10 ritratti per spiegare l’NBA (Parte II)

Nella prima parte di questo macro-articolo abbiamo: esposto i motivi che ci hanno condotto a fornire al lettore inesperto una “top 10 dei migliori giocatori della storia dell’NBA”, riportato alcuni nomi degli attuali campioni della pallacanestro e analizzato cinque giocatori della presente, personalissima classifica. Senza ulteriori indugi, continuiamo a visitare questa stanza delle meraviglie e analizziamo quelli che noi consideriamo, con condivisibile fiducia, i 5 migliori giocatori di basket che abbiano mai calcato il parquet.

5. Larry Bird

Larry Bird è molto probabilmente l’”Einstein dell’NBA”. È stato un giocatore che ha saputo ricoprire ogni ruolo, eccellere in ogni fondamentale e, soprattutto, riuscire a fare tutto ciò con una creatività impossibile da riprodurre. È stato il più grande tiratore, passatore e difensore di una delle migliori squadre di tutti i tempi: i suoi Celtics, protagonisti indiscussi, insieme ai Lakers, del basket americano degli anni ’80. Ciò che maggiormente stupisce del suo inarrestabile, originale e affascinante talento è l’estrema somiglianza tra il suo gioco e lo stile contemporaneo. Fu un grande tiratore da tre prima che questa pratica diventasse fondamentale, e fu un marcatore così capace da ricordare gli attuali Kevin Durant e James Harden.

I suoi passaggi, i suoi tempi di reazione e la sua capacità di ribaltare gli esiti delle partite lo rendono sicuramente il giocatore più intelligente della storia dell’NBA, e sicuramente sarebbe ancora più in alto in questa lista se avesse giocato più dei suoi modesti tredici anni. 

4. Hakeem Olajwon

Hakeem Olajwon è la presenza più controversa in questa lista: se tutti riconoscono in lui una leggenda nel suo ruolo, non sono molti quelli che gli assegnerebbero la medaglia di rame, già negata ad eroi del gioco come Kobe Bryant e a divinità cestistiche come Russell e Chamberlain. Eppure, la scelta di considerarlo il secondo centro più forte di tutti i tempi (se non in primo a pari merito) è pienamente giustificata su tutta la linea, sia sul piano delle vittorie che su quello del genio individuale. I suoi Rockets, campioni del mondo per due volte consecutive, non sarebbero stati assolutamente all’altezza delle altre contendenti degli anni ’90 se non fosse stato per il genio di un centro che, reinventando la sua posizione, ha saputo dominare senza sosta sulle difese di tutta l’NBA. In una lega in cui quel ruolo era solitamente ricoperto da un omone senza particolare agilità, capace di restare fisso in lunetta e segnare quando arrivava la palla, Hakeem ha stupito i suoi contemporanei con un gioco di piedi senza precedenti, ereditato dal suo passato calcistico in Africa. Insegna della sua agilità è la sua famosa signature move: la “dream shake”, temuta, invidiata e copiata dai maggiori talenti contemporanei e successivi, che, per impararla, sono andati letteralmente a scuola da Hakeem.

Si tratta ovviamente di un giocatore non semplicemente completo, ma universale, originale ed efficace sia in attacco – risultando tra i migliori marcatori di sempre – che in difesa – avendo il record per il maggior numero di blocchi in assoluto. Nella sua carriera ha dominato su giocatori del calibro di Kareem Abdul-Jabbar, Karl Malone, Dave Robinson, Patrick Ewing e ha persino umiliato un giovane, arrogante e (almeno teoricamente) inarrestabile Shaq. Stiamo parlando del più grande talento non americano ad aver calcato il parquet dell’NBA.

3. Magic Johnson

Per colpa dell’HIV, la carriera di Earvin “Magic” Johnson ai Lakers è durata solamente dodici anni, meno di chiunque altro in questa lista. La breve parabola di colui che, ancor prima del suo debutto in NBA, fu universalmente noto come “Magico”, servì a portare la sua squadra, in quei dodici anni, al 75% delle finali di campionato. Se il destino ci avesse concesso di ammirarlo per qualche anno in più, lo avremmo probabilmente visto giocare con i Lakers di Jackson, Shaq e Kobe, in una carriera che – anche se con la cautela dei “se” e dei “ma” – lo avrebbe portato ancora più in alto in questa classifica.

Magic è universalmente riconosciuto come il più grande playmaker della storia del gioco, ma è stato sicuramente il giocatore più versatile e intercambiabile della storia del basket. Pensiamo alla leggendaria partita delle finali del 1980 contro i 76ers di Doctor J, nella quale un Magic al suo primo anno di NBA (“rookie”) sostituì un Kareem Abdul-Jabbar infortunato nel ruolo di centro, disputando una partita strabiliante e diventando il primo rookie MVP della storia delle finali. Del resto, la sua fisicità multitasking è quanto di più vicino ci sia ad un prototipo da laboratorio del giocatore perfetto: alto e robusto, ma al contempo agile, veloce e scattante, un playmaker felicemente paradossale come mai ce ne furono e mai ce ne saranno. È stato senza dubbio il palleggiatore e il passatore più geniale e imprevedibile della storia della lega, e la migliore esperienza che possa fare chi si è appena avvicinato all’NBA è quella di immergersi per ore negli highlights degli alley-oop e dei no-look di questo ineguagliabile campione. Prima del ben più longevo John Stockton, e con molto più talento, Johnson è diventato il migliore assistman della storia. Detto in altro modo, mai nessuno giocò a quei livelli in maniera così “altruistica”.  

2. Kareem Abdul-Jabbar

Kareem, Abdul, Jabbar. Il nome stesso di questo campione esala un’aura di leggenda, come se si stessero per rievocare le gesta di un antico semidio orientale. E la realtà non diverge poi molto dall’impressione, giacché la nostra medaglia d’argento va ad un titano che è al primo posto tra i giocatori di tutti i tempi per punti segnati: 38387, un estremo ancora apparentemente irraggiungibile. Per di più, Kareem è stato eletto MVP più volte di chiunque altro, aggiudicandosi il titolo sei volte e senza alcun dubbio al principio di ciascuna di esse.

Una delle immagini che per prima balza alla mente dei suoi fan è quella di un giovane Kareem in maglia Bucks che, alle sue prime esperienze NBA, domina su un già navigato Wilt Chamberlain e getta ombra sulla difesa dei suoi futuri Lakers con quello che viene ancora oggi riconosciuto come il tiro più inarrestabile della storia dell’NBA: lo skyhook, che sfrutta l’altezza e la precisione del centro per sorvolare sulle mani dei difensori con una traiettoria matematicamente ineluttabile. Ad oggi, nessun altro giocatore NBA è riuscito ad imitare e far proprio quel tiro, la signature move più famosa della storia.

La personalità riservata di Kareem gli ha impedito di vantare la fama universale derivata dal carisma di campioni come Kobe e Lebron, ma questo non ha comunque impedito a chiunque di conoscere il suo profondo ed auratico cognome. Questo giocatore è stato il miglior centro della storia dell’NBA, laddove il centro è il ruolo da sempre più “emblematico” della pallacanestro americana. Non c’è mai stato nessuno, sotto il canestro, migliore di Kareem.

1. LeBron James

 Con sincero orgoglio, noi “millennials” possiamo dire di aver vissuto la nostra piena e cosciente giovinezza vedendo giocare il più grande campione di basket di tutti i tempi. LeBron James, come da soprannome, è letteralmente il “king”, e pur essendo molti i suoi haters, persino loro riconosceranno che siamo al cospetto di colui che, pur avendo 35 anni, è ancora nel pieno della sua forma psico-fisica ed è in grado di diventare senza grandi sorprese il più grande marcatore, la più grande ala, il più grande leader e il più grande competitivo della storia dell’NBA.

Il suo è stato definito da molti “il più grande fisico di sempre”, una muscolatura fluida e marmorea che gli permette di essere l’unico cestista della storia ad essere inarrestabile nel salto. Le incursioni di sfondamento sotto canestro sono di certo il marchio di fabbrica del re, ma ciò non significa che egli non sia in grado di interpretare gli altri fondamentali del gioco con un’efficienza tale da farlo risultare, di fronte a qualsiasi avversario, un Ercole moderno tra i bambini. Egli è il miglior passatore, il miglior difensore (pensiamo ai suoi famosi interventi in schiacciata sul tabellone), il miglior impostatore e la migliore mente in gioco, e risulterebbe vano andare avanti e tentare di giustificare queste considerazioni, che sono evidenti a chiunque abbia mai visto una performance di LeBron.

Con gli anni l’Ercole di Akron ha sacrificato un po’ del suo atletismo per fare dell’età virtù: è diventato più intelligente, più altruista, più strategico e più innovativo, dandoci la sensazione di essere migliorato ulteriormente e di non porsi assolutamente il problema della pensione. La sua longevità, aggiunta a tutto il resto delle caratteristiche precedentemente messe in luce, è di certo una virtù essenziale di Sua Maestà, giacché non c’è mai stato un giocatore così indifferente al peso dell’età che avanza. Tra il LeBron degli Heat, quello dei Cavaliers e quello dei Lakers sembrano esserci state solo trasformazioni, ma mai sentori di scompenso, peggioramento o arresto.

LeBron ha avuto inoltre il grande merito di diventare il punto di riferimento insindacabile in ogni squadra di cui ha fatto parte, dimostrando doti da leader che l’hanno portato a partecipare a finali e vincere campionati con squadre che, senza di lui, non ne sarebbero state lontanamente all’altezza.

LeBron rappresenta una nuova stella polare per il basket del futuro e un inedito punto di superamento per quello del passato. Si ha già la sensazione che, quando l’Era del re sarà giunta a compimento, non ci sarà mai più ritorno, ma solo la capacità di proseguire verso l’insondabile. Ad oggi, a quanto pare, è impossibile fare col basket qualcosa che non sia già stata fatta da LeBron.

 

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 0. Michael Jordan   

Al di là di questa lista, ma forse anche al di là del classificabile, c’è l’unico ed indiscutibile “prescelto” della storia del basket, un giocatore così grande che nemmeno ci sentiamo di metterlo a confronto con gli altri grandi, neppure con chi, almeno in linea teorica, gli si approssima. E questo non perché Michael Jordan sia statisticamente o stilisticamente imparagonabile agli altri leggendari campioni di cui abbiamo finora parlato, ma perché egli, da ogni prospettiva, semplicemente “è” il basket. Non possiamo dire qualcosa che non sia già stato detta su MJ, e per capire la portata del suo passaggio nella storia del basket rimandiamo al completo ed esaltante The Last Dance.

Il basket non è mai stato uno sport individuale, e se i campioni spesso rappresentano il quid necessario al passaggio da cronaca a leggenda, è il quintetto a determinare le sorti del gioco, ispirare l’amore degli appassionati e quel senso di coesione, affiatamento e relazione di cui solo una grande squadra può fare da metafora. MJ, più di qualsiasi altro campione, è stato un punto di non ritorno insindacabile, ma la glorificazione della sua figura rischia di eclissare il contributo fondamentale di chi – come Pippen, Rodman, Jackson, Kerr, Kukoc e Grant – ha contribuito a far sì che i Chicago Bulls degli anni ’90 diventassero il basket, il modello universale di vittoria e la franchigia che continua ad ispirare i campioni, i veri campioni, a dividere lo scettro in cinque e stringersi tra loro.

 


FONTI

Pagine Wikipedia e video online sui giocatori analizzati.

CREDITS

Immagine 1 by Nick Antonini

Immagine 2 by Kip-koech

Copertina by Ian D’Andrea

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