musica e terra

Terra e musica: un’alleanza inscindibile

Il rapporto della Terra con la musica vanta una storia complessa. Si dice, infatti, che quest’ultima – intesa in senso moderno – sia l’evoluzione della poesia. Per tutta la storia della musica è sempre stata palese l’esistenza di un bivio, concernente l’attaccamento alla realtà. Alcuni poeti trovavano necessaria l’evasione dal mondo terreno, almeno nei loro versi. Scrivere e comporre diventavano sinonimi di sublimazione, di distacco dalla mera concretezza materiale e la creazione di un universo differente dove diveniva possibile l’amore per una donna inaccessibile in Terra o, addirittura, non era vietato vedere con i propri occhi Dio.

Altri invece ritenevano che, attraverso la poesia, si potessero spiegare e raccontare meglio le vicende terrene. La realtà non andava trasformata, nascosta o segregata agli occhi dei lettori. Anzi, la sua indiscutibile esistenza, con pregi e – molti – difetti, doveva essere analizzata, talvolta esaltata; in altri casi, semplicemente esposta. Questi due modus operandi sono ricaduti nella musica di qualsiasi genere, di ogni epoca.

Un tema che negli ultimi anni sta occupando sempre più pagine di giornali e schermate del web è quello dell’ambiente. Benché parlare di ecologia e aspetti green sia entrato in tendenza solo di recente, molti artisti del secolo scorso si erano già accorti del comportamento distruttivo che il fatidico genere umano stava conducendo e ne avevano parlato come meglio sapevano e sanno fare: attraverso le proprie canzoni. Su una melodia rock o su un ritmo prettamente pop, la Terra e il suo grido d’aiuto sono stati trasformati in musica. Ecco cinque canzoni straniere che costituiscono delle autentiche perle del panorama musicale.

L’avanguardia di Marvin Gaye e Mercy, Mercy Me (The Ecology)

Anno 1971. Il tasso di inquinamento cominciava ad alzarsi, insieme al numero dei danni provocati dall’uomo alla Terra, ma nulla in confronto a ora. Tuttavia, uno dei sovrani dell’R&B e del soul, Marvin Gaye, già chiedeva perdono al pianeta. Mercy, Mercy Me (The Ecology), infatti, è considerata uno dei primi inni in musica a tema eco-friendly. “Le cose non sono più com’erano una volta”: con questa constatazione, il cantante inizia a prendere atto della tragica svolta che sta prendendo la condizione ambientale. L’aria è inquinata, il petrolio ricopre la superficie degli oceani, il mercurio avvelena i pesci e gli altri animali muoiono: sembra quasi assurdo, a pensarci, che tutto ciò risalga a quasi cinquant’anni fa.

Oh mercy, mercy me
Oh things ain’t what they used to be
What about this overcrowded land
How much more abuse from man can she stand?

Non s’intravede nessun barlume di speranza. Gaye si rivolge così a un’entità superiore, a Dio, affinché possa aiutare la Terra a sostenere il peso degli abusi che non sembrano cessare.

I Five Years verso la distruzione di David Bowie

In apertura dell’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars del 1972, Five Years è un brano che se si analizzasse dal punto di vista letterario rientrerebbe nell’universo dei racconti apocalittici e distopici. Si tratta di un annuncio in musica dell’imminente distruzione della Terra a causa della mancanza di risorse.

News guy wept and told us
Earth was really dying
Cried so much his face was wet
Then I knew he was not lying.

Nello scompiglio generale Ziggy, il ragazzo incarnazione dello stesso Bowie, cerca di fotografare nella sua testa tutto quello che non potrà esserci più. Canzoni, trasmissioni televisive, gente magra e quella in sovrappeso: tutto scomparirà e la colpa porterà solo il nome di uomo. Se per lo scenario di devastazione, l’artista si basò, essenzialmente, sulle prime situazioni di emergenza ambientale in cui riversava la Terra, per i “cinque anni” trasse l’ispirazione da un sogno. Infatti, una notte gli apparve suo padre che gli disse che gli restavano solo cinque anni di vita.

Tra disastro ambientale e storico: Cuyahoga dei R.E.M.

Correva l’anno 1986 quando la rock band americana pubblicava l’album Lifes Rich Pageant, contente Cuyahoga, canzone in cui viene raccontato un duplice attacco da parte dell’uomo: uno nei confronti della Terra, l’altro verso individui della sua stessa specie. Infatti il Cuyahoga, fiume che scorre nei pressi di Cleveland in Ohio, è ritenuto uno dei più inquinati del pianeta, già a partire della prima metà del Novecento. Questo a causa dello sfrenato sviluppo dell’industrializzazione che interessò quelle aree nei tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso e che andò solo a peggiorare nei successivi, quando il rispetto per l’ambiente non veniva minimamente preso in considerazione.

Inoltre, quegli stessi luoghi erano stati abitati per generazioni dai nativi americani, brutalmente cacciati durante l’espansione coloniale verso l’ovest. Se il rimpianto degli indigeni avesse potuto essere messo in musica, avrebbe suonato sicuramente così:

Let’s put our heads together and start a new country up
Up underneath the river bed we’ll burn the river down
This is where they walked, swam
Hunted, danced and sang
Take a picture here
Take a souvenir.

Su sotto il letto del fiume inceneriremo il fiume”: con questo verso, in particolare, si ricordano i numerosi episodi in cui il Cuyahonga venne letteralmente “messo alle fiamme” negli anni Sessanta, per cercare di bruciare gli idrocarburi e le altre componenti chimiche dei rifiuti inquinanti scaricati nelle sue acque e che si concentravano sulla sua superficie. Questo brano è, al tempo stesso, un vero inno ecologista e una sorta di chiamata alle armi, un’esortazione a impegnarsi affinché tali errori non vengano più commessi.

La preghiera in musica della Terra: Earth Song di Michael Jackson

Se si parla di musica green, allora Earth Song rappresenta la richiesta d’aiuto fatta a gran voce dalla Terra. Uscito nel 1995, il brano è un autentico capolavoro del King of Pop, in cui denuncia il comportamento sconsiderato dell’umanità nei confronti del pianeta. L’ambiente, prima contraddistinto da inviolata purezza, è stato contaminato nelle sue acque e nell’aria. Gli animali si sono visti intaccati nei loro stessi habitat, dove regnavano sovrani. Infine, le guerre rappresentano una delle sferzate più dolorose, sinonimo di disunione e contrasti. In questa situazione di caos, la Terra grida straziata e disperata, sperando che qualcuno l’ascolti.

Did you ever stop to notice
All the blood we’ve shed before
Did you ever stop to notice
This crying Earth, these weeping shores
[…] What have we done to the world
Look what we’ve done.

Nel videoclip, Jackson ha unito immagini realistiche per rafforzare il messaggio della canzone mostrando scene devastanti, dalla deforestazione e l’inquinamento dell’ambiente all’uccisione degli elefanti a scopo di lucro, fino alla povertà estrema di alcune popolazioni. Non manca, però, un barlume di speranza. Nel video, esso è rappresentato da un violento vento che si scatena sulla terra devastata in cui si aggira il cantante, che coincide con i cori gospel del bridge del brano. Questa tempesta non potrà spazzare via tutto quello che è stato fatto, ma, forse, riuscirà a risvegliare le coscienze umane. Gli errori sono stati commessi, nessun individuo può nascondersi di fronte a questa responsabilità comune all’intero genere. Tuttavia, riconoscere gli innumerevoli sbagli è l’unico modo per impegnarsi a trovare una soluzione e a bloccare una catastrofe di portata ben più vasta, che altrimenti sarà inevitabile.

Colpevoli consapevoli: i Linkin Park con What I’ve Done

Ascoltando la canzone frettolosamente, sembrerebbe che tratti della presa di coscienza, da parte di qualcuno, dei propri sbagli. Leggendo il testo con più attenzione (e soprattutto guardando il videoclip), ci si rende conto che What I’ve Done sia la realizzazione di tutti gli errori commessi dall’umanità nei confronti del pianeta: la musica giunge in soccorso della Terra. I Linkin Park suonano in un ambiente desertico, mentre si alternano immagini dell’inquinamento delle fabbriche, dello scioglimento dei ghiacciai e delle carestie nelle diverse zone del mondo.

In this farewell
There’s no blood
There’s no alibi
‘Cause I’ve drawn regret
From the truth
Of a thousand lies
So let mercy come
And wash away
What I’ve done.

Lascia che arrivi la misericordia e che lavi via tutto quello che ho fatto”: dietro a questo “io” si cela ogni individuo che deve rendersi conto di ciò che ha compiuto e di come abbia trasformato il pianeta in un’angosciante copia della terra desolata di cui parlava il poeta Eliot.

Era il 2007. Chester Bennington e compagni se n’erano già accorti, mentre la maggioranza delle persone no. Dopo tredici anni, che cos’è cambiato?


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