In un momento di grande difficoltà non solo a livello nazionale, ma mondiale, i problemi sembrano non finire mai. Per quanto molti acclamino al cambiamento di mentalità e a un aumento della sensibilità in seguito a questo turbolento periodo, le difficoltà non mancano. Sono molte le persone, le associazioni e le aziende che anche nel loro piccolo cercano di aiutare in qualche modo. Le difficoltà non riguardano solo il settore sanitario, per quanto questo sia ovviamente il più colpito. Anche quello agroalimentare non sta passando un bel periodo, a causa della mancanza di braccianti, a un calo dell’export e ad un aumento dei costi per la protezione dei lavoratori. Purtroppo però, in un momento tanto difficile in cui tutti cercano di venirsi incontro, c’è chi continua a pensare ai propri interessi, mettendo davanti a tutto il dio denaro. Si parla delle aste al ribasso lanciate da alcuni supermercati.
Aste online al ribasso
Ciò che conta in queste aste è unicamente il prezzo, non la qualità del prodotto. Inoltre, le aziende che partecipano non conoscono il nome e la quantità degli altri concorrenti, così non si sa chi spinge verso il basso. La domanda che sorge spontanea è perché i fornitori partecipino, offrendo a un prezzo stracciato i loro prodotti. La risposta è semplice: se una catena di supermercati organizza un’asta per coprire le forniture di molti mesi a un prezzo basso, le aziende non hanno molte alternative. Meglio vendere a un prezzo inferiore, piuttosto che non vendere affatto.
Il caso di Eurospin
In questi giorni, il discount italiano con il maggior numero di punti vendita, Eurospin, è stato attaccato
Clausole dei contratti
Ciò che è scorretto è anche il fatto che sono i supermercati a stabilire il prezzo dei prodotti. Non dovrebbero avere così tanta voce in capitolo, non avendo contribuito alla produzione del prodotto. I supermercati non guadagnano esclusivamente sulla vendita del prodotto, ma anche dalle clausole contrattuali presenti nei contratti che stringono con le industrie alimentari. Infatti, i marchi che vogliono vendere all’interno di un supermercato devono stringere un contatto e pagare una tassa, la cosiddetta shelf tax. Questa permette di essere presente sullo scaffale di quel determinato discount e di poter quindi vendere, arrivando a una grande percentuale di clienti. Un’altra clausola piuttosto bizzarra riguarda il fatto che, se l’azienda non riesce a garantire la presenza del prodotto sugli scaffali, perché per esempio vanno sold out, debba pagare una penale per lo scaffale lasciato vuoto.
Gli esempi di clausole che costellano i contratti tra produttori e supermercati sono molti. Ma in questo momento ciò che è importante evidenziare è il fatto dell’asta al ribasso in sé. Questa è una pratica scorretta, ancor più in questo momento di grande difficoltà in cui molti cercano di venirsi incontro in qualche modo. Per i supermercati con numerosi punti vendita sparsi sul territorio nazionale, non sarebbe di certo una grande perdita pagare un po’ di più i prodotti. In questo modo si andrebbe ad aiutare concretamente uno dei tanti settori che si trova in un momento di crisi.