Popolazioni indigene e violenza sulle donne: sì, è il Canada!

Uno degli argomenti di cui si è molto sentito parlare nelle scorse settimane riguarda la protesta, o meglio “difesa della terra”, che i nativi canadesi della tribù dei Wet’suwet’en stanno portando avanti. La notizia ha assunto rilevanza quando questi manifestanti hanno iniziato a bloccare treni, scambi ferroviari, ponti e altri snodi sensibili. Insomma, la protesta ha fatto maggior scalpore a causa dei danni economici che ne sarebbero potuti risultare; da fine febbraio 2020 sono quindi iniziate le discussioni con le autorità.

Si rivela indubbiamente necessario iniziare a parlare un po’ di più anche di queste minoranze così lontane. Infatti, nella narrativa tradizionale e quindi nell’immaginario collettivo, il Canada viene rappresentato come un paradiso di neve, sciroppo d’acero e infinite foreste verdeggianti. Certamente è anche questo, ma purtroppo c’è anche molto altro. Non diversamente da molti altri Paesi che definiamo “occidentali”, anche il Canada ha avuto una storia coloniale, osservabile tuttora nelle dinamiche sociali. Del resto, il Canada, così come gli Stati Uniti d’America, non era una terra disabitata quando inglesi e francesi decisero di stabilirvisi.

In questo articolo si tenterà di delineare brevemente la storia di queste popolazioni native, con un sguardo speciale alle donne. Infatti, la condizione attuale delle donne indigene è talmente drammatica che si è arrivati a parlare di “genocidio”, sebbene il termine non sia da tutti condiviso. Indubbiamente, come vedremo, esiste un serio problema che vede come vittime le donne indigene, specialmente se giovani.

Chi sono gli Inuit?

Gli Inuit, il cui nome significa “le persone”, sono una popolazione indigena del Canada. La maggior parte (circa il 73%) vive in un territorio chiamato “Inuit Nunangat”, parola che si riferisce alla terra, all’acqua e al ghiaccio della loro patria. Questo termine può essere esteso anche ad alcune parti dell’Alaska e della Groenlandia dove appunto risiedono gli Inuit. Essi rappresentano il 3,9% di tutte le popolazioni indigene del Canada.

La metà degli Inuit che risiedono nel “Inuit Nunangat” si trovano nel territorio canadese del Nunavut. Quest’ultimo territorio, ricavato da una parte dei Territori del Nord-Ovest, è l’unica area abitata da popolazione indigena che corrisponde alla ripartizione federale del Canada. Nunavik, Nunatsiavut, e Inuvialuit sono i nomi degli altri territori abitati dal quel 27% rimanente di Inuit.

Nonostante i vari gruppi etnici, esiste una lingua comune, pur con varianti dialettali, detta “Inuktikut”. Si tratta di una lingua eschimo-aleutina che è parlata dall’82% degli abitanti dei territori del “Inuit Nunangat”, la percentuale più alta di parlanti tra tutte le popolazioni indigene nel Canada. Questo è anche favorito dal fatto che l’Official Languages Act e l’Inuit Language Protection Act, entrambi del 2008, rendono ufficiali e tutelano le lingue Inuit nello stato del Nunavut.

Originariamente, gli Inuit erano cacciatori e raccoglitori di bacche; i loro antenati più antichi arrivarono in quei territori nell’XI secolo d.C. Nonostante i tentativi dei colonizzatori di “civilizzarli”, essi hanno mantenuto molte delle loro tradizioni secolari in ambiti disparati. Tuttavia, a causa di questo stato di minoranza, soffrono dei problemi tipici di tutte le minoranze discriminate nel mondo: alcolismo, violenza e disoccupazione. Per fare sentire la loro voce, hanno creato un gruppo lobbistico detto Inuit Tapiriit Kanatami che dal 1971 rappresenta i loro interessi presso il governo federale.

Chi sono i Metis?

La storia dei Metis è decisamente più complicata di quella degli Inuit, in quanto sono nati in seguito all’arrivo degli europei in Canada. Sin dai primi anni di colonizzazione, ci furono dei matrimoni misti, spesso per motivi economici, che diedero vita alle prime comunità metis (con la “m” minuscola). In questo caso, infatti, bisogna intendere metis nel senso etimologico della parola che significa appunto “meticci”.

A differenza di questi, i Metis si riconoscono come una popolazione aborigena a parte con proprie caratteristiche. Seppur anch’essi discendenti da matrimoni misti tra europei ed indigeni, i Metis sono una comunità specificatamente sorta sulle sponde del Red River. Questo fiume nasce negli Usa (North Dakota e Minnesota) per poi giungere in Canada nella provincia del Manitoba.

Gli appartenenti alla Metis Nation fanno risalire le loro origini ai primi anni del XIX secolo. Originariamente vi era tra essi la distinzione tra “half-breed”, o mezzosangue di origine inglese e quindi anglicani, e i Metis di origine francese e quindi cattolici. In seguito alla fusione delle comunità, il termine è diventato d’uso comune per entrambe.

Questi ultimi ritengono di essere gli unici ad avere il diritto di essere chiamati Metis. La pretesa è giustificata dall’esistenza di più lingue “nazionali” tra cui la maggiore è il Michif (mix tra francese e cree) ma anche da usi e costumi peculiari.  Hanno inoltre degli eroi “nazionali” come Cuthbert Grant, vincitore della battaglia delle Sette Querce, e molti altri che hanno combattuto in difesa della comunità.

Così come gli Inuit, anch’essi hanno creato una organizzazione politica che li rappresenti davanti al governo federale. Si tratta del Métis National Council, fondato nel 1983 per distinguersi dalle altre popolazioni aborigene.

Quindi, chi sono i veri Metis?

La disputa su chi deve essere ritenuto Metis o metis è molto aspra e vede due fronti contrapposti. Il primo è quello che rifiuta l’idea di Metis come processo storico e afferma che si tratta di una popolazione a tutti gli effetti. Questi indentificano i Metis con la comunità sorte intorno al Red River che hanno lottato lungamente per la propria sopravvivenza ed affermazione.

L’altro fronte invece afferma che siano metis tutti coloro che sono discendenti da matrimoni misti, questa è anche la posizione del Congress of Aboriginal People. Costoro ritengono che la definizione di Metis come comunità sorta intorno al Red River sia troppo restrittiva e quindi discriminatoria.

La definizione del resto è molto breve ma allo stesso tempo molto insidiosa perché scritta in “politichese” e quindi facilmente manipolabile. Per una maggiore trasparenza The Canadian Encyclopedia ha commissionato due articoli da due punti di vista diversi. Uno sostiene la tesi dei Metis come comunità nata nei pressi del Red River mentre l’altro cerca di dimostrare che il termine ha in realtà un significato più ampio.

“Métis” means a person who self-identifies as Métis, is distinct from other Aboriginal peoples, is of historic Métis Nation Ancestry and who is accepted by the Métis Nation.

Ovviamente è una questione molto delicata che dipende anche dalla prospettiva con cui si osservano la storia e il suo divenire. Sarebbe certamente più fruttuoso ed efficace riconoscere l’unicità della comunità del Red River senza perdersi in discussioni su chi debba rivendicare il nome di Metis. Tuttavia, spesso il riconoscimento tramite un determinato nome ha un valore inestimabile, frutto di battaglie culturali e militari.

Chi sono le First Nations?

In base alla sezione 35 del Constitution Act del 1985, il governo canadese riconosce tre gruppi indigeni: Metis, Inuit e First Nations. Questo significa che con First Nations si intendono tutte le altre popolazioni indigene che non siano Inuit o Metis. Si tratta di un nome utilizzato per la prima volta nel 1982 e che sopperisce alla mancanza di un nome ufficiale per tutte le altre popolazioni. I termini “indian”, “native” così come molti altri sono infatti discriminatori oppure problematici dal punto di vista giuridico/legale.

“First Nations” è dunque nome collettivo che riunisce in sé seicento trentaquattro popolazioni aborigene differenti, con circa cinquanta lingue diverse e innumerevoli tradizioni. Il censimento del 2016 parla di circa un milione di appartenenti alle First Nations, in crescita rispetto ad i numeri precedenti.

Circa il 47% degli appartenenti alle First Nations vive in riserve, create in seguito al cosiddetto Indian Act del 1876. Queste riserve sono da un lato delle terre dove le First Nations hanno un certo livello di indipendenza ma d’altro canto sono anche segno del colonialismo perdurante. Questo concetto delle riserve non esiste per Metis e Inuit che invece vivono comunque in comunità spesso autogovernate.

Le donne native uccise e violentate

Sin dai tempi delle colonizzazioni europee (inglesi e francesi), le popolazioni indigene sono spesso state vittime di soprusi e di un trattamento indegno di essere chiamato umano. La storia del Canada è ricca di esempi: dalle residential schools, al sixities scoop e al project surname. Questi sono stati tutti tentativi di europeizzare e quindi “civilizzare” gli aborigeni.

Tuttavia, una categoria è stata, ed è ancora, la più colpita tra tutte: le donne. Un report rilasciato nel giugno 2019, dopo anni di lavoro, afferma che dal 1980 almeno 1200 donne indigene sono state uccise o sono scomparse. Si tratta della “National Inquiry into Murdered and Missing Indigenous Women and Girls” che si è svolta in due anni e mezzo, con un budget di novantadue milioni di dollari canadesi.

Per rendersi conto della portata di questo lavoro, basti pensare che si tratta di un documento di 1200 pagine che ha visto lo stanziamento di fondi federali. Inoltre, il governo ha garantito sei mesi di proroga rispetto alla data finale di consegna, nonostante fossero stati chiesti circa due anni in più.

Questo documento inoltre rappresenta un’accusa non tanto celata alla polizia canadese: la RCMP (Royal Canadian Mounted Police). Le accuse sono state soprattutto volte a denunciare la mancanza di cooperazione con l’inchiesta. Tutto questo nonostante nel 2014 il capo della polizia Bob Paulson avesse offerto nuovamente scuse ufficiali per l’ambiguo comportamento della RCMP nei confronti delle popolazioni indigene.

Data la vastità del tema, si è scelto di riportare una singola esperienza tragica e significativa che possa dare un un’idea del contesto. Questo con lo scopo di diffondere la consapevolezza di come purtroppo la piaga della discriminazione affligga tutto il mondo, non solo l’Europa. Perché sebbene in contesti e con storie differenti, l’odio e la discriminazione rimangono in ogni dove caratteristiche deteriori e molto frequenti dell’uomo.

Il caso di Alberta Williams

La storia di Alberta Williams è un esempio lampante e paradigmatico della situazione delle donne indigene in Canada. Attraverso un podcast di otto episodi, la giornalista canadese Connie Walker, di origine Cree, ha ripercorso gli ultimi momenti di Alberta e ha rispolverato indagini vecchie di trent’anni.

Alberta Williams muore nel 1989; scomparsa il 25 agosto, il suo corpo viene ritrovato all’incirca tre settimane dopo. Lo sfondo della vicenda è Prince Rupert, un villaggio isolato nel nord della Colombia Britannica Canadese. Alberta si trovava lì per racimolare dei soldi lavorando nella pesca, a quei tempi Prince Rupert era una cittadina molto florida. Si trovava lì solo per l’estate e sarebbe dovuta rientrare a Vancouver, dove studiava da infermiera, solo pochi giorni dopo la sua scomparsa.

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Nella vicenda ha un ruolo fondamentale anche il luogo in cui il corpo, vittima di violenza e soffocamento, è stato trovato. Si tratta di una piccola rientranza lungo l’autostrada 16, conosciuta anche come “Highway of Tears”, ovvero autostrada delle lacrime. Questo perché numerose (il numero esatto non è mai stato definito con certezza) donne indigene e non o sono scomparse o sono state assassinate mentre si trovavano su questa strada.

Lo stesso investigatore che era incaricato delle indagini, Gary Kerr, ha ammesso che il corpo è stato trovato per miracolo. Infatti, il caso ha voluto che una famiglia si fosse fermata a raccogliere funghi proprio dove verrà ritrovato il cadavere della giovane donna.

Nel 2005 il governo provinciale ha formato una squadra speciale detta E-Pana con lo scopo di indagare su questa moltitudine di casi non risolti. Tuttavia, nonostante alcuni arresti e il tentativo di collegare i casi tra loro, le morti non si sono fermate lungo l’autostrada 16.

Le indagini della reporter

Il podcast della giornalista della CBC (Canadian Broadcasting Corporation) Connie Walker rappresenta una vera e propria indagine. Con la sua determinazione è riuscita a reperire più informazioni di quante ne avesse raccolte la polizia. Si è occupata di intervistare testimoni mai ascoltati e di fare collegamenti nuovi grazie alle informazioni che i nuovi soggetti le fornivano.

https://www.instagram.com/p/BjsZPWMn0QU/

Il podcast si apre con una email di un ex detective della RCMP, Gary Kerr, che nomina colui che ritiene colpevole dell’omicidio. Da questa pista partono le indagini della giornalista che la portano in primo luogo dalla sorella di Alberta, Claudia. Claudia veniva da tutti ritenuta l’ultima ad aver visto la sorella prima della sparizione.

L’indagine prosegue con le interviste agli avventori del bar dove Alberta è stata avvistata con certezza l’ultima volta: il Bogey’s o Popeys. Tra questi c’erano Claudia Williams, Jack e Alphonse Little, Geraldine Morrison e altri amici di Alberta. Tutto diventa più fosco e incerto in seguito alla chiusura del bar, quando Alberta invita la sorella a recarsi ad una festa con lei. Alcuni affermano che Alberta si fosse recata ad un party a casa di Jack Little a cui erano presenti anche altre persone, altri dicono che quella festa non ebbe mai luogo.

L’indagine si fa più complessa quando Amanda, la sorella Yvonne e il marito di Amanda, Ed, ammettono di aver visto Alberta il sabato successivo. A loro parere, pur non avendone mai parlato con la polizia, Alberta si era recata ad una festa per la nonna nel villaggio di Gitanyow. Sulla via del ritorno era poi passata proprio dalla cugina Amanda per chiedere dei soldi per fare rifornimento. Ma ciò che sorprende era che si trovasse insieme a Jack Little e probabilmente Ken Collinson, fidanzato di sua sorella Kathy, su un pick-up nero.

I risultati dell’investigazione

Purtroppo, la mole di nuove informazioni raccolte dall’autrice del podcast non permette di incastrare nessuno per l’omicidio. Tuttavia, grazie alle numerose interviste, viene gettata luce su scenari mai esplorati in precedenza e permette di mettere il caso al centro dell’attenzione della task force speciale E-Pana.

Certamente il lavoro svolto dalla giornalista mostra un’indagine che ai tempi fu abbastanza lacunosa sia per mancanza di risorse e tempo ma anche per una generale noncuranza. Come abbiamo già detto, infatti, la situazione delle donne indigene è terribile e per molti anni è passata, come ogni altra questione riguardante gli indigeni, inosservata sotto i riflettori.

Questo podcast rappresenta in ogni caso un capolavoro di giornalismo investigativo su un tema che in Canada è ancora troppo poco sentito. Proprio per questo, anche i famigliari di Alberta hanno ammesso che il dolore provato nel ripercorrere le vicende non è stato vano. Nonostante non si sia giunti a un risultato definitivo con colpevole e prove schiaccianti, c’è stato un passo avanti decisivo sia per Alberta sia per tutte le donne indigene uccise o scomparse.

CREDITS

Copertina by Luca Zucchetti

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