Il braccio di ferro tra Maduro e l’Unione Europea: perchè il leader venezuelano ha cacciato l’ambasciatrice dell’UE

Il 30 giugno 2020, il Presidente del Venezuela in carica Nicolas Maduro ha annunciato di aver deciso per l’allontanamento dell’ambasciatrice dell’UE, Isabel Brillhante Pedrosa, nel giro di 72 ore, dopo le nuove sanzioni imposte da Bruxelles. Maduro ha iniziato un vero e proprio braccio di ferro, utilizzando il mezzo ormai più comune e politico a disposizione dei leader per avere una parte nelle relazioni internazionali: Twitter. Proprio dal suo profilo è partito l’annuncio imperante:

Davanti alle azioni interventiste, razziste e di supremazia dell’Unione Europea che aggrediscono con sanzioni i venezuelani, ho deciso di dare 72 ore alla loro ambasciatrice per abbandonare il paese. Devono rispettare il Venezuela per la sua integrità come nazione. Basta colonialismo!

Le sanzioni europee

Dallo scoppio della crisi politica in Venezuela nel 2016, l’Unione Europea ha cercato di esortare i rappresentati politici del Paese a una risoluzione delle tensioni in modo costruttivo, spronandoli a trovare nuovi canali di dialogo e a riavviare negoziati seri nell’interesse dell’intera Nazione. Tuttavia, non ricevendo alcun tipo di riscontro positivo, ma assistendo all’escalation del conflitto e al peggioramento della qualità di vita dei venezuelani, il 13 novembre 2017, l’UE ha adottato conclusioni e sanzioni mirate. In particolare, il Consiglio aveva optato per sanzioni definite per promuovere un processo credibile e significativo per il raggiungimento di una soluzione pacifica negoziata. Le misure restrittive comprendevano un embargo sulle armi e sulle attrezzature per la pressione interna e una base giuridica per eventuali elenchi mirati di persone.

Purtroppo, nemmeno questo gesto concreto è servito a migliorare la vita dei venezuelani, ai quali, in occasione delle elezioni regionali e presidenziali di maggio 2018, è stato negato il diritto a elezioni libere, plurali, credibili, trasparenti e democratiche. Infatti, da quel momento è stato chiaro che non era più possibile contare sullo Stato di Diritto del Venezuela e i leader del G7 hanno dichiarato di respingere il processo elettorale che ha portato a quei risultati. Alla luce di ciò, il 28 maggio 2018, il Consiglio ha chiesto l’adozione di nuove misure restrittive, chiedendo lo svolgimento di nuove elezioni presidenziali in conformità con le norme democratiche riconosciute a livello internazionale e dall’ordinamento costituzionale del Venezuela, in modo da compensare le gravi violazioni contro il popolo del Venezuela.

A causa della mancata risposta da parte dello Stato venezuelano, il 25 giugno 2018, l’UE ha aggiunto all’elenco delle sanzioni, che in quel momento ne contava diciotto, i nomi di undici persone che ricoprono cariche ufficiali e che sono stati identificati come responsabili di azioni contrarie ai diritti umani, allo Stato di Diritto e alla democrazia del Venezuela. Pertanto, il 2018 è terminato con la proroga di un anno da parte dell’Ue delle sanzioni, ovvero fino al 14 novembre 2019.

Nel corso del 2019, l’Unione Europea ha rilasciato diverse dichiarazioni e ha cercato di intervenire con un gruppo internazionale di contatto con il Venezuela, per bloccare le violazioni dei diritti umani e gli attentati alla democrazia venezuelana. Infatti, lo scorso anno ci sono state imponenti manifestazioni popolari, a cui le autorità hanno risposto con violenza indiscriminata e torture, che hanno spinto l’UE a riconoscere l’emergenza umanitaria nel Paese. Alla scadenza delle sanzioni nel mese di novembre 2019, il Consiglio ha deciso di prorogare per un altro anno le misure restrittive nei confronti del Venezuela. Alla luce della crisi politica, economica, sociale e umanitaria in corso nel paese dell’America Latina, ma anche delle azioni persistenti che compromettono la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, l’Unione Europea non ha trovato altre possibili alternative.

Gli ultimi sviluppi

All’inizio del 2020 la democrazia venezuelana è stata ulteriormente messa alla prova dalle azioni repressive mirate alla distruzione dell’unico organo ancora esistente eletto democraticamente nel paese, l’Assemblea Nazionale. Questi tentativi di bloccare con la forza il processo di elezione democratica dei dirigenti dell’Assemblea, previsto per il 5 gennaio 2020, uniti alle violenze contro il suo Presidente, Juan Guaidó, e alcuni dei suoi legislatori per impedire il loro accesso all’Assemblea, sono stati dichiarati inaccettabili dall’UE.

Pochi mesi dopo, con lo scoppio della pandemia di Covid-19, il Venezuela e i suoi abitanti hanno dovuto, come tutti nel mondo, affrontare una nuova devastante crisi sanitaria e socioeconomica. Tuttavia questo Paese, già stremato dalle gravi condizioni economiche, sociali e umanitarie, sta subendo un impatto devastante, che sta gravando, come sempre, soprattutto sulle classi meno abbienti. Vista la gravità della situazione, l’UE ha richiesto nuovamente al Governo di sforzarsi di trovare un accordo con i partiti dell’opposizione, dichiarati illegali nel corso degli anni precedenti, in modo da aiutare e fare gli interessi del popolo venezuelano. Eppure, la richiesta è rimasta, ancora una volta, inascoltata, trasformandosi in un nulla di fatto. Pertanto, il 29 giugno 2020, il Consiglio ha aggiunto ulteriori undici funzionari venezuelani alla lista di persone soggette a misure restrittive, a causa del loro ruolo in azioni che hanno minato la democrazia e lo Stato di diritto in Venezuela.

La risposta di Maduro

Le sanzioni imposte dall’Unione Europea contro i funzionari venezuelani consistono in restrizioni di libertà personali, quali il divieto di viaggio e il congelamento dei beni. Lo scorso 30 giugno, davanti all’aggiunta di ulteriori undici persone alla lista, per un totale di trentasei funzionari, Maduro ha quindi annunciato l’adozione di “misure di reciprocità” e la convocazione “dell’ambasciatore venezuelano presso le istituzioni europee al servizio di azione esterna della UE”. Questo ultimatum, unito all’espulsione dell’ambasciatrice europea, ha dichiarato il Presidente, costituisce solo un primo passo della sua azione contro il colonialismo europeo contro il Venezuela”.

Nello specifico, il Presidente aveva già annunciato che ci sarebbero state ripercussioni contro le decisioni europee durante la consegna del Premio nazionale di giornalismo Simón Bolívar 2020, in cui aveva dichiarato:

“Chi sono loro per imporci sanzioni? Chi sono per cercare di imporsi con le minacce? Basta con il colonialismo europeo contro il Venezuela, con la persecuzione contro il Venezuela, con l’intervenzionismo colonialista, con il suprematismo ed il razzismo. Se non vogliono rispettare il Venezuela che se ne vadano. Il Venezuela si merita rispetto di fronte al mondo.”

Chi vincerà il braccio di ferro?

Il Presidente Maduro, dalle sue dichiarazioni, risulta visibilmente offeso dall’intrusione europea nei suoi affari, soprattutto dopo che l’Unione ha protetto Juan Guaidó, rifugiato nell’ambasciata francese, considerato un terrorista e un aggressore contro l’unità nazionale. In quattro anni, quella del 30 giugno è stata la prima vera opposizione del Presidente contro le decisioni europee, prima per lo più rimaste inascoltate. Tuttavia, sulla base delle sue dichiarazioni, Maduro ha affermato che questo è stato solo un primo avviso e che ulteriori decisioni verranno prese a seconda dei prossimi sviluppi.

Purtroppo, l’UE non potrà che trovare lei stessa modo di riconciliarsi con il Venezuela per riuscire a mantenere aperto un canale di comunicazione. Infatti, il Presidente Maduro ha dimostrato di essere una personalità poco malleabile e più incline a rispettare le leggi della forza che le leggi del diritto. In questo braccio di ferro è indispensabile però fare molta attenzione all’obiettivo finale, ovvero quello di cercare di riscattare i venezuelani, la vera forza del paese, in modo da far rientrare in standard basici l’emergenza umanitaria e preservare i loro diritti umani.

 

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