La Romana e la critica al fascismo di Moravia

La Romana

Nato nel 1907, Alberto Moravia ha attraversato l’Italia del fascismo, del quale spesso scrive anche indirettamente, come accade con La Romana. La protagonista del romanzo è un personaggio portatore di etica, limpidezza e, paradossalmente), anche di amore, ma funziona come strumento di denuncia dell’Italia di metà Novecento. Negli stessi anni in cui l’autore scrisse La Ciociara (1957), lavorò anche a La Romana, ultimata e pubblicata ben dieci anni prima, nel 1947; questo perché era un progetto strettamente legato a quegli anni. La Romana di Moravia, che critica il fascismo, la corruzione e la società borghese, non poteva aspettare.

Moravia contesta un’Italia violenta, anche nella politica, ma la scelta di un personaggio popolare come Adriana, non culturalmente preparata o adeguata a conversazioni politiche e colte, estremamente distante dalla figura dell’intellettuale, non gli consente di discutere di fascismo. La sua denuncia, quindi, viene elaborata senza bisogno di parole. La Romana di Moravia critica il fascismo in maniera silenziosa.

Adriana

La protagonista e voce narrante del romanzo, Adriana, orfana del padre, vive da sola con la madre. La donna che le ha donato la vita, però, sembra fin dalle prime pagine lungi dall’essere un modello. Anzi, pare essere interessata unicamente a possibili guadagni della figlia e non alla sua felicità o sviluppo morale.

Adriana, tanto bella quanto buona e ancora un po’ bambina nei suoi vent’anni, viene dipinta nell’incipit come un’ingenua davanti alla quale il mondo si svela. La mamma è, al contrario, molto attenta al corpo e alla bellezza fiorente della figlia, la porta da un pittore perché la ritragga nuda. Spera così di renderla nota e di ricavarne una sua crescita nella società. Il pittore cerca di spiegare ad Adriana che il comportamento della madre non era dei migliori, ma lei era ancora troppo immatura e non cosciente del mondo in cui viveva. Tutto ciò che conosceva, era perché “la mamma diceva“.

A sedici anni ero una vera bellezza. Avevo il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po’ largo in basso, gli occhi lunghi, grandi e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, la bocca grande, con le labbra belle, rosse e carnose e, se ridevo, mostravo denti regolari e molto bianchi. La mamma diceva che sembravo una madonna. […]

Avevo il ventre, come l’ho sempre avuto, un po’ forte, con l’ombelico che quasi non si vedeva tanto era sprofondato nella carne; ma la mamma diceva che questa era una bellezza di più, perché il ventre deve essere prominente e non piatto come si usa oggi. Anche il petto l’avevo forte ma sodo e alto, che stava su senza bisogno di reggipetto: anche del mio petto quando mi lamentavo che fosse troppo forte, la mamma diceva che era una vera bellezza, e che il petto delle donne, oggidì, non valeva nulla.

In questa bellezza di donna Adriana è ancora bambina e ha sogni semplici e romantici, come sposarsi e vivere tranquilla con suo marito. Sogna l’amore, una storia semplice, come tutte le adolescenti. Quando Gino entra nella sua vita, le fa assaggiare l’amore per la prima volta, le fa credere nel sogno borghese di una famigliola felice (al contrario della sua famiglia tradizionale distrutta e lacerata). Pur essendo solo un autista, con lui prova, per la prima volta, l’amore sentimento e l’amore come atto sessuale, carnale. Inizialmente lei non comprende fino in fondo: si scopre non padrona di sé stessa, il suo io è sfasato dal suo corpo, che fa ciò che vuole lui.

La scoperta del male

Gino nota che Adriana è perdutamente innamorata dell’amore e ne approfitta, dimostrandosi presto un bugiardo e ipocrita: a causa di questa sua prima delusione d’amore, spinta anche dalla amica Gisella che guadagna prostituendosi ai signori, la protagonista prende la strada della concessione del suo corpo in cambio di denaro. A questo punto il suo rapporto con la madre si capovolge: la mamma diventa una specie di schiava di Adriana, inizia a deformarsi nutrendosi coi soldi sporchi guadagnati dalla figlia. In fondo, in qualche modo l’ha spinta anche lei a quella professione.

Adriana inizia così a conoscersi, a prendere coscienza della propria corporeità, restando al contempo fiera di mantenere l’integrità e la sua autenticità nel lavoro. Si discosta, infatti, dalle prostitute che vede per strada che si truccano e si fingono diverse da come sono realmente.

Della ragazzina ingenua che posava nuda rimane presto ben poco. Nonostante lei sia di natura buona, viene in qualche modo “sporcata” dalla società in cui vive, corrotta e brutale. Astarita, ufficiale fascista che la ama in maniera morbosa, la forza e la ricatta; poi c’è Sonzogno, che sembra quasi un animale e la brama in modo primitivo; Mino, invece, uno studente di legge, intellettuale e anche borghese, è antifascista e rappresenta la figura dell’inetto, incapace di vivere, in contrapposizione a Sonzogno. Nonostante Adriana si innamori di Mino, questo porterà solo ad una serie di imprevisti e di intrecci tra i personaggi. Tra questi, l’unica certezza è la violenza nel mondo in cui vivono.

Il messaggio

Oltre tutte le storie d’amore e di odio e le vite che si incontrano in queste pagine, La Romana è critica al fascismo. Moravia ci parla di corruzione e di potere come l’aspirazione maggiore dell’uomo. Adriana non è altro che la rappresentazione di tutti coloro che hanno provato, a loro modo, a sopravvivere. Questa povera donna popolana, che vive per strada, senza istruzione e senza l’amore che desiderava da bambina, è speranza. Lei è voglia di vivere e trasgressione per riuscire ad andare avanti nel marcio del mondo.

FONTI

Alberto Moravia, La Romana, Bompiani, 2017

CREDITS

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