Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì: un sodalizio iconico

La moda e l’arte sono sempre stati due realtà strettamente legate, capaci di influenzarsi a vicenda. Il sodalizio tra questi due mondi si è intensificato in particolar modo durante il periodo delle avanguardie dell’inizio del XX secolo: dal vestito antineutrale della moda futurista, disegnato da Filippo Tommaso Marinetti, fino ad arrivare al vestito Mondrian creato da Yves Saint Laurent negli anni Sessanta. Elsa Schiapparelli era tra le designer più influenti del periodo insieme a Coco Chanel. Infatti, diverse delle sue creazioni sono considerate come delle pietre miliari della storia della moda: il colore rosa shocking, anche detto rosa Schiaparelli, fu un’invenzione della stilista, utilizzato per il packaging del suo profumo. Tantissimi designer contemporanei si sono ispirati alle sue collezioni: Giorgio Armani, Dolce & Gabbana, Alexander Mc Queen.

Allo stesso modo, la designer ha saputo conquistare il cuore degli artisti d’avanguardia del suo periodo: la sua personalità, colorata ed esuberante era una grande fonte d’ispirazione per la comunità artistica; le sue creazioni erano al limite della sartoria tradizionale, ostentando abbinamenti insoliti e applicazioni totalmente inedite. Fu amica e collaboratrice di fotografi come Man Ray, Cecil Beaton, George Hoyningen-Huene ma anche pittori surrealisti come Cocteau e dadaisti come Picabia e Marcel Duchamp. La stilista era attratta da questi artisti e dalla loro capacità di guardare la realtà sotto un punto di vista nuovo, liberando completamente la loro creatività. Le sue collaborazioni spaziavano dal campo della fotografia e della pittura al campo del design, per abiti o flaconi per profumi. Ad esempio, insieme a Jean Cocteau realizzò un cappotto in jersey con un ricamo trompe-l’œil; la stessa designer lo ricorda così nella sua biografia:

Jean Cocteau realizzò per me alcuni disegni di volti. Io riprodussi alcuni di quei volti sulla parte posteriore di un cappotto da sera e uno, dalla folta chioma bionda che arrivava alla vita, su un abito di lino grigio.

In questo clima, una collaborazione tra tutte passò alla storia: quella tra Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì. Il loro primo incontro non fu documentato, ma gli storici ipotizzano che si siano conosciuti a Parigi, probabilmente ad una festa. La prima collaborazione è collocabile al 1935: un astuccio per cipria compatta a forma di telefono, che riprendeva la tastiera con i numeri ed il puntatore. Lo stesso tema venne ripreso dall’artista qualche anno più tardi, nell’opera Telefono afrodisiaco, sostituendo la cornetta con un’aragosta: il crostaceo era infatti considerato come la perfetta congiunzione tra cibo e piacere erotico. Incuriosita da questa simbologia, nel 1936 Elsa Schiaparelli chiese all’artista di disegnare un’aragosta su un abito di seta bianca. La stampa venne applicata frontalmente, non a caso in corrispondenza delle cosce: l’aragosta, simbolo di sessualità, veniva ricondotta alla dimensione pura e casta del matrimonio, attraverso l’abito bianco. L’abito aragosta venne acquistato ed indossato da Wallis Simpson, duchessa di Windsor, in occasione di un servizio fotografico per Vogue, decretandone il successo. Il modello, conosciuto come uno dei più iconici, è stato ripreso dalla maison Schiaparelli in occasione della collezione Primavera/Estate 2017.

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Dopo il successo dell’abito aragosta i due artisti mantennero salda la loro collaborazione; nel 1938, in occasione della collezione Circus, vennero presentati altri due modelli iconici: The Tears Dress e The Skeleton Dress. L’evento passò alla storia come una delle sfilate più spavalde ed eccentriche mai organizzate a Parigi: le modelle sfilarono indossando cappelli da clown e portando borse a forma di palloncino. Inoltre gli abiti presentavano stampe insolite, con acrobati e animali da esibizione, attirando così l’attenzione della critica e del pubblico.

Nel clima di ilarità sfilarono i modelli di Dalì, in netta contrapposizione; The Tears Dress, era un lungo abito da sera stampato: Schiaparelli si ispirò a delle figure in vesti attillate ritrovate in alcune opere di Dalì. Il motivo ricorrente rappresentava l’immagine di squarci nella carne che affiorano dall’abito bianco, restituendo una sensazione conturbante. Il modello era poi accompagnato da un velo, al quale sono state applicati dei rilievi in tessuto rosa, richiamando ancora una volta i tagli.

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Il tema della corporeità è stato ripreso anche nella creazione del secondo modello, l’abito scheletro: in crêpe di seta nera, presentava in rilievo delle ossa umane, realizzate con imbottiture di ovatta. Essendo particolarmente aderente, sul corpo della modella figurava come una seconda pelle; il modello sconvolse la critica, che giudicò la rappresentazione delle ossa umane come un oltraggio al buon gusto. Nonostante i pareri negativi, l’abito venne ripreso da diversi designer, come Alexander McQueen e Christian Lacroix, e non solo: Lady Gaga ha adottato diverse intuizioni della stilista, tra cui quella dello scheletro in rilievo.

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Elsa Schiaparelli integrò la moda e l’arte, trasformando dei semplici capi d’abbigliamento in vere e proprie opere, facendogli prendere vita.

Disegnare abiti, non è una professione. È un’arte. Una delle arti più complesse, difficili, sconfortanti perché un vestito, quando nasce, appartiene già al passato. Un vestito non rimane attaccato al muro come un quadro, né tantomeno la sua esistenza potrebbe essere paragonata a quella di un libro.


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