“Shrill”: come imparare ad amare se stessi

Non c’è alcuna ragione straordinaria per cui dedicare il proprio tempo a Shrill. È una serie tv di seconda fascia, piccola piccola (dura meno di tre ore) e non particolarmente preziosa. Nella miriade di dramedy passati in tv negli ultimi anni quasi non la si nota. E se anche la si nota è molto probabile si sappia già che piega ne prenderanno gli eventi.

Shrill – disponibile negli Stati Uniti su Hulu e non ancora arrivata in Italia – racconta una storia di emancipazione femminile (che novità!). Il suo è uno di quei mondi a tinte rigorosamente tenui e rigorosamente inclusive, i cui personaggi sono assortiti come un vassoio di pasticcini che assecondi tutti i gusti (altra novità!). Tanto che il suo ordine perfetto sembra fatto apposta per mettere in risalto le sventure della sua protagonista, rigorosamente venti-e-qualcosa-enne e rigorosamente indaffarata con una crisi di vita (super novità!).

Non dovrebbe quindi servire ulteriore contesto per capire le intenzioni della trama. Cioè, far attraversare alla propria eroina un prato sconfinato di situazioni sconvenienti, mentre viene a patti con i propri travagli irrisolti per diventare finalmente adulta.

Nello specifico, i travagli di Annie (Aidy Briant), un’aspirante giornalista di Portland, in Oregon, hanno un peso proporzionale ai suoi chili. Ma soprattutto, alla considerazione che gli altri hanno dei suoi chili. Non c’è infatti un passo che abbia mosso senza imbattersi nel riprovevole sguardo di un qualunque individuo più magro di lei. Dopo un’infanzia trascorsa a deglutire i pasti salutari imposti – pur in buona fede – dalla madre (“Perché altrimenti non troverai mai un uomo”), Annie lavora adesso per un grassofobico che sotto sotto la ammira, ma preferisce comunque spronarla in pubblico con godibili insulti (“Corpo pigro, mente pigra!”). Se poi ci si mettono anche gli estranei (“Dentro di te c’è una persona minuscola che muore dalla voglia di uscire” le dice un’istruttrice di fitness incontrata al bar), si capisce molto bene perché Annie detesti il suo corpo.

La storia si mette in moto con la decisione di Annie di cambiare vita, senza però cambiare peso. La sua trasformazione non prevede diete, bensì la difficile scommessa dell’accettazione. La sfida è metter piede fuori dalla “prigione mentale”, come dice lei, che ingabbia un po’ tutti in questa società (la stessa che prima rimprovera la cantante Adele per i chili di troppo e subito dopo per quelli persi) ossessionata dall’apparenza. E poiché Shrill è una serie tv alquanto anticipabile, Annie ci riesce anche più in fretta di quanto ci si aspetti.

Il fatto strano, tuttavia, è che la vita di Annie non è il frutto di una sceneggiatura irrealmente romanzata. Annie esiste davvero: il suo nome è Lindy West, e i sei episodi della serie non sono che la trasposizione televisiva abbastanza fedele del suo libro Shrill: Notes From a Loud Woman, una raccolta di scritti molto arrabbiati e molto femministi, in parte tratti da suoi pezzi e post diventati virali.

Più che a una tradizionale serie tv, Shrill somiglia perciò a un insieme di gag, di episodi di vita sfiziosi, anche se non sempre spassosi. E una ragione straordinaria per cui dedicarle il proprio tempo c’è in realtà, ed è la sua protagonista.

Annie/Lindy è un personaggio tanto reale da essere raro anche per il dramedy, un genere che sul realismo delle emozioni ha costruito il suo pregio. Le sue anti-eroine sono quasi sempre un concentrato di causticità che serve a proteggere la propria fragilità. Ma pensando anche ad altre donne celebri, comiche e in sovrappeso – da Melissa McCarthy a Rebel Wilson – spesso l’aggressività del personaggio è la via prediletta per l’autoaffermazione.

Annie invece no. Annie è morbida tanto fuori quanto dentro, e non fa nulla per nasconderlo. Anzi, la morbidezza è un’insolita arma di difesa: Annie non controbatte a chi disprezza le sue curve; Annie reagisce con la massima gentilezza possibile. E non tanto perché come una qualunque Cenerentola si tratti della sua idilliaca filosofia di vita. Quanto perché il suo atteggiamento remissivo è il modo più rapido per sfilarsi dalla sofferenza del momento e provare a farsi accettare. Così, per paura del rifiuto, Annie si immobilizza, respira e trova il modo per deglutire l’offesa.

Per semplice timore di non poter avere – e meritarsi – di meglio dalla vita, Annie finge che vada bene così. Si accontenta di editare il calendario di redazione anziché scrivere articoli, come si accontenta della sua non relazione con Ryan (Luka Jones), un bambinone stolto e barbuto – ma impossibile da detestare – che dovrebbe vergognarsi molto più di lei, e invece le riserva la porta sul retro. Il bello di Shrill, è che indipendentemente dal proprio aspetto ci permette di capire Annie. Chi almeno una volta nella vita non si è sentito tanto inadeguato da voler scomparire, anziché puntare i piedi e battersi per affermarsi?

Man mano che assume consapevolezza – anche con una punta di naturale ed egoistico delirio di onnipotenza – la trasformazione di Annie diventa addirittura contagiosa.

Ognuno inizia a riflettere su quanto le proprie insicurezze influiscano sul modo di relazionarsi con gli altri. Vera (Julia Sweeney), la madre di Annie, realizza di essersi dedicata esclusivamente ai problemi altrui (l’obesità della figlia, la malattia del marito) per reprimere i suoi; Fran (Lolly Adefope), la migliore amica lesbica e protettiva, si rende conto di aver trattato le sue compagne esattamente come Ryan tratta Annie; mentre Ryan, per quanto l’intelletto possa concedergli, prova a evolversi in una figura più affidabile. Persino il troll che tormenta Annie ha un’effimera epifania: da ex obeso capisce che il suo disprezzo non è altro che rabbia repressa per non aver avuto lo stesso coraggio e la stessa sicurezza in sé che Annie rivendica nei propri pezzi. Peraltro, alcuni di quelli citati nella serie, come il famoso Hello, I’m Fat, si possono ancora leggere su «The Stranger», per il quale Lindy West scriveva.

Se tuttavia il personaggio di Annie pare reale, il merito non è soltanto di colei a cui si ispira, ma anche di chi la interpreta. Aidy Bryant, comica del Saturday Night Live e coautrice della serie, le presta curve, genuinità e una risata che è un soffice squittio. I lineamenti le si corrugano e distendono seguendo la danza di sentimenti contrastanti che prova Annie, mentre si guarda attorno per cercare il giusto input che la convinca a difendere il suo diritto ad amarsi così com’è.

C’è una scena nel terzo episodio di Shrill in cui Annie esita nell’attraversare la strada, vede una macchina arrivare, indietreggia e si scusa. Nel frattempo una donna la sorpassa. È in sovrappeso quanto lei, indossa una sinuosa tuta rossa e con il mento ben alto rivendica il suo diritto di precedenza senza nemmeno curarsi della macchina. Annie si ferma a guardarla, poi la segue inalando la scia di sicurezza che emana. Quella donna potrebbe essere lei. E per quanto non garantisca che la società cambi e le persone siano meno rancorose, iniziare a essere gentili con se stessi è assai liberatorio.


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