento della disinformazione.

Uno dei vizi più gravi dell’informazione ambientale è dare l’impressione che il cambiamento climatico sia ancora una questione dibattuta all’interno della comunità scientifica, quando ormai il consenso degli scienziati a livello mondiale sul fatto che sia in corso un riscaldamento globale provocato da fattori umani ha raggiunto il 100% nel 2019, dopo essere rimasto al 97-98% per anni. L’informazione, nel parlare di riscaldamento globale, tende a fare dibattiti dove presenta la posizione di uno scienziato e quella di un negazionista. Il giornalismo pensa che uno dei doveri che deve avere nel presentare i fatti è quello dell’equidistanza, quindi offre una controparte. Tuttavia, nel caso del dibattito sul cambiamento climatico è un’assurdità. Il problema è che questi non sono dibattiti equilibrati perché danno lo stesso peso a una posizione molto rilevante e una molto marginale.

Un altro errore che molti giornali commettono è raccontare solo gli aspetti scientifici della crisi climatica, spesso relegandola ad argomento di secondaria importanza, di cui solo i giornalisti scientifici si devono occupare. Per questa scelta editoriale vi è una carenza di analisi delle implicazioni sociali, economiche, politiche, psicologiche e storiche del riscaldamento globale: non si tratta di un argomento riservato agli esperti o solo a una parte degli schieramenti politici, ma riguarda tutti quanti allo stesso modo. Un’altra tendenza molto diffusa è raccontare la crisi climatica come qualcosa che può essere risolto con le rinunce dei singoli individui. Certamente impegnarsi per ridurre quanto più possibile il proprio impatto è un gesto che tutti possiamo fare, ma questo approccio nella narrazione non permette di capire che sono la collettività e la classe politica che devono agire per limitare gli effetti della catastrofe climatica. Questo tipo di discorso, spesso accompagnato da una generalizzazione della colpa, nasconde i responsabili della crisi e chi ne trae vantaggio, come i politici che impediscono una concreta azione e le grandi aziende petrolifere dei Paesi sviluppati. Multinazionali come la Exxon sono al corrente degli effetti catastrofici del riscaldamento globale da decenni e da allora hanno condotto una campagna di disinformazione.

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Il cambiamento climatico non è solo la storia più urgente del nostro tempo, ma anche la più difficile da raccontare. Si tratta di un fenomeno che, per essere narrato adeguatamente, richiede di cambiare le convezioni giornalistiche, perché non è ascrivibile alle tradizionali categorie dell’informazione, richiede un approccio più organico. Il sociologo Marcel Mauss definisce il riscaldamento globale come un “fatto sociale totale“, proprio perché ha ripercussioni su ogni aspetto della vita individuale e collettiva. Nonostante queste difficoltà, è dovere dei media informare i cittadini su uno dei processi che più definisce il nostro tempo e che sempre di più lo farà in futuro. Stimolare gli organi di stampa a un diverso approccio nella trattazione dell’ambiente, secondo molti studiosi, porterebbe a un circolo virtuoso di cittadini più informati, che porterebbe a sua volta a una maggiore attenzione da parte della politica alla sfida del cambiamento climatico.

Qualcosa per fortuna sembra essere migliorato negli ultimi anni nell’approccio dei media nel parlare di cambiamento climatico. La BBC, uno dei più famosi e rispettati organi di stampa a livello mondiale, nel settembre 2018 ha riconosciuto gli errori che ha compiuto in passato nel parlare di cambiamento climatico e ha mandato a tutti i suoi giornalisti un vademecum con rigide linee guida. Uno dei punti principali di questa lista di parametri è proprio smentire la falsità dell’equidistanza e dell’imparzialità  di questi dibattiti:

To achieve impartiality, you do not need to include outright deniers of climate change in BBC coverage, in the same way you would not have someone denying that Manchester United won 2-0 last Saturday.

Per raggiungere l’imparzialità, non c’è bisogno di includere negazionisti aperti del cambiamento climatico nella copertura BBC, allo stesso modo in cui non avresti mai qualcuno che nega che il Manchester United ha vinto 2-0 lo scorso sabato.

Un altro esempio virtuoso proviene sempre dal Regno Unito, per la precisione dal quotidiano «The Guardian». Nell’ottobre 2019 il giornale britannico ha pubblicato la sua dichiarazione di impegno per raccontare la crisi climatica (climate pledge), affermando di voler rimanere in prima linea nel raccontare la catastrofe ambientale in corso. Gli editor del «Guardian» hanno promesso ai propri lettori di raccontare come il riscaldamento globale sta avendo già ora effetti gravi sotto diversi aspetti, non solo quello ambientale, usando un linguaggio che renda conto della gravità della situazione. Inoltre, il quotidiano si impegna a raggiungere zero emissioni in rete entro il 2030. Anche l’Italia offre esempi virtuosi di informazione ambientale: il canale all news di Sky, Sky TG 24, ha iniziato nel 2017 la campagna “Un mare da salvare”, focalizzata sul problema dell’inquinamento da plastica nei mari.

FONTI

Daniel Pelletier e Maximilian Probst, I sette peccati capitali del giornalismo, Internazionale n° 1323 (6 settembre 2019), pagg. 40-46

valigiablu.it

lifegate.it

carbonbrief.org

theguardian.com

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