Resistere in Iran: Leggere Lolita a Teheran

In una società come quella iraniana, definita da Azar Nafisi “totalitaria”, la letteratura non è un lusso ma diventa una necessità. Ed è per questo che l’atto di “leggere Lolita a Teheran” ha una semantica completamente diversa rispetto a quella che potrebbe avere la lettura dello stesso romanzo in un paese diverso. E merita di essere raccontata come qualcosa di fenomenale, come un atto di vera e propria resistenza.

La storia

Il testo può tranquillamente accogliere su di sé l’etichetta di genere di romanzo, di autobiografia ma anche di saggio di critica letteraria. Esso racconta una storia, narrata in prima persona, che altro non è che la storia reale dell’autrice. Azar Nafisi era un’insegnante universitaria in Iran, prima di prendere la coraggiosa decisione di lasciare il proprio posto di lavoro. Al posto delle lezioni, decide di occupare il proprio tempo organizzando un gruppo di lettura con le allieve che ritiene più meritevoli e interessate agli argomenti trattati. La lettura dei libri oggetto di queste discussioni, inutile dirlo, è assolutamente vietata nel Paese.

Una delle motivazioni che spingono la professoressa Nafisi a lasciare il ruolo all’università è legata agli “abusi di potere”: la sua didattica e le sue scelte erano sempre state ostacolate in ogni modo possibile. Ma quando ha deciso di andarsene, le dimissioni erano state respinte. Ciò che Nafisi ha voluto rifiutare fortemente è correlato alla logica perversa che il regime segue. Come un’amica le ha detto una volta, “decidere quando andartene non spetta a te. È un diritto loro e di nessun altro”.

E questi loro di cui si parla sono gli stessi che lapidano le donne che commettono adulterio, gli stessi che puniscono le studentesse che corrono per le scale perché in ritardo per la lezione, che le puniscono se ridono, se parlano con un ragazzo, se trovano loro una cipria nella borsa durante le perquisizioni alla quale le donne si devono sottoporre. Questi e molti altri episodi compongono la quotidianità iraniana, narrata da Nafisi con la serietà che l’argomento richiede ma senza eccessiva pesantezza. Del resto, non si può non leggere il testo provando una grande empatia per la totale assenza di libertà sotto la quale vive Teheran.

Resistenza e libertà

L’unico reale modo per ”resistere” è “restare fedele al proprio scopo”:

Il peggior crimine di un regime totalitario è costringere i cittadini, incluse le vittime, a diventare suoi complici. Farti ballare con il tuo carceriere, così come farti partecipare alla tua esecuzione, è un atto di estrema brutalità. […]

L’unico modo per spezzare il cerchio e smettere di ballare con il carceriere è tentare di conservare la propria individualità, ciò che sfugge a ogni possibile descrizione eppure distingue ciascun essere umano dai suoi simili.

Per Nafisi nello specifico, il restare fedele al proprio scopo si concretizza attraverso il seminario organizzato in casa propria. Seminario che, del resto, ha anche un altro grande valore: come suggerisce all’inizio una delle alunne coinvolte, Manna, quel gruppo di lettura diventa “uno spazio tutto per noi”. Quindi, la celeberrima stanza tutta per sé di Virginia Woolf diventa qui una stanza comune, uno spazio condiviso, grande simbolo di sorellanza. Le ingiustizie che le donne sono costrette a subire accomunano tutte e le rendono tutte vicine, creano un legame che va oltre alle varie differenze di orientamento ideologico e religioso esistente tra loro.

A riprova del grande significato che questo gruppo assume, si sottolinea che questo non è l’unico riferimento che viene fatto al saggio della Woolf. E basti anche pensare al gesto significativo del togliersi, non appena entrate in casa, la veste e il velo che le donne sono costrette a portare. Il seminario diventa luogo di libertà assoluta.

Il rapporto con la letteratura

Lolita non è l’unico romanzo a essere citato: vengono nominati altri capolavori dello scrittore, come Invito a una decapitazione (che viene lungamente trattato, forse anche più di Lolita), come anche Ada o Ardore.  Ma Nafisi si serve di numerosa altra letteratura, perlopiù proibita in Iran, per esprimere dei concetti legati al modo di vivere nel Paese. C’è Il grande Gatsby, romanzo che non parla di adulterio come molti rivoluzionari credono ma di perdita dei sogni, ma anche la narrativa di Henry James, come il racconto Daisy Miller, e di Jane Austen.

La storia di Nabokov che dà il titolo al romanzo e la storia di Teheran si compenetrano a vicenda e si influenzano, fino a creare un tutt’uno che diventa inscindibile. È impossibile avere a che fare con Leggere Lolita a Teheran senza interpretarlo alla luce del contesto in cui Nabokov viene letto. Lo dice l’autrice stessa: Lolita ha donato un colore diverso alla città, mentre Teheran ha aiutato tutte le studentesse a leggere il romanzo in chiave diversa.

Azar Nafisi dà grandi insegnamenti ai propri alunni, ma anche ai propri lettori:

Un romanzo non è un’allegoria […], è l’esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai a identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. È così che si legge un romanzo: come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo. È tutto: potete andare.


FONTI

Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi, Adelphi, 2004

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