Frammenti di un discorso amoroso: la sfida di Roland Barthes

Roland Barthes, alla ricerca di un’analisi il meno soggettiva possibile di una situazione amorosa

 

Parlare d’amore è sempre un grande rischio. Si rischia di risultare banali, scontati. Talvolta si rischia di far male. Altre volte si rischia invece di essere fraintesi, non capiti, o, peggio, non ascoltati. Quante volte abbiamo sentito una canzone d’amore in italiano e abbiamo pensato che fosse banale? Che usasse parole scontate, che disegnasse immagini già viste. Quante volte abbiamo sentito una canzone d’amore in inglese, in francese, in un’altra lingua, e ci è sembrata, invece, particolarmente profonda?

Probabilmente il motivo è che le cose più semplici da dire sono anche le più complicate, e dirle in un’altra lingua è un modo per tenerle lontane da noi, almeno un po’,  ascoltarle, sì, guardarle, ma filtrate da un velo che ci protegge dal terribile contatto diretto. Il contatto diretto è spesso insostenibile. È questo il motivo per cui fissare qualcuno negli occhi è più complicato rispetto a distogliere lo sguardo.

Chi parla di amore tende inevitabilmente a farlo in modo soggettivo, personale. Una poesia, un romanzo, una dedica che si adagia sulle prime pagine di un libro regalato, un ragazzo che ti suona il campanello e ti porge una rosa, un ragazzo che suona una canzone con la chitarra… sono tutti pezzi di cuore, inni all’amore, ma in modi diversi, perché ogni amore è diverso.

Cosa significa allora analizzare l’amore?

Innanzitutto: si può?

Si può scomporre il fenomeno umano, sociale, psicologico, fisico dell’amore nelle sue componenti, prenderle una per una e cercare di capire come sono fatte? Molto probabilmente è stata questa la sfida che si è posto l’ineguagliabile Roland Barthes nel suo Frammenti di un discorso amoroso.

Di cosa si tratta?

Potremmo definire questo scritto una enciclopedia dell’amore, partendo dalla sua componente fondamentale: il discorso.

Ma perché proprio il discorso?

Innanzitutto perché Barthes è stato un linguista, un semiologo, e non è certo una coincidenza: linguistica e semiotica sono due discipline che proprio nel secolo scorso hanno raggiunto traguardi impensabili. Come scrive lo stesso Barthes nella pagina che precede l’introduzione del libro (introduzione particolare, intitolata come è fatto questo libro, in cui l’autore spiega la struttura insolita e geniale dell’opera), la necessità di questo scritto nasce da una particolare considerazione:

Il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine. Questo discorso è forse parlato da migliaia di individui (chi può dirlo?), ma non è sostenuto da nessuno.

Paradossale. Portiamo avanti, noi come umanità, un discorso che non sappiamo neanche di star tenendo. È un discorso solitario. Forse un monologo. Ma non dovrebbe essere così. Barthes tratteggia la drammaticità (non la sintomatologia!) dell’innamorato. È il ritratto di un io che parla interiormente all’oggetto amato, che gli si pone di fronte, muto.

Dis-cursus indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i passi, gli intrighi. In effetti l’innamorato non smette mai di correre con la mente, di fare nuovi passi e d’intrigare contro se stesso. Il suo discorso esiste solo attraverso vampate di linguaggio, che vengono in seguito a circostanze infime.

Ecco che allora Barthes introduce questi “frammenti di discorso” e li chiama figure.

La figura è l’innamorato al lavoro.

Questo libro ripercorre i luoghi topici dell’amore, le azioni ricorrenti (“scrivere”, “affermare”…), le frasi che gli innamorati si dicono (“ti amo”, “mi manchi”, “Adorabile!”…), le situazioni che vivono, ciò che provano.

L’ordine? Alfabetico. Forse proprio perché è un’analisi, e non c’è alcuna legge psicologica che sancisca che un ti amo valga più di un ricordo, o di un capire. Probabilmente l’invito implicito è che ogni lettore costruisca il proprio frammentario discorso amoroso, o che ricostruisca quello di una relazione passata, cercando di colmare i vuoti che non si sono mai riempiti, o di capire cosa è andato storto, o quando, o per colpa di quale parola.

A supportare Barthes nella sua opera di de-costruzione e analisi dei tasselli del mosaico del discorso amoroso, abbiamo una serie di riferimenti letterari: I dolori del giovane Werther di Goethe, il Simposio di Platone, Nietzsche, e molti altri autori. Frammenti di psicologie amorose che pervadono i più grandi classici della letteratura di tutti i tempi. Citati rigorosamente sempre sotto le definizioni del frammento amoroso trattato, aiutano il lettore ad addentrarsi nella nebbiosa strada della psicologia dell’innamorato.

Prima che le definizioni inizino a riempire le pagine, una pagina bianca reca sull’angolo destro in basso la scritta.

È dunque un innamorato che parla e che dice…

Scopriremo qualche frammento negli articoli successivi.

 


FONTI
Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes, traduzione di Renzo Guidieri, Einaudi editore s.p.a., Torino, 1984


 

 

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