Il dilemma delle tracce urbanistiche del fascismo in Italia: distruggere o non distruggere?

L’Italia ha un rapporto piuttosto difficile con le tracce urbanistiche del fascismo che sono perdurate fino ai nostri giorni e, molto spesso, sono emersi dibattiti se fosse meglio o peggio mantenere certi ricordi simbolici e visibili. La realtà è che l’epoca fascista in Italia ha profondamente influenzato il paesaggio urbanistico e molto spesso ci troviamo davanti a simboli e strutture fasciste senza nemmeno accorgercene. Questi segni si palesano sotto forma di statue e nomi di strade, segni evidenti, nati inizialmente per celebrare la storia fascista in Italia.

Un segno indelebile

Il fascismo occupa un posto di rilievo nella storia italiana, un ventennio complicato che va dalla presa del potere di Mussolini, ufficialmente avvenuta il 29 ottobre 1922, fino alla fine del regime, caduto formalmente il 25 luglio 1943. Durante questo periodo, il nostro Paese si macchiò di delitti incancellabili che sono passati alla storia come moniti e insegnamenti affinché l’umanità non replichi certi soprusi e atrocità. Il governo Mussolini è stato il peggiore tra quelli che hanno amministrato il nostro paese dall’inizio della storia italiana.

Di fatto, nel corso di quegli anni, i cittadini sono stati privati di tutte le libertà e i diritti fondamentali, quali il diritto di voto, di associazione, di sciopero ed opinione; c’era la pena di morte, anche per i minorenni; più di 350.000 militari e ufficiali italiani sono morti durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre 45.000 innocenti sono stati deportati, su basi politiche o razziali, verso i campi di sterminio.

La realtà è che lo stigma fascista non lascerà mai la nostra memoria storica e forse non è nemmeno auspicabile che ciò avvenga, poiché è necessario che la storia rimanga presente per evitare di commettere gli stessi irrimediabili errori. Ciononostante, la decisione di mantenere certi simboli celebrativi o commemorativi evidenti, per le strade e per le piazze delle nostre città, può far emergere più di una perplessità. Siamo sicuri che non siano offensivi per alcune persone? Siamo certi che siano simboli di memoria storica e non emblemi di un passato vergognoso?

Un dibattito che non può essere semplificato ai minimi termini

Il dibattito su cosa fare di questi simboli non può essere ridotto a una semplice decisione binaria tra l’abbattere i monumenti o cambiare il nome delle vie. La discussione, infatti, non è né semplice né diretta, perché questi retaggi culturali dell’epoca fascista hanno un prezzo, una storia propria non indifferente. Basti pensare che la città con più urbanistica fascista in Italia è la capitale, Roma. Sarebbe opportuno distruggere alcuni dei suoi monumenti storici e simbolici perché fascisti? Non c’è consenso a riguardo.

Chi abita nella Capitale è probabilmente abituato a vedere i fasci littori spuntare sui tombini, sui ponti o su alcuni murales, e convivere con segni più o meno evidenti del passaggio indelebile del fascismo nei palazzi, nelle scuole, nelle università e negli ospedali. Ancora oggi, è visibile la grande M di Mussolini stampata nei cortili e sulle facciate dei palazzi e i nomi di noti fascisti identificano tristemente molte strade. A Roma, si sa, il passato vive al lato del presente, e se spesso ne restiamo ammaliati con gli occhi lucidi e pieni di bellezza, purtroppo, a volte, la traccia di quel passato scomodo ci riporta con i piedi piantati a terra. Cos’è quindi giusto fare?

La soluzione nel tenere una mente aperta

Gianni Rodari, alla vigilia delle Olimpiadi di Roma del 1960, scrisse per il quotidiano Paese Sera il pezzo “Poscritto per il Foro” con cui propose una soluzione per le scritte mussoliniane sul Foro Italico a Roma.

Si vogliono lasciare le scritte mussoliniane? Va bene. Ma siano adeguatamente completate. Lo spazio, sui marmi bianchi del Foro Italico, non manca. Abbiamo buoni scrittori per dettare il seguito di quelle epigrafi e valenti artigiani per incidere aggiunte.

L’intento dello scrittore e poeta era appunto quello di aggiornare il messaggio che riportava il monumento, per riuscire a sottolineare il dolore che il fascismo aveva inflitto e che andava ricordato. Completare per non distruggere, ma la soluzione non è sempre così facile o realizzabile. Certamente, un modo per adeguare vecchi vergognosi messaggi alle nuove necessità è possibile e, nonostante possa essere di difficile definizione, bisogna essere in grado di valutare senza veti e senza rabbia. Purtroppo, non c’è giusto o sbagliato e non ci sono automatismi. Per questo motivo, come in tutti i dilemmi, la scelta più corretta sta esattamente nel centro, nel compromesso tra l’esigenza di ricordare, di mantenere la bellezza di alcuni monumenti, e quella di rispettare il dolore di chi ha sofferto oltraggi irreparabili. L’obiettivo principale è sempre quello di capire cos’è meglio per la comunità e di valutare qual è l’utilità pubblica di certi ricordi, se presente. La soluzione quindi è quella di mantenere il più possibile una mentalità aperta al dialogo e alla mediazione, in modo da valutare il contesto, la necessità e, perché no, la possibilità di porre rimedio in maniera costruttiva a ricordi così pesanti.

 

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