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“Richard Jewell”: l’eroe reietto

Richard Jewell, nelle sale dal 16 gennaio 2020, è il nuovo film diretto da Clint Eastwood. È un film di genere drammatico, che si ispira alle vicende biografiche del poliziotto statunitense Richard Jewell, focalizzandosi sui fatti di Atlanta 96’.

Clint Eastwood

Clint Eastwood ritorna sulla scena, due anni dopo Ore 15:17 – Attacco al treno, sfondando quota sessanta film in una carriera leggendaria come attore e regista. Il suo palmares conta 5 premi Oscar, di cui 2 da miglior regista. Tra i suoi capolavori: Fuga da Alcatraz, Gran Torino e American Sniper. Da attore svolta con la Trilogia del dollaro di Sergio Leone: Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo, iconici film western.


È definito come l’anti-autore perché nei suoi film i personaggi incarnano spesso i suoi ideali, ma altrettanto spesso finiscono per fallire. Il processo di cambiamento è evolutivo: i protagonisti partono con delle ferree convinzioni che cambiano gradualmente durante un confronto con la realtà. Clint Eastwood fa dei conflitti ideologici il suo terreno fertile, e della logica dialettica il suo modus operandi, come in Richard Jewell.

Richard Jewell e Atalanta 96’

Atlanta 96’ è il nome con cui sinteticamente si fa riferimento alla XXVI edizione dei giochi olimpici, tenutasi nell’omonima città statunitense. Questa più di altre ha richiamato l’attenzione mondiale: la prima a cui partecipano 12 nazioni dell’ex URSS, in terra americana, oltre a rappresentare le “Olimpiadi del Centenario“. Si calano in questo contesto gli eventi più rilevanti della vita di Richard Jewell, interpretato da Paul Walter Hauser, che durante le Olimpiadi svolge il ruolo di guardia della sicurezza.

I primi minuti servono a delineare l’essenza del personaggio: Richard è un uomo goffo, non molto socievole e che passa facilmente inosservato. È maniacale nel raccogliere informazioni; restare nell’ombra gli permette di rovistare nei cestini e nei cassetti altrui. Origlia conversazioni e appunta tutto meticolosamente su un taccuino. Complice il non essere un tipo sveglio, troppo zelante, timido e impacciato non viene mai preso sul serio e l’unico che lo tratta da essere umano è l’avvocato Watson Bryant (Sam Rockwell), che lo considera inizialmente solo un conoscente.

L’attentato e il finto eroe

Durante il turno da guardia della sicurezza per le Olimpiadi, nota uno zaino sospetto. Nonostante la noncuranza di colleghi e poliziotti, decide di seguire il protocollo e richiedere l’intervento degli artificieri. Il controllo è positivo: lo zaino contiene un ordigno. Richard è il primo a prodigarsi nel salvare gli altri, mettendo più volte a rischio la propria vita, tanto da meritarsi l’appellativo di eroe nei giorni successivi.

Nel proseguo delle indagini Richard però finisce nell’albo dei sospettati. L’FBI ritene ci siano i presupposti per pensare a un finto eroe. Il profilo che gli agenti delineano è estremamente coerente con quello messo in scena. Si tratta di un uomo ignorato dalla società che vive ancora con la madre, col sogno infranto di diventare un poliziotto, ossessionato dalle regole e ritenuto un maniaco del controllo. La coerenza tra questo profilo e il taglio dato al personaggio rende estremamente credibile tutto l’arco narrativo ed è uno dei meriti del film.

Il contrasto emotivo: la colpevolezza di Richard Jewell

I fatti su cui è dato maggior focus, gli equivoci mostrati, le trame parallele e i dettagli che all’inizio sembrano superflui confluiscono tutti perfettamente nel momento dell’accusa. La tecnica richiama la commedia e la scelta di riadattarla al dramma è vincente. Il protagonista stesso attraverso le proprie convinzioni e una spontaneità ingenua riesce ad alleggerire la tensione nei momenti di piena. Tutto ciò crea un contrasto emotivo necessario per portare lo spettatore dalla propria parte.

Richard è colpevole, lo è per chiunque. È colpevole per l’FBI che ha bisogno di trovarne uno al più presto ed è colpevole per i giornalisti che attraverso la notizia vendono e ottengono notorietà. È colpevole per la società, che a differenza dello spettatore non vede il retroscena, soggiogata dalle due grandi forze: la stampa e il governo americano. Risulta quindi necessario guidare lo spettatore, illuminarlo, mostrargli quanto è facile fare di un innocente un colpevole, quanto è frustrante che decine di uomini possano guardare nei tuoi effetti personali e trasportare davanti ai giornalisti in mondovisione l’intimo di una madre. Con le sequenze giuste e dialoghi da standing ovation, Clint Eastwood riesce fare touché, a toccare tutte le corde. Da applausi.

Kathy Bates come madre di Richard

Una menzione a sé la ottiene la madre di Richard (Kathy Bates), Barbara, che commuove col suo dolore. Un dolore specifico, quello di una madre, che culmina in un discorso al presidente degli Stati Uniti e in un pianto liberatorio. L’interpretazione vale l’unica nomination agli Oscar per il film.

 

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