Il Cavaliere inesistente: una dimostrazione dell’a-temporalità dei veri classici

Tra perfezione, amore, esistenza e un po’ di guerra

Agilulfo non c’è… ma c’è. Non si vede ma si sente. Le sue azioni fanno la differenza, stravolgono il corso della guerra e portano soccorso agli indifesi. Ma di fatto, lui non c’è.

Uno degli esiti più brillanti e colmi di spunti di riflessione, frutto della sensibilità ineguagliabile di Italo Calvino, è Il cavaliere inesistente. Il cavaliere Agilulfo esiste in una condizione a dir poco sfuggente: di lui si coglie soltanto la luccicante armatura, una vuota, luccicante armatura, ma piena, riempita da un cavaliere inesistente.

La vicenda narra la storia di alcuni paladini di Carlo Magno e della loro guerra contro i Mori. Dopo una manciata di avvincenti capitoli, il lettore scopre che a narrare la vicenda è la monaca di un convento, la quale, di capitolo in capitolo, sembra mostrarsi sempre più appassionata e vicina al racconto… (non farò spoiler: il perché si paleserà solo a chi intraprenderà la lettura del romanzo).

Molti sono i temi degni di attenzione, che spingono a profonde riflessioni.

Un dettaglio che colpisce è innanzitutto l’inafferrabilità di Agilulfo. Personaggio particolare: è preso in giro dal Re Carlo Magno e dagli altri soldati, che sembrano però, al contempo, invidiarlo e ammirarlo. Agilulfo, infatti, esiste ma non esiste: proprio per questo non prova fatica, né fame, né sonno, né desideri. È a dir poco un soldato perfetto, imbattibile e precisissimo. Il suo cavallo corre più veloce di tutti gli altri, perché trasporta un’armatura vuota. I suoi colpi di spada non sbagliano mai bersaglio.

Non è un caso che si innamori di Agilulfo la bellissima Bradamante, unica “soldato donna” dell’esercito, di cui l’intero esercito (e soprattutto Romoaldo, giovane soldato chiave della vicenda) è follemente innamorato. Si racconta infatti che Bradamante abbia “provato” tutti gli uomini dell’accampamento, e, non soddisfatta da questi, si fosse innamorata proprio dell’unico uomo che, paradossalmente, non esiste.

La perfezione come modello irraggiungibile

Questo modello di perfezione che si trova nell’inesistente cavaliere è, a mio avviso, assai simbolico. È interessante notare quanto la perfezione che i soldati ammirano e cui ambiscono e il desiderio di possesso amoroso da parte di Bradamante siano situati proprio in Agilulfo, cioè in un qualcosa di evanescente. Come se la perfezione fosse un modello irraggiungibile. Quando cerchiamo di stringere fra le mani la perfezione, ci accorgiamo di star stringendo nient’altro che un pugno vuoto, o pieno di aria.

Il cavaliere inesistente è forse nient’altro che un modo per far capire che la perfezione stessa è inesistente, perché gli uomini sono fatti sì di anima e di intenti nobili (si spera), ma anche di corpo, e di passioni, e di paura di morire, o di non essere all’altezza, o di non essere amati. E forse è proprio questo a renderli perfetti. Verso la fine del libro, avviene che (riporterò la vicenda vagamente, così da non fare spoiler) Bradamante si trovi ad essere convinta di fare l’amore con Agilulfo, mentre invece sta facendo l’amore con un altro personaggio. Quando Bradamante si accorge dell’ “errore”, fugge via. Al contrario, il personaggio, le urla dietro queste morbide parole:

“Ma di’, di’, non è stato forse bello?”

E anche qui ci troviamo a riflettere: non è forse bello amarci in modo imperfetto? In modo fragile? In modo vero, con dei veri corpi e delle vere passioni: in modo umano, non in modo inesistente. Ambire alla perfezione ci porta all’annullamento di noi stessi. E questo, dal libro, si evince benissimo: più cerchiamo di essere perfetti, e più questa perfezione ci sembrerà un puntino lontano e irraggiungibile.

Lo stesso Agilulfo, che ho interpretato qui come emblema di perfezione, all’interno della mia cornice interpretativa, per se stesso, ai suoi occhi, non era perfetto. Agilulfo è un personaggio inquieto, che ha sempre bisogno di dimostrarsi qualcosa, alla disperata ricerca di una prova della propria esistenza.

Agilulfo e Gurdulù

Oltre a ciò, quello che più colpisce di questo romanzo è l’ossimoro fortissimo fra due personaggi: Agilulfo e Gurdulù.

Gurdulù è un pazzo che i soldati incontrano nei pressi del loro accampamento, durante una spedizione. È considerato pazzo perché ha l’istinto di immedesimarsi nelle cose che vede. Se vede una farfalla volare, lui subito pensa di essere quella farfalla e si mette a cercare di volare. Se vede un cavallo fa lo stesso. Divertentissima è a parte in cui si immedesima nel proprio piede, o nella pentola della minestra da cui sta mangiando. Carlo Magno assegna ad Agilulfo Gurdulù come scudiero (lo fa ovviamente per metterlo in difficoltà).

È toccante vedere quanto i due personaggi siano ossimorici ma anche identici, perché, a ben guardare, sono inesistenti in modo antitetico. Di fatto, si completano: se Agilulfo è inesistente fisicamente ma è dotato di una “forza mentale” che gli permette di esistere, al contrario, Gurdulù esiste fisicamente, ma non ha nessun tipo di rilievo psicologico effettivo, dal momento che si identifica nelle cose che lo circondano e si appiattisce nel mondo che vive inconsapevolmente.

L’attualità di Calvino

Calvino sembra che stia toccando un tasto di enorme attualità, forse senza saperlo: quanti di noi si sentono di esistere solo identificandosi in altro? Imitando qualcuno, vestendo un certo tipo di marche, facendo certe attività. Chi di noi davvero sa esistere senza bisogno di omologarsi o paragonarsi ad altro? Chi è perfetto solo sui social e propugna ideali di perfezione, che nella realtà non esistono?

O forse, d’altra parte, Gurdulù è troppo sensibile e altruista per vivere davvero, per essere davvero, e per questo si immedesima in ciò che vede. Un po’ come chi legge, un po’ come chi scrive, che mette in pausa la propria vita, dedicandosi a quella altrui. Non a caso lo scenario in cui si svolge la vicenda è proprio quello della guerra. Tutti siamo un po’ sempre in guerra, e ognuno di noi ha un’armatura sotto cui non vuole che si guardi.

Ecco la prova evidente del fatto che alcuni libri si chiamano “Classici” perché non passano mai. Interrogati in ogni momento storico forniscono risposte sempre attuali.

 


FONTI
Italo Calvino, Il Cavaliere inesistente.

Italo Calvino, Lezioni americane.

L’articolo è frutto di un’analisi libera di Esmeralda Moretti

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