Politica del c****-19: il golpe in Bolivia e gli ultimi sviluppi

¿Qué pasó en Bolivia?

La data da sapere è il 20 ottobre 2019. In quel giorno si gioca infatti la partita tra Comunidad Ciudadana di Carlos Mesa e il Moviemiento al Socialismo di Evo Morales. È una data importante per la Bolivia che si trova a scegliere tra una coalizione di destra e il sempiterno Presidente, che punta al suo quarto mandato. In realtà, considerata la Costituzione del 2009, sarebbe solamente il terzo mandato. Mandato tuttavia scomodo in quanto in contrasto con quella stessa Costituzione del 2009 e il referendum del febbraio 2019 sull’abolizione del limite di mandato, perso da Morales col 52%. La corsa alla presidenza del candidato indios è però autorizzata dall’equivalente boliviana della Corte Costituzionale (molto influenzata dal MAS).

Wiphala, bandiera dei nativi andini

Tra le solite reciproche accuse di rompere il silenzio elettorale e una crisi ambientale con incendi vari ai confini dell’Amazzonia, si arriva alle elezioni. Come da prassi nei Paesi che devono dimostrare di essere “trasparenti”, vi sono organi internazionali volti a controllare la regolarità delle elezioni. Uno di questi organismi è l’OAS (Organizzazione degli Stati Americani) di cui, guarda caso, non fa parte solo Cuba e il cui più grande contributore sono gli USA. Non a caso Fidel Castro la definì “Ministero delle Colonie degli Stati Uniti”.

Al momento dello spoglio, quando arrivano i primi risultati, scatta l’accusa di opacità del processo elettorale. Gli osservatori denunciano lo stop improvviso dei TREP ovvero i risultati preliminari, una volta raggiunto l’84% delle schede scrutinate. L’accusa è quella di brogli dovuti proprio a questa interruzione. Tuttavia, nessun’altra organizzazione si associa alle dichiarazioni dell’OAS e anzi esistono fonti competenti, come il CEPR (Centro per le ricerche economiche e politiche), che negano brogli elettorali.

Il vincente Morales deve abbandonare la Bolivia il 10 novembre. A nulla servono le promesse di nuove elezioni, le manifestazioni delle destre si scatenano con una violenza in molte parti della Bolivia e la pressione dell’esercito si fa sentire.

Evo Moralez e la sinistra boliviana

Evo Morales, si trova ora in Argentina, sotto la protezione di Alberto Fernandez, protégé della dinastia Kirchner. Gli è concesso di rimanere a patto di non fare esternazioni politiche che possano imbarazzare l’Argentina.

Di etnia Aymara, diventa popolare come sindacalista per i diritti dei coltivatori di coca, pianta da cui si estrae anche la cocaina. Viene eletto Presidente della Bolivia nel 2005 in seguito a proteste, di cui diviene simbolo, e che spingono alle dimissioni il Presidente Carlos Mesa, sfidante anche nel 2019. È il primo Presidente indio e anche il primo ad essere eletto al primo turno, segno di un desiderio di cambiamento. La Bolivia infatti è dal 2009, su iniziativa di Morales, uno Stato Plurinazionale e tutte le lingue native sono riconosciute come ufficiali, insieme allo spagnolo.

È stato, fino all’esilio, Presidente del partito di (centro)-sinistra MAS e anche il fondatore, proprio durante quella fase di proteste nel 2005. Morales infatti aveva forzato il Presidente a tenere un referendum sulla nazionalizzazione delle risorse naturali come gli idrocarburi, che ebbe un successo sorprendente. Il suo modello di socialismo è stato a lungo considerato come uno dei più riusciti nel Sudamerica. Morales ha debellato l’analfabetismo, ridotto la povertà, potenziato l’economia e dato dignità alla grande minoranza india. Anti-imperialista convinto, ha sempre lottato contro le ingerenze degli Usa e delle organizzazioni affini.

D’altra parte, non è nemmeno immune da critiche, sia per il desiderio prolungare la sua permanenza al potere sia per le politiche ambientali. Se da un lato ha sempre sostenuto l’importanza della salvaguardia dell’ambiente, dall’altro ha permesso di fare terra bruciata per allevamenti e coltivazioni. L’accusa di populismo, a meno che non lo si intenda nella sua originale versione russa, è invece sterile: tutti i leader democratici lo sono (o devono esserlo).

Jeanine Añez e la destra boliviana

Purtroppo, non è difficile tracciare il profilo di una personalità così piatta. Jeanine Añez è stata nominata Presidente ad interim da un parlamento senza maggioranza, come richiederebbe la Costituzione, in quanto i parlamentari di MAS, partito di maggioranza, erano usciti in protesta. Peraltro, per togliere ogni ombra di legalità, la sua carica di vicepresidente non è nemmeno tra quelle che possono fare funzioni di Presidente. Il gesto forse più originale è stato poi mostrare la Bibbia al momento della “elezione”.

È una donna di Santa Cruz, la città dei bianchi ispanofoni, roccaforte della destra boliviana che, soprattutto in questa fase, si è estremizzata. Laureata in giurisprudenza, ha lavorato per la televisione per poi scendere in politica, approdando infine nel Movimento Democratico Sociale. Espressamente razzista, come testimoniavano i suoi tweets contro gli indigeni prima che li cancellasse in seguito all’elezione, è anche cristiana (si fa per dire) evangelica. Non potendo riportare le immagini, ne presentiamo alcuni che vanno dal razzismo al segregazionismo:

“Qué año nuevo aymara ni lucero del alba!! satánicos, a Dios nadie lo reemplaza!”

“Che Capodanno aymara e stella del mattino! Satanisti, nessuno può sostituire Dio”

«Sueño con una Bolivia libre de ritos satànicos indígenas, la ciudad no es para los indios que se vayan al altiplano o al chaco»

“Sogno una Bolivia libera dai riti satanici indigeni, la città non è per gli indiani che vanno all’altipiano o al chaco”.

È in ottimi rapporti con leader d’estrema destra e paramilitare Luis Fernando Camacho, noto per aggirarsi con la bibbia sotto il braccio (che strano). Si è anche reso noto per aver “riportato la bibbia nel palazzo presidenziale” e per aver ammainato la bandiera Wiphala, simbolo delle varie etnie boliviane, in tutta la Bolivia.

Res gestae

La nuova Presidente non si è fatta scrupoli di servirsi della violenza, di forza paramilitari e di leggi illiberali. Tra gli eventi degni di nota ci sono state le violenze a El Alto contro i sostenitori di Evo Morales e lo sconfortante episodio di violenza verso la sindaca di Vinto. A El Alto circa otto persone sono state uccise e molti riconducono queste morti alle forze boliviane, al momento controllate dal governo provvisorio, o meglio golpista. Alla sindaca di MAS invece sono stati rasati i capelli ed è stata poi ricoperta da vernice rossa, colore della destra in Bolivia. Infine, è stata costretta a strisciare per la strada a scusarsi per aver sostenuto Morales. Tuttavia, la sindaca, Patricia Arce, ha risposto con coraggio e fermezza a questi soprusi, rifiutandosi di scusarsi.

https://www.instagram.com/p/B4nBCMHhvpa/

Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Due macchiette golpiste potenzialmente dittatoriali che vogliono riportare il cristianesimo al centro della politica. Due politicanti che la Bibbia l’hanno aperta solo per strappare l’episodio del Buon Samaritano e della Samaritana. Due futuri candidati alle elezioni presidenziali che, a Dio piacendo, si terranno il 6 di settembre. Viene da chiedersi cosa dirà questa volta l’OAS; ma l’occhio di Dio (o forse i fucili) non permetterà brogli e tutto filerà liscio, nella migliore maniera sudamericana.

Tuttavia, sebbene entrambe le Camere abbiano votato in favore della data, la Presidente Añez  ha deciso di non firmare subito la legge. La motivazione ufficiale, recapitata alla Presidente del Parlamento, è il timore della salute dei Boliviani che dovranno recarsi alle urne. La Presidente ad interim vuole che venga quindi prima fatto un report epidemiologico per valutare i rischi di tenere le elezioni in settembre. Inoltre, ha aggiunto che sia la Presidente del Senato sia il Supremo Tribunale Elettorale dovrebbero prendersi la responsabilità in caso le elezioni causassero una nuova ondata di infezioni.

La gestione (mal)destra della crisi covid

La gestione Añez non si è certamente distinta per un comportamento virtuoso. Uno dei primi atti è stato quello di promulgare il decreto 4231 che dovrebbe punire le “fake news”. La motivazione è che la libertà di espressione può essere sottoposta a delle restrizioni se necessario per la sicurezza nazionale. La Presidente ha tenuto inoltre a sottolineare che nessun nuovo reato viene introdotto ma che servirà a favorire la denuncia di chi diffonde false informazioni. Le pene vanno fino ai 10 anni: dieci anni di carcere per aver detto una balla.

Il decreto è stato criticato dal centrodestra di Carlos Mesa e dal MAS con il candidato presidente Luis Arce. Del resto, si pone sulla scia dei famosi poteri speciali di Orban che, come ampiamente osservabile, rappresenta solo uno dei tanti copia e incolla politici al potere.

Dal 17 di marzo la Bolivia è stata posta in quarantena stretta, tanto che molte proteste sono state avanzate dalle opposizioni di destra e sinistra per evitare di sovraccaricare il debole sistema sanitario. Probabilmente si sarebbero potuti evitare i posti di blocco presieduti da paramilitari. Già dal 1 giugno però le misure sono state allentate: le scuole rimarranno chiuse ma le chiese riapriranno al 30%. I morti del resto non hanno superato il tetto dei 500, gli infetti si aggirano invece intorno ai 15.000.

I ministri del governo si sono distinti per le loro azioni e parole fuori luogo. Il ministro della Salute è indagato per aver acquistato dei ventilatori, tra l’altro inutilizzabili perché non compatibili, a più del doppio del prezzo di mercato. Una mossa furbissima insomma. Il ministro dell’Interno Arturo Murillo invece ha minacciato di impiegare l’aeronautica contro i coltivatori di coca nella regione di Chapare, per sterminarli (porta a pensare alle ruspe di qualcuno). Il nuovo ministro della salute, Ivan Arias, è invece diventato famoso sul web per aver spiegato il Covid con le statuette degli Avengers.

Cosa dobbiamo aspettarci?

Cercando di non cadere in speculazioni troppo azzardate, si deve però prendere in considerazione un’eventuale operazione Condor II. L’operazione Condor I, avviata nel 1968 da Nixon, era volto a ristabilire il controllo sull’America Latina imponendo dittature militari parafasciste come quella di Pinochet, Videla e altri nomi poco piacevoli.

Allo stesso modo abbiamo assistito in questi anni al rovesciamento di Maduro in Venezuela e del presidente Lugo in Paraguay e del presidente Honduregno Manuel Zelaya. Non c’è dubbio che anch’essi avessero delle colpe: Manuel Zelaya come Morales voleva eccedere il limite di mandato. Tuttavia, ora Honduras si trova sotto un dittatore di destra. Il Paraguay ha ancora un governo di destra, guidato dal Partido Colorado, che aveva governato ininterrottamente per sessantun anni, fino alla sconfitta nel 2008. Sconfitta cui si è peraltro rimediato tramite colpo di stato nel 2014. Il Venezuela, da potenza socialista del Sudamerica, si è trasformato in uno terribile garbuglio di rivendicazioni. In Brasile, come ben noto, è al potere Bolsonaro mentre in Uruguay e Colombia il processo democratico sembra abbastanza stabile.

L’unico partito di sinistra al governo è quello Giustizialista Argentino guidato da Alberto Fernandez, il quale ospita appunto l’esiliato Morales. Lenin Moreno infatti ha preferito optare per una politica ultra-neoliberista che ha provocato non poche proteste in Ecuador.

Che sia tutto parte di un grande piano oppure no lo dirà la storia. Del resto, per quanto assurdo possa sembrare, eventi simili sono già accaduti, per quale motivo non potrebbero ripetersi? Intanto però a farne le spese sono i cittadini delle varie nazioni del Sud e Centro America, come accade ormai da troppi anni.

 

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