Tra passato e presente: la sindrome dell’età dell’oro

We are homesick most for the places we have never known

– Carson McCullers

Talvolta capita che la mente vaghi alla ricerca di qualcosa che non conosce e, pur non sapendo quel che sta cercando, lo trovi. Non si tratta di esperienze lontane o di ricordi difficili da recuperare, ciò che cerca sono perlopiù sensazioni, panorami, contesti, tutto ciò che in un modo o nell’altro si contrappone al presente. Per gli amanti del passato, infatti, vivere nel ricordo di un’epoca mai vissuta risulta oltremodo più stimolante e soddisfacente che vivere in quella a sé coeva. Che sia colpa del presente o merito del passato, la “nostalgia dell’età dell’oro” è una sorta di malattia universale e intrinseca, che da sempre fa rimpiangere all’uomo di essere nato nell’epoca sbagliata e per sempre gli farà sperare di risvegliarsi in quella che davvero sente come propria.

Gli umanisti avrebbero voluto dialogare faccia a faccia con gli autori classici, i romantici avrebbero voluto assistere appassionati alle intrepide avventure medievali, gli entusiasti dei ruggenti anni Venti desideravano vivere il fermento della belle époque. Quindi, perché ogni singola epoca è incapace di riconoscere se stessa come fonte di ispirazione, come punto più alto di un progresso durato secoli?

Per quanto si riconoscano i successi raggiunti e i diritti guadagnati andando avanti nel tempo, battendosi di secolo in secolo per migliorare le proprie condizioni e quelle collettive, la maggior parte di coloro che sono consci di tali conquiste si sentono comunque a disagio nel periodo in cui vivono: sanno di godere dei benefici che la modernità concede, ma allo stesso tempo non possono che sentirsi vittime di quello che la modernità toglie. L’alienazione, il sentirsi spaesati, la sensazione di non rientrare nella cornice del proprio tempo. Molti, prima o poi, raggiungono un’età in cui si domandano se quella che stanno vivendo sia davvero l’epoca adatta a loro… ed è in quel momento che diventano nostalgici. Una nostalgia che guarda al passato e a luoghi mai visti, tempi mai trascorsi, esperienze mai vissute. Per quale motivo?

Innanzitutto, si è eternamente destinati a vivere come “nani sulle spalle dei giganti”. Così Giovanni di Salisbury riportava le parole del suo maestro Bernardo di Chartres nel suo Metalogicon 

Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.

Ciò stava ad indicare quel debito che la cultura moderna ha nei confronti di quella antica, e che sempre deve ricorre alla mente di chi pensa di raggiungere grandi traguardi, poiché non va dimenticato che non si parte mai da zero.

Oltre a ciò, va riconosciuto un grande merito al tempo in sé: questa fondamentale componente della storia ha la particolare capacità di esaltare, nel bene e nel male, le più note caratteristiche delle epoche. Così come qualcosa di negativo può divenire tragico, allo stesso modo una novità effimera può arrivare ad essere il simbolo iconico dell’epoca in cui ha origine. Nel corso degli anni, delle decadi, dei secoli e così via, il tempo plasma, modifica, cancella, esagera tutto ciò che è avvenuto, spesso con l’aiuto di chi viene dopo e che, non senza trarne vantaggio, può decidere se indicare il passato come modello da seguire o da evitare.

Come se non bastasse anche la forza d’immaginazione che caratterizza gli uomini, la letteratura, le fotografie, il cinema e tutte le arti sono responsabili di aver lasciato ai posteri un ricordo del mondo in una sua precedente versione. Che sia grazie alle pagine di un libro o a un grammofono dismesso, poco basta perché l’immaginazione di chi quel passato lo vorrebbe vivere inizi a mitizzare gli eventi e lavorarli come se fosse sì storia, ma a metà tra realtà e sogno. Il fatto di non aver vissuto direttamente quel momento di cui si vorrebbe far esperienza legittima in qualche modo il fatto di elaborarlo a proprio piacimento, privandolo quindi di ogni sfumatura indesiderata.

È forse il caso di riconoscere un ruolo piuttosto importante anche alla psicologia: per tutti è più semplice trovare difetti in persone, cose, questioni che si conoscono a fondo piuttosto che attribuirli a qualcuno o a qualcosa di cui si sa poco o nulla. È per questo motivo che, dal momento che del passato si è più incoscienti che coscienti, l’analisi che se ne fa, con i relativi desideri e sogni, è particolarmente superficiale.

È consapevole di tutti questi motivi Woody Allen, che sul finire di Midnight in Paris mette in bocca le sue parole (e di tutti gli altri nostalgici) a Gil Pender, il quale sullo sfondo di una Parigi illuminata realizza che

If you stay here and this becomes your present, then pretty soon you’ll start imagining another time was really the golden time. That’s (…) what the presence is. It’s a little unsatisfying because life’s a little unsatisfying

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