Come impariamo? Breve storia della psicologia dell’apprendimento e dell’educazione (parte II)

Nella prima parte abbiamo visto come l’apprendimento (e quindi l’educazione) sia stato studiato in psicologia inizialmente dai comportamentisti, nella prima metà del Novecento. Dagli anni Cinquanta si è sviluppato il movimento cognitivista, che in generale è tutt’oggi la corrente scientifica più influente in ambito psicologico e le cui ricerche anche in tema di apprendimento sono ancora oggi molto significative, e proseguono.

Come sottolinea Lucia Mason nel suo manuale di psicologia dell’apprendimento e dell’istruzione, citando Neisser, tra i principali esponenti del cognitivismo:

Il termine “cognitivo” doveva riferirsi a tutti i processi di manipolazione delle informazioni, ossia trasformazione, riduzione, immagazzinamento, recupero e combinazione degli input sensoriali.

L’analogia stabilita è tra l’uomo e il computer, in quanto anche quest’ultimo elabora dati, e le persone come i computer si diversificherebbero per la quantità di informazioni che possono elaborare contemporaneamente, la qualità e la velocità di elaborazione. Secondo i cognitivisti, osservando i comportamenti umani si possono fare delle deduzioni sul loro funzionamento mentale, sul modo in cui processano le informazioni, e quindi anche su come il modo di pensare determina il modo di apprendere. Nella prospettiva dell’apprendimento, particolarmente importante per il cognitivismo è il ruolo della memoria come base per l’immagazzinamento di conoscenze e quello degli schemi come strutture di rappresentazione delle conoscenze stesse relative a oggetti, situazioni, eventi, azioni.

Se gli schemi sono le strutture di rappresentazione della conoscenza, l’apprendimento può avvenire, secondo Rumelhart e Norman, attraverso tre modalità:

  • Per accrescimento: quando si incorporano nuove informazioni negli schemi già disponibili in un soggetto, che quindi non cambiano.
  • Per sintonizzazione: quando gli schemi vengono modificati in parte, a livello qualitativo, o rendendoli più generali o specifici.
  • Per ristrutturazione: quando le nuove informazioni richiedono di costruire schemi completamente nuovi.

Se è vero quindi che l’elaborazione cognitiva ha un ruolo attivo nel determinare la conoscenza che si acquisisce, ne consegue che l’essere umano elabora attivamente gli stimoli provenienti dall’esterno e contribuisce quindi a determinare la sua conoscenza, contrariamente a quanto sostiene il comportamentismo. Le conseguenze pratiche sono in termini di spostamento parziale dell’attenzione, in un contesto di apprendimento, dalle caratteristiche degli stimoli e dei rinforzi al modo in cui vengono elaborati individualmente.

In questo senso quindi il cognitivismo puro è già costruttivista, perché vede la conoscenza individuale almeno in parte determinata dalla cognizione. Tuttavia, il cognitivismo non considera come la cognizione (e quindi l’apprendimento e l’educazione) siano influenzati dalle condizioni storico-culturali in cui lo studente è calato. L’attenzione a queste condizioni è tipica dell’approccio socioculturale allo studio dell’apprendimento scolastico. L’approccio socioculturale (o sociocostruttivista), ha le sue radici negli studi di Vygotskij, studioso russo morto prematuramente nel 1934 e conosciuto in Occidente solo a partire dagli anni Sessanta del Novecento, quando iniziò a circolare la prima traduzione del suo testo intitolato Pensiero e linguaggio.

Vygotskij sosteneva che le funzioni mentali superiori dell’uomo fossero determinate dal contesto sociale, che mette a disposizione strumenti psicologici (detti segni) come il linguaggio, il calcolo, le opere d’arte. Il linguaggio, ad esempio, oltre ad essere interiorizzato portando con sé un certo modo di interpretare il mondo, plasma anche la memoria, oltreché farne uso. L’apprendimento e l’educazione in quest’ottica diventano fondamentali allo sviluppo del bambino nella misura in cui l’istruzione viene vista come un processo che plasma le funzioni psicologiche e che avviene sempre in un contesto sociale. L’apprendimento è situato in specifici contesti ed è dinamico nella misura in cui l’interazione persona-ambiente porta ad esplorare le possibilità di incrementare le conoscenze. Concretamente, un buon maestro diventa colui che riconosce le capacità attuali di un allievo, ma soprattutto sa vedere in che modo e in quale direzione possono essere potenziate nell’interazione con lui.

Fondamentale è quindi la sintonizzazione con l’allievo da parte del maestro, di modo che quest’ultimo sappia riconoscere cosa l’allievo sa già fare, cosa può apprendere senza uno sforzo eccessivo col suo aiuto, cosa non è ancora pronto a imparare. Da queste idee di Vygotskij germoglia l’approccio socioculturale all’apprendimento, che lo vede come situato all’interno di pratiche di comunità, comunità all’interno delle quali un ruolo progressivamente più attivo porta l’allievo ad appropriarsi di conoscenze. L’apprendistato cognitivo ne è un esempio: conoscenze astratte e pratiche vengono trasmesse mostrandone le applicazioni direttamente nei contesti d’uso da parte dell’esperto, che progressivamente le lascia svolgere all’apprendista, pronto a supportarlo.

Così, nel reciprocal teaching, applicabile nell’educazione scolastica, un insegnante insegna ai bambini a comprendere un testo, ponendosi inizialmente come modello che mostra a voce alta quali strategie usa per capire ciò che legge (ad esempio: si fa delle domande, riassume, fa previsioni sul prosieguo del testo…), lasciando a rotazione a tutti gli alunni sempre maggiore spazio nel ruolo di modello, pronto comunque a supportarli in caso di bisogno.

Cognitivismo e sociocostruttivismo sono ad oggi i due modelli più fecondi di studio psicologico dell’apprendimento e dell’educazione. Sono modelli che possono essere ben integrati, in teoria e in pratica, visto che uno studente cambia le prestazioni di apprendimento per effetto di processi cognitivi situati in un contesto.


FONTI
Mason L. (2016), Psicologia dell’apprendimento e dell’istruzione, Bologna, Il Mulino


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