Canada: la lotta per i diritti dei Land Defenders contro il gasdotto

Cosa sta succedendo?

Per settimane il Canada è rimasto letteralmente paralizzato. Oggi, una buona parte della rete ferroviaria nazionale ha ripreso il suo normale funzionamento, ma l’antidoto definitivo tarda ancora a essere trovato.

Da gennaio 2020, i membri della tribù indigena Wet’Suwet’en, affiancati dai loro sostenitori, hanno bloccato le reti del trasporto ferroviario canadese stanziandosi sui binari in protesta contro il Coastal GasLink Pipeline Project. L’incidenza del gesto ha comportato la cancellazione di tutti i collegamenti ferroviari orientali e un conseguente evidente disagio per l’economia. A incrementare la tensione, l’intervento della polizia conclusosi con l’arresto di alcuni attivisti impegnati nelle barricate, scatenando il dissenso dell’intera nazione.

Il Progetto: Coastal GasLink Pipeline Project  

L’origine dello scontro coincide con l’avvento del nuovo anno; infatti l’1 gennaio 2020 la Corte Suprema della Columbia Britannica, provincia direttamente interessata, ha concesso alla TransCanada, azienda a capo dell’imputato progetto, di proseguire con i lavori anche a scapito dei territori interessati dal piano.  

Il Coastal GasLink Pipeline Project, datato 2012, consiste nella costruzione di un gasdotto lungo ben 670 chilometri che trasporterà gas naturale dalla provincia della Columbia Britannica fino alla zona costiera, porto d’esportazione. Il progetto rappresenta un grande investimento da parte del governo canadese nei confronti dell’industria energetica, tanto da richiedere l’ingente somma di di 6,6 miliardi di dollari; un sostegno economico già annunciato, essendo uno dei pilastri promessa del programma politico del Primo Ministro Canadese Justin Trudeau, insieme alla lotta ai cambiamenti climatici e alla riconciliazione con i popoli nativi.

 

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I Protagonisti: First Nation Wet’Suwet’en          

Proprio quest’ultima utopistica volontà di riconciliazione con i nativi si scontra con il supporto finanziario volto a eliminare le difficoltà in cui versa l’industria energetica. La First Nation Wet’Suwet’en ha infatti da subito manifestato il proprio dissenso nei confronti del progetto e delle libertine modalità di applicazione del progetto concesse dalla Corte Suprema. Si è quindi rifiutata di consentire alla realizzazione del gasdotto nei territori di sua proprietà, per via delle poco chiare conseguenze che questo apporterebbe al suolo, alle riserve d’acqua e alla comunità stessa.

Da sempre i Wet’Suwet’en (tradotto “popolo del fiume”), che insieme alle altre comunità native rappresentano il 5% della popolazione nazionale, si battono in difesa dei propri diritti di nativi, riconosciuti e sanciti costituzionalmente nel 1942. La preservazione della cultura e del territorio è alla base dei principi della comunità indigena, estremamente legata a una terra che, ancora oggi, è costretta a difendere dalle apparentemente primarie volontà delle istituzioni nazionali. Il Popolo del fiume, personificazione della sostenibilità ambientale, combatte i combustibili fossili utilizzati dall’industria energetica in quanto causa dell’incremento di fenomeni climatici estremi, che danneggiano tanto l’ambiente quanto l’umanità stessa, a favore di una transizione energetica ecosostenibile basata su sole fonti rinnovabili.

La voce dei Land Defenders  

I Wet’Suwet’en lottano attivamente per i propri ideali, soprattutto quando vengono costituzionalmente ignorati.
Dal 6 febbraio il Canada è paralizzato: i membri della tribù Wet’Suwet’en hanno bloccato la rete ferroviaria regionale stanziandosi sui binari. A sostegno del popolo indigeno, manifestanti provenienti da ogni provincia del Canada hanno organizzato barricate interrompendo l’accesso a ferrovie, porti e ponti. In data 11 febbraio, il Women’s Coordinating Committee for a Free Wallmapu di Toronto ha confermato ben sei blocchi ferroviari in zone sensibili; una voce che non può più essere ignorata.
Il 24 febbraio la polizia, intesa negativamente dai manifestanti come mera pedina istituzionale, ha disperso i manifestanti che da settimane paralizzavano la rete ferroviaria nazionale, applicando quanto auspicato dal Primo Ministro Justin Trudeau. Proprio a quest’ultimo si rivolgono le critiche dei nativi, che lo accusano di non aver mai realmente preso in considerazione le richieste e le necessità della parte più povera e discriminata della nazione, nonostante la riconciliazione con la comunità indigena sia una promessa del programma politico del  Primo Ministro.

 

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Cosa succederà?

A seguito degli echi a livello internazionale dell’eclatante scontro fra manifestanti e polizia tenutosi l’ultima settimana di febbraio, i funzionari della provincia della Columbia Britannica hanno dato a TransCanada, responsabile del Coastal GasLink Pipeline Project, un ultimatum. Alla compagnia son stati concessi trenta giorni per giungere a un accordo con i nativi, in caso contrario il proseguimento dei lavori nei diciotto chilometri di territorio di proprietà degli indigeni non sarà realizzabile.

Il fatidico incontro è avvenuto in data 27 febbraio: dopo quattro giorni di discussione, è stato finalmente raggiunto un accordo che, previa applicazione, dovrà essere posto alla ratifica della comunità Wet’Suwet’en.
Nonostante l’invito degli enti governativi a ricercare un punto d’incontro fra le parti sia stato colto, a oggi, la fine della controversia non si è ancora concretizzata: le ultime proteste cronologicamente registrate nel mese di marzo includono il blocco di un ponte ferroviario in Quebec e parate di studenti universitari in tutto il Canada a sostegno della comunità indigena Wet’Suwet’en.

La lotta per i diritti dei Land Defenders è dunque una scintilla che si affievolirà ma che, pare, mai si spegnerà.

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