L’uomo in cerca di se stesso in Otto e Mezzo di Fellini

Sono passati cinquantasette anni dall’uscita di uno dei più grandi capolavori di Federico Fellini, Otto e mezzo, con protagonista Marcello Mastroianni nei panni di un regista stanco della vita. Eppure il film presenta ancora un’attualità sconcertante dove viene messa in risalto l’individualità dell’uomo protagonista del grande boom economico dell’Italia degli anni Sessanta, in quel mondo sempre in corsa dove l’uomo diviene oggetto di smarrimento.

Otto e mezzo racconta la storia Guido Anselmi, un affermato regista di quarantatré anni che sta elaborando il suo prossimo film. Egli si trova a trascorrere un periodo di riposo in una stazione termale dove cerca di  coniugare i propri problemi fisici con quelli della produzione del film, messa a dura prova dal suo spirito creativo che sembra essere inaridito e non riesce a dare una direzione chiara al suo progetto cinematografico. Oltretutto, ai suoi problemi professionali si aggiungono quelli sentimentali, e ben presto Guido viene assalito da una vera e propria crisi esistenziale. Questa viene alimentata anche dalle continue domande sul film in progetto da parte dei suoi collaboratori.

Tutto ciò non fa che renderlo consapevole di quello smarrimento che egli si porta dentro da anni e che le cure dell’esistenza quotidiana e del lavoro avevano in parte mascherato. La trama poi continua con varie vicissitudini e varie scene che rivelano la personalità contorta e disturbata del regista.

Emblematica è la scena con Paolina, una bambina che cerca di comunicare a gesti con Marcello sulla spiaggia; il saluto finale tra i due è simbolico: un addio alla giovinezza, alla spensieratezza, alla purezza che Guido (Marcello Mastroianni) conserva solo nei suoi ricordi. Alla fine, egli decide di abbandonare la regia del film comunicandolo durante una conferenza stampa: se non si ha nulla di nuovo da rappresentare, meglio scegliere il silenzio. Ma proprio quando tutto sembra essere finito, Guido ha finalmente la percezione di quello che gli accade intorno, tutte le persone che ha conosciuto e che con lui hanno percorso la strada della vita, nel bene e nel male, sono parte di lui.

Otto e mezzo viene portato nelle sale cinematografiche nel 1963, tre anni dopo l’assegnazione dell’Oscar al film La dolce vita, dove Fellini mette in scena quelle vite vuote e apparenti dei vip di Via Veneto, mentre è alle prese con Boccaccio ’70.

La dolce vita vede protagonista ancora una volta Marcello Mastroianni nei panni del giornalista Marcello, che a Roma frequenta il mondo squallido ma allo stesso tempo affascinante dell’alta borghesia e dell’aristocrazia mondana. La movida si trova a Via Veneto, che appare come il centro dell’universo e tutti i riti che vi si compiono sono all’insegna dello spreco e del cinismo. Nella capitale i fatti e le vicende si susseguono senza sosta: l’arrivo della diva straniera Sylvia, la visione della Madonna in una borgata, la visita del padre, l’amicizia con l’intellettuale Steiner. Marcello è assorbito, suo malgrado come tutti i borghesi, da un lavoro che non ama. Un circo dove le protagoniste sono le vite fatte di apparenza.

Si potrebbe ipotizzare che le protagoniste de La Dolce Vita siano poi racchiuse in un altro baraccone che è quello di Otto e mezzo: di uomini che attorniano il regista come se fosse un danza tribale dell’amante schiacciata dalla banalità della vita. Ella esclama “Almeno mi voi bene?” riferendosi a Guido, come per dire “se mi dici mi vuoi bene mi accontento, non voglio il ti amo”, per la paura incessante di rimanere sola al mondo, come solo è lo stesso Guido.

L’intento del film è altissimo, quello che viene rappresentato forse è lo specchio di una generazione prossima alla morte, o forse la solitudine di ogni uomo dentro un mondo pieno di incontri e persone, o forse ancora l’analisi della paura di se stessi. Tutto questo converge in un’unica figura: un regista che cerca un senso alla sua vita e che si vede realizzate le proprie paure interiori: più in generale le paure di ogni uomo, come per esempio quella di non realizzare i propri progetti o i propri sogni.

Fellini

Altri sono i temi che emergono durante la visione di questo grande capolavoro, e molte ipotesi sono state fatte circa le fonti che Fellini ha utilizzato per la sceneggiatura del film: egli va dall’Ulisse alla ricerca del proprio mondo interiore (James Joyce), alle terre desolate (Thomas Stearn Eliot), alla ricerca proustiana di un passato apparentemente sepolto, ai labirinti kafkiani e alle senilità Sveviane. Tuttavia Fellini a domande come “Non crede che il suo personaggio sembra essere uscito da un romanzo di Joyce?” ha sempre risposto “Non ho letto Proust, non ho letto Joyce, non so un cazzo di niente”; come il sogno in chiave Freudiana, che rivela a Guido i perché della sua crisi interiore caratterizzata dalla più totale paralisi.

Tutte queste tematiche gettarono all’epoca gli spettatori in uno stato di smarrimento e confusione fin da subito, proprio perché Fellini attraverso le sue tecniche cinematografiche sempre in continua evoluzione mise in scena lo ‘’specchio della società contemporanea’’.


 

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