Anche le immagini sanno come tradire

Negli ultimi trent’anni, a seguito dello sviluppo di internet e delle tecnologie digitali, il mondo ha attraversato un periodo di imponenti e rapidi cambiamenti che hanno interessato, in maniera indistinta, quasi tutti i settori della vita sociale e dell’esperienza quotidiana di ciascuno. 

In tutti questi cambiamenti, talvolta davvero radicali, è possibile individuare un denominatore comune, rappresentato dal fattore accelerazione.

Basti pensare all’evoluzione dei processi industriali o dei sistemi di trasporto, oppure al rapido mutamento delle modalità di diffusione delle informazioni, nonché all’avvento dei fast food. Fino ad arrivare all’esplosione dei social network e all’incessante interconnessione virtuale che essi consentono. In tutti questi aspetti l’elemento ricorrente è quello di una costante accelerazione sia delle modalità di realizzazione, sia della quantità di ciò che questi fenomeni producono.

La civiltà dell’immagine
The first image of a real Black Hole, captured on 11 April 2017 by the Event Horizon Telescope (EHT)

Ebbene, questo incremento produttivo ha coinvolto, inevitabilmente, anche la sfera delle immagini. Addirittura molti teorici descrivono la civiltà contemporanea come una “civiltà dell’immagine”, proprio in riferimento alla quantità di immagini e prodotti visuali in cui si è immersi costantemente. Basti pensare, ad esempio, all’immensa dose di immagini sui social network. Ma anche perché la civiltà contemporanea si fonda soprattutto sulla visualizzazione. 

Pare che tutto debba essere visualizzabile. Eventi, esperienze, vita quotidiana. Quasi che, talvolta, la messa in immagine di un’esperienza rappresenti una garanzia narcisistica indispensabile per confermare che quell’esperienza o evento siano davvero esistiti. Se non ne faccio un’immagine, allora significa che non l’ho vissuto davvero. 

Costantino V mentre ordina la distruzione di icone, miniatura tratta dalla Cronaca di Costantino Manasse

Tutto questo è impressionante, così come è impressionante la potenza che le immagini hanno sulla coscienza, sul modo di pensare e di produrre giudizi. Per non parlare delle problematiche, a volte drammatiche, che si innescano per aver condiviso o inviato immagini molto personali e private, come testimoniato, purtroppo, dal fenomeno del revenge porn.

Insomma, l’immagine è diventata, oggi più che mai, un dispositivo fondamentale su cui la nostra società si impernia. Va detto che già in passato la questione visiva è stata al centro della civiltà occidentale. Basti pensare alle icone religiose, oppure ai fenomeni di iconoclastia religiosa e politica che si sono verificati nel corso della storia.

Illusioni ottiche e tradimenti percettivi

Tuttavia, non sempre è bene fidarsi delle immagini. Anch’esse possono, in qualche modo, tradire. O meglio non sono le immagini in sé a tradire, quanto piuttosto la percezione che che esse tradiscano.

E non si sta parlando di qualcosa di mistico o misterioso. Ma parliamo di qualcosa di cui ciascuno, almeno una volta nella vita, ha fatto esperienza: il fenomeno percettivo tipico delle illusioni ottiche. 

Si potrebbe stilare una lunga carrellata di immagini di illusioni ottiche, figure ambigue-bistabili, rapporti figure-sfondo. In questa sede ci limiteremo a prenderne in considerazione alcune, probabilmente le più celebri. Cercheremo di indagare e comprendere le dinamiche ottiche che stanno alla base di quella particolare esperienza percettiva che esse innescano. Osserveremo anche come alcuni artisti abbiano sfruttato i fenomeni percettivi nelle loro opere, realizzando immagini che sono in grado di tradire lo sguardo. 

Per affrontare la questione delle illusioni ottiche inoltre può essere utile ricorrere ai lavori eseguiti nel corso del ‘900 dalla Psicologia della Gestalt. Si tratta di quella branca interna alla psicologia della percezione che si è focalizzata nello specifico sulla percezione d’immagine, elaborando modelli teorici e interpretativi utili per comprendere il fenomeno della percezione dell’immagine e della forma (Gestalt in tedesco significa forma, figura.) 

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Vaso di Rubin

Tra le più celebri illusioni ottiche vi è indubbiamente quella del cosiddetto vaso di Rubin. Un’immagine bicromatica, ovvero composta da due colori: il bianco e il nero. In questa, a seconda di come si orienta lo sguardo, si percepisce un vaso/calice bianco, oppure due volti di profilo che si guardano. 

Questa illusione ottica fu studiata per la prima volta nel 1915 dallo psicologo danese Edgar Rubin (da qui il nome dell’immagine). Poi fu ripresa da diversi psicologi della Gestalt. 

La particolarità di quest’illusione ottica consiste nella sua doppia percettibilità. O si percepisce il vaso/calice bianco, oppure si percepiscono i due volti di profilo. Entrando però più nello specifico, si capisce che questa doppia percettibilità è il frutto di una relazione di figura-sfondo tra gli elementi dell’immagine. Ovvero, si percepisce la parte bianca come un vaso/calice, nel momento in cui la “parte” nera dell’immagine diventa sfondo. Allo stesso modo si percepisce la parte nera come due volti che si guardano, solo e soltanto nel momento in cui la componente bianca funge da sfondo.

Si tratta dunque di un’illusione ottica che scaturisce da un rapporto tra figura e sfondo. Un rapporto però nel quale non è possibile, evidentemente, percepire entrambe le figure simultaneamente, ma soltanto uno alla volta, in modo alternato.

Nonostante le due figure facciano parte della stessa immagine non si percepisce come un tutt’uno, ma si osserva sempre, in modo alternato, o l’una o l’altra figura.

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Figura bistabile anatra-coniglio (Kaninchen und Ente)

Un’altra illusione ottica molto nota è quella dell’anatra-coniglio. Un’immagine comparsa molto tempo prima rispetto al vaso di Rubin. Essa infatti apparve per la prima volta nel 1892 sulla rivista tedesca di stampo umoristico Fliegende Blätter (tradotto “Fogli Volanti”) ed ebbe anch’essa molta considerazione presso gli psicologi della Gestalt, conquistando una fortuna tale da essere in primo luogo analizzata dallo psicologo Joseph Jastrow e successivamente anche dal grande filosofo Ludwig Wittgenstein.

Anche in questo caso ci si trova di fronte allo stesso problema percettivo che caratterizza il vaso di Rubin. Spostando lo sguardo verso sinistra si osserva un’anatra, ma se lo sguardo si dirige verso destra si percepisce invece un coniglio, quindi si tratta dell’immagine di un’anatra o di un coniglio? O Entrambi? O Nessuno dei due? 

La risposta, evidentemente, dipende dal meccanismo percettivo dello sguardo. Se si guarda verso sinistra si percepisce il becco di un’anatra, se si guarda verso destra, invece, ciò che prima sembrava un becco si trasforma nelle orecchie di un coniglio.

In questa immagine però, a differenza del vaso di Rubin, l’illusione ottica non è data da un rapporto tra figura e sfondo. Lo sfondo rimane sempre quello e la figura anche. Si tratta infatti di una figura intrinsecamente ambigua, chiamata anche dagli psicologi della Gestalt come figura bistabile, proprio perché non è un’immagine che gioca sul rapporto tra figura e sfondo, bensì è dotata di una propria unità autonoma, ma che in sé stessa è ambigua. 

Interessante è osservare come l’illusione si manifesti proprio in questa unità. Ciò significa che la figura non può essere “scomposta” o divisa nei suoi elementi fondamentali, anzi se si scomponesse cadrebbe l’illusione percettiva. Ed è dunque nell’unità e nella completezza della figura che si innesca la doppia percezione. Anche in questo caso però, come per il vaso di Rubin, non si percepiscono le due figure in maniera contemporanea, ma la percezione permette solo di alternare tra una figura e l’altra. O si vede il coniglio o si vede l’anatra (Kaninchen und Ente). Non è forse questo un modo di tradire lo sguardo?

Illusioni ottiche nell’arte

I due casi analizzati (vaso di Rubin e anatra-coniglio) sono evidentemente immagini impiegate per un tipo di analisi psicologica. Si tratta di figure prese in considerazione appositamente per studiare, da un punto di vista rigoroso e analitico, quelle che possono essere le leggi che stanno alla base della percezione ottica di forme e figure. 

Come si anticipava all’inizio però, vi sono stati anche diversi artisti che, soprattutto nel Novecento, hanno sfruttato nelle loro opere l’ambiguità della percezione visiva, realizzando immagini enigmatiche, illusionistiche, che sembrano tradire lo sguardo.

Tra questi artisti, quelli che più hanno giocato sull’illusionismo percettivo furono sicuramente i Surrealisti, i quali, nelle loro opere, hanno spesso e volentieri affrontato questioni di carattere filosofico-psicologico.

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Salvador Dalí, Mercato degli schiavi con busto di Voltaire, 1940, Olio su tela, The Salvador Dalí Museum, St.Petersburg

Un esempio piuttosto noto e significativo è fornito dal dipinto di Salvador Dalí intitolato Mercato degli schiavi con busto di Voltaire. Nell’opera, come suggerisce il titolo stesso, viene raffigurato apparentemente un mercato degli schiavi. Al tempo stesso la relazione visiva tra le figure delle due donne vestite in bianco e nero e il varco che si apre in fondo alla struttura fa emergere anche quella che sembra essere, a tutti gli effetti, l’immagine di Voltaire. 

Anche in questa immagine, come nel caso della figura dell’anatra-coniglio, la percezione visiva dello spettatore si orienterà o sulle due donne e il varco, che costituiscono due elementi compositivi indispensabili nella scena del Mercato. Oppure sulla figura del busto di Voltaire, anch’essa però costituita dagli stessi due elementi.

Dunque, anche in quest’opera si è di fronte ad un fenomeno di figura bistabile. L’immagine è ambigua in se stessa. E l’ambiguità del fenomeno percettivo si manifesta non nei singoli elementi, ma nell’unità del dipinto.

Restiamo sempre nell’ambito del Surrealismo. Un altro grande pittore appartenente a questo movimento, la cui produzione artistica si fonda su un’attenta indagine riguardo alla natura stessa delle immagini e alla loro ambiguità, è René Magritte, uno dei maggiori artisti del Novecento.

Tra i suoi lavori più importanti e celebri vi è sicuramente l’opera intitolata, guarda caso, Il tradimento delle immagini, realizzata tra il 1928 e il 1929.

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René Magritte, La Trahison des images, 1928-1929, Olio su tela, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles

Si badi bene. In questa immagine non vi è traccia né di illusioni ottiche né di figure ambigue-bistabili, e nonostante questo è un’opera che affonda le sue radici nella più radicale delle ambiguità.

Nel dipinto, come si può ben osservare, Magritte illustra quella che sembra essere a tutti gli effetti una pipa. Subito sotto alla figura scrive: Ceci n’est pas une pipe (Questa non è una pipa), innescando dunque un paradosso. 

Il pittore in quest’opera compie un gesto tanto paradossale quanto significativo e denso di implicazioni filosofiche. Egli dipinge una pipa, ma al tempo stesso la nega scrivendo, appunto, che quella non è una pipa. Ma se non si tratta di una pipa, allora, che cos’è che rende una pipa tale? 

Che cosa sta a significare quella scritta? 

Molto semplice. Quella scritta è lì per dire che quella non è effettivamente una pipa, ma è l’immagine di una pipa. Dunque, l’essenza di una vera pipa è la sua possibilità di utilizzo.

In questo dipinto si ha, pertanto, la teorizzazione dell’immagine come dispositivo in grado di tradire la coscienza. Crediamo di essere di fronte a una pipa, semplicemente perché quell’immagine ce ne sta mostrando un esemplare. In realtà non si tratta davvero di una pipa, bensì della sua rappresentazione pittorica. Dunque, un’immagine che non consegna una pipa in carne ed ossa, da afferrare, maneggiare e utilizzare, ma fornisce soltanto la sua mera apparenza. 

FONTI

David Katz, Le leggi della forma 

CREDITI

COPERTINA

Immagine 1

Immagine 2

Immagine 3

Immagine 4 

Immagine 5 

Immagine 6 by calmansi

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