Lo spirituale nell’arte contemporanea

arte contemporanea
Petr Pavlensky

L’arte contemporanea ci ha abituati ad assistere a opere che lo spettatore comune definisce strane, oppure che sfiorano l’estremo e che spingono l’artista fino ai limiti della sua stessa vita. Artisti come Hermann Nitsch e Marina Abramović hanno reso questo principio il proprio luogo dell’essere, facendo del rischio l’ispirazione e dell’estremo la natura dell’arte. Dunque, quando si parla di performance art estreme, ormai non si sa mai cosa aspettarsi.

Qual è il limite tra arte e pazzia?

Per esempio, nel 2013 l’artista russo Petr Pavlensky, in segno di protesta contro la linea politica adottata da Putin, si reca completamente nudo nella Piazza Rossa di Mosca. Lì, proprio dinanzi al mausoleo di Lenin, si siede a terra e si inchioda (letteralmente) i testicoli al suolo, restando in quella posizione per circa un’ora e mezza. Lui stesso intitola l’opera L’apatia, l’indifferenza verso la politica e la passività della società russa.

Ora, appare chiaro che se non si specificasse la connotazione di artista, chiunque considererebbe quel gesto una pazzia. Inoltre, se l’artista non avesse esplicitamente dichiarato che si trattava di una performance artistica, con un’idea specifica e una finalità di base, tutti l’avrebbero considerato un folle.

In questo caso si tratta chiaramente di un’azione estrema, davvero scandalosa. Anche se, come diceva Pasolini: “scandalizzare è un diritto”. Da questo esempio emerge però un aspetto che caratterizza, più o meno, una buona parte degli artisti contemporanei (soprattutto i cosiddetti performer artists). È la tensione continua tra materia e spirito, tra sopportazione e dolore, esemplificati nell’atto di spingere il proprio corpo fino ai limiti del sopportabile, fino alla soglia del vivere.

Tra Concettualismo e Performance Art
spirituale nell'arte
Marcel Duchamp, Fontana (1917)

È curioso notare come tale caratteristica sia tipica dei rituali tribali delle popolazioni autoctone. Il sacrificio, lo stato di trance, la condizione di temporanea ipnosi, lo stato di vulnerabilità. Sono tutte condizioni che caratterizzano le cerimonie tribali, dove l’elemento comune di fondo è proprio il coinvolgimento e l’abbandono della corporalità a beneficio della spiritualità. Sembra paradossale, ma a pensarci è anche logico che l’elevazione a una condizione spirituale nell’arte debba passare dal coinvolgimento del corpo.

Proprio questo aspetto apre un dibattito assai interessante sull’arte contemporanea e sugli sviluppi che essa ha avuto nei decenni recenti. Da un lato si assiste all’epopea del concettualismo mentre dall’altro è  la Performance Art a essere protagonista del palcoscenico artistico contemporaneo.

A pensarci bene, questa polarizzazione artistica tra concetto e performance, tra il primato della mente e il coinvolgimento totale del corpo, apparirebbe molto antitetica. Tuttavia i due aspetti sono proprio due facce della stessa medaglia. Entrambi, infatti, mirano a un unico punto di convergenza: l’idealità, ovvero il primato dell’idea.

Lo spirituale nell’arte e la sua mercificazione
lo spirituale nell'arte
Maurizio Cattelan

Nell’arte contemporanea sembra esserci una certa propensione a rifiutare l’oggettivazione: ciò avviene nelle opere concettuali. Ad esempio, l’oggetto artistico viene trasceso dal concetto, dall’idea, così come nella Performance Art il corpo viene trasceso dallo spirito e dall’idea che feconda il gesto artistico.

L’aspetto interessante è proprio che per trascendere la materia (che si tratti di un corpo o di un oggetto) si deve passare necessariamente attraverso la materia stessa. Come se materia e idea dipendessero l’una dall’altra e fossero, in un certo senso, complementari.

È esemplare che gli artisti cerchino in continuazione questo rifiuto dell’oggetto proprio in un periodo storico-culturale come il nostro, nel quale sembra esserci una sorta di apoteosi dell’oggetto, dell’elemento materiale e concreto. Dove filosofi e teologici denunciano in continuazione la perdita della dimensione spirituale nella civiltà occidentale. 

Lungi dal fare considerazioni politiche o ideologiche, è però un dato di fatto che oggi, più che mai, ciò che prevale su tutto è l’oggetto di consumo. Prevale così tanto questa mercificazione che pure le stesse opere d’arte pare siano diventate, in un certo senso, oggetti di consumo. Si può osservare ciò ogni qual volta ci si imbatte in un turista che, entrato in una pinacoteca, inizia, tutto indaffarato, a scattare voracemente fotografie a qualsiasi quadro o opera si trovi dinanzi. 

La non durabilità della performance artistica
La performance artistica

Non si potrebbe forse interpretare questa esauribilità performativa di gesti come la più chiara e limpida testimonianza della volontà disperata di riaffermare lo spirituale nell’arte contemporanea? Sono Proprio quella sacralità e quella spiritualità che sono così centrali nei rituali tribali e che servirebbero così tanto in un epoca come la nostra, fossilizzata nel consumo. Ma per adesso lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.

Un’altra caratteristica fondamentale delle performance dell’arte contemporanea è la loro non-durabilità. È importante infatti tener presente che, trattandosi di performance, non si parla di opere d’arte durevoli, né di oggetti artistici, ma di gesti. Sono azioni, movimenti che costituiscono l’opera e che, in quanto tali, si esauriscono con l’opera stessa e quindi sono irriproducibili, effimeri, nichilistici. 

 


FONTI

Artecracy

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