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“Ratatouille”: topi, prelibatezze e filosofia

Diretto dai geniali Brad Bird e Jan Pinkava, Ratatouille è un film d’animazione Pixar uscito nelle nostre sale nel 2007 e premiato con la prestigiosa statuetta d’oro dell’Academy.

Sullo sfondo di una Francia di fine anni Settanta, Ratatouille racconta la straordinaria storia di Remy, piccolo topo appassionato di cucina e dal gusto particolarmente raffinato, che abita in una colonia di ratti poco lontano da Parigi. Insieme a lui il padre Django, capo della colonia, e il fratello Emile, divoratore seriale di cibo. In seguito ad alcune vicissitudini Remy stringerà un rapporto di profonda amicizia con Alfredo Linguini, giovane cuoco imbranato alle prime armi, e insieme a lui riuscirà ad entrare nella cucina appartenuta al famosissimo Auguste Gusteau per conquistare Parigi a suon di prelibatezze.

Remy: topo rivoluzionario

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Acclamato da critica e pubblico, Ratatouille è senza alcun dubbio un piccolo capolavoro. Il film danza sul concetto di “improbabile” con grande leggerezza ed eleganza compositiva, riuscendo nella non semplice impresa di far convivere elementi solitamente distanti e difficilmente accostabili. L’idea stessa su cui si regge il film è un vero colpo di genio: topi e cibo. L’animale solitamente più lontano dal comune senso di pulizia viene qui accostato all’alta cucina. Il simbolo dello sporco e della fogna si sveste qui della sua pelle per farsi foriero di grandi piatti e raffinate ricette.

Se è vero che siamo quello che mangiamo, io voglio mangiare solo cose buone! (Remy)

Il piccolo Remy è un topo umile, dai grandi sogni e dalla inarrestabile forza di volontà. Un ratto a dir poco rivoluzionario, stufo dei pregiudizi che circondano la sua specie e alla ricerca di una dimensione nuova, che sappia elevarlo e permettergli di dare pieno senso alla sua vita. Negli occhi la luce della sera parigina, nel cuore l’indimenticabile motto del grande chef Auguste Gusteau: “chiunque può cucinare“.

Linguini, il rovescio della medaglia

A fianco del piccolo topo troviamo il coprotagonista del racconto. Alfredo Linguini è il cuore goffo di questa colorata pellicola, la controparte umana di Remy. Come lui si affaccia sul frenetico panorama cittadino colmo di speranze e insicurezze; come lui è alla ricerca di un posto all’interno dell’alta cucina parigina e sogna un futuro luminoso. Linguini è però l’apoteosi della sbadataggine; imbranato, un disastro ai fornelli, troppo timido per imporsi ed emergere. Il rovescio della medaglia, necessario alla svolta. Una svolta che segna la nascita dell’alleanza più improbabile, l’alleanza tra uomo e topo destinata a trasformare la vita di entrambi.

La ratatouille… se dai un nome a un piatto dovrebbe essere allettante. Ratatouille non è affatto allettante, sembra un mistruglio fra ratto e intruglio… (Alfredo Linguini)

Linguini è un personaggio splendido, l’anima del film e della storia. Giovane, imbranato, protagonista di gag comiche al limite del demenziale. Ma il suo vero ruolo è un altro. Linguini è l’unico personaggio in grado di vedere, di vedere oltre. Il primo in grado di superare il pregiudizio, a dare a Remy la possibilità di esprimere il suo vero Io. Linguini è un ragazzo sensibile, la cui grandezza risiede nella timida umiltà che lo caratterizza: infatti è disposto a fare un passo indietro e cedere il passo al “piccolo chef” che gli ha letteralmente trasformato l’esistenza.

Filosofia culinaria

Ratatouille è un film filosofico. Come tanti altri lungometraggi d’animazione guarda ai bambini e strizza l’occhio agli adulti. Un film vivace, allegro, profondo. Un film che ruota attorno alla celebre frase “chiunque può cucinare“. Una frase tanto breve quanto significativa, una frase che desta attenzione e forse, ad uno sguardo superficiale, anche ilarità.

Il motto di Auguste Gusteau aleggia tra i tetti parigini per buona parte della pellicola. Solo Anton Ego, l’altero e temutissimo critico culinario, riesce a sviscerarla in tutta la sua complessità prospettica. Solo Anton Ego intravede il vero significato di un’affermazione tanto azzardata. Non una patetica manifestazione di qualunquismo, bensì un orizzonte di speranza a cui chiunque, anche l’essere in apparenza più insignificante, può volgere lo sguardo.

Non tutti possono diventare dei grandi artisti ma un grande artista può celarsi in chiunque. (Anton Ego)

Ratatouille è una leccornia. Un’esplosione di gusto. Una brillante commistione di ingredienti prelibati. Ad insaporirlo sono i suoi personaggi, pensati per dare colore al progetto e non per apparire sotto una prospettiva esclusivamente macchiettistica. Da Remy a Linguini; dalla bella cuoca Colette, all’antipatico chef Skinner (successore di Auguste Gusteau); da Emile al cameriere. Tante anche le tematiche che trovano spazio, dall’importanza della famiglia all’amicizia, dall’amore fino alla prospettiva filosofica del mantra “chiunque può cucinare“.

Ratatouille riesce persino a sfumare il concetto di cattivo. Il nemico dei protagonisti non è tanto Skinner, che pure cerca di ostacolarli, o Anton Ego, la cui severità nasconde una profondità umana inaspettata. Il vero nemico è la chiusura mentale del mondo. Il vero nemico da sconfiggere è il pregiudizio. Quella piaga orribile che impedisce ai nostri occhi di vedere. Quella piaga orribile che avvelena il nostro sguardo rendendoci ciechi di fronte all’improbabile, componente essenziale per dare un po’ di colore alle nostre tristi e grigie prospettive.

Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. (Anton Ego)

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