La città di Mosca, immensa e multiforme metropoli, è stata spesso fonte di ispirazione per artisti e scrittori russi, sino a diventare, in alcuni casi, la protagonista simbolica di diverse opere. Non stupisce, quindi, che anche Grigorij Služitel’ scelga la capitale come ambientazione per il suo romanzo d’esordio, Il mondo secondo Savelij, appena pubblicato da Francesco Brioschi editore.
A sorprendere, invece, sono gli occhi attraverso i quali ci è dato modo di scoprire la città e i suoi abitanti: quelli di un gatto. Protagonista e insolito narratore è infatti proprio uno degli amati felini, di nome Savelij. Nel romanzo, il piccolo Savelij offre un resoconto dei suoi viaggi per le strade cittadine, delle sue svariate avventure e delle ironiche e amare riflessioni che ne derivano.
La conseguenza primaria della scelta di un narratore animale è indubbiamente quella dello straniamento, procedimento – non a caso – noto a diversi scrittori russi della tradizione, da Tolstoj a Čechov e Bulgakov. Visto dagli occhi di un felino, il mondo degli umani è tutt’altro che scontato e molti elementi del paesaggio cittadino sono descritti da una prospettiva inaspettata e per questo comica. Savelij, ad esempio, talvolta non è in grado di capire quali siano animali e quali no, e si riferisce ai mezzi di trasporto come a dei veri e propri esseri viventi (“i baffi del tram”, “la pancia delle automobili”). Al tempo stesso, egli non può certamente sapere chi sia il presidente russo, e l’atteggiamento naif con cui lo guarda parlare in televisione provoca nel lettore un misto di tenerezza e amara ironia:
“Un uomo con la faccia seria, mezzo calvo e vestito di nero occupò la scena. Ci guardava con aria comprensiva e compassionevole. Dopo aver brevemente elencato gli avvenimenti positivi dell’anno appena trascorso, gettò uno sguardo entusiasta sull’anno a venire. Disse che sapeva che non facevamo una vita facile, e promise personalmente che nel nuovo anno le cose sarebbero andate meglio”.
Il punto di vista di questo originale narratore, però, non è caratterizzato solamente dall’ingenuità. Al contrario, sin dalle prime pagine è possibile comprendere che il protagonista del romanzo non sia un gatto qualunque, ma un osservatore particolarmente attento, che ha persino aperto gli occhi all’interno del grembo materno. L’effetto straniante, così, viene re-duplicato: se l’ingenuità del gatto è qualcosa di prevedibile, lo stesso non si può dire della consapevolezza che egli talvolta dimostra riguardo a tematiche sociali e politiche.
Lo sguardo curioso di Savelij, dunque, si dimostra capace di cogliere l’essenza della vita contemporanea, con le sue contraddizioni e i continui mutamenti. Non sfugge all’attenzione del piccolo Savva lo stato di decadenza e abbandono in cui versano numerosi edifici della capitale. Non sfugge, alla sua lucida osservazione, nemmeno l’andamento altalenante di un capitalismo importato e sregolato, causa dell’incessante succedersi di negozi sempre nuovi ma dalla vita estremamente breve.
Le vicende stesse della vita di Savelij, poi, portano alla creazione di un grande affresco umano, ritraente l’incredibile molteplicità degli abitanti di questa gigantesca metropoli. Innanzi tutto, la città di Mosca emerge come centro multiculturale, meta di movimenti migratori provenienti soprattutto dall’Asia centrale. Savelij, infatti, si ritrova a essere adottato da un giovane lavoratore di origini kirghize, e proprio mediante questo episodio l’autore riesce a mostrare le difficili condizioni di vita dei migranti asiatici, frequentemente costretti a vivere in condizioni di miseria e sfruttamento.
D’altra parte, l’umanità incontrata nel corso del romanzo è in generale un’umanità sofferente, molto spesso afflitta da una solitudine tipicamente moderna, che trascende dai confini di una nazione per incarnare un dolore condiviso e globale. Savelij non può fare a meno di notare le strane abitudini degli umani e i loro goffi tentativi di distrarsi dalle proprie paure:
“Nel vagone si stava stretti. Le anime mezze addormentate finivano di guardare le puntate delle serie TV appoggiando i tablet sulle schiene e sulle spalle dei vicini. La mia padrona agitava un intruglio brodoso che aveva versato in una bottiglia d’acqua e lo buttava giù tutto d’un sorso. Era il suo detox mattutino. […] Non tollerano il corso delle cose, gli umani. Hanno la testa piena di brandelli di nuvole, di ritagli di speranze, delle punizioni materne e di tutte quelle sciocchezze della TV, di internet e dei videogiochi, che a poco a poco rubano il posto alla memoria e che li aiutano a combattere sé stessi. Il loro unico nutrimento, la loro unica forza, sono le paure. Le paure che covano, dentro ognuno di loro. La paura di essere se stessi, di non corrispondere ai ruoli imposti dalla società, di restare da soli”.
Il piccolo eroe del romanzo, insomma, nel corso della sua vita diventa un grande conoscitore dell’animo umano e delle sue fragilità. È come se le lunghe vibrisse gli donassero la capacità di percepire i sentimenti delle persone, le loro infinite debolezze. In quanto animale domestico, si mostra lucidamente consapevole del ruolo che egli ha nel mondo degli umani, della consolazione che può portare loro ogni giorno.
“Gli operai, i guardiani, i poliziotti, i mendicanti e i vagabondi mi facevano mangiare a sbafo. In me riconoscevano se stessi. Se stessi, come erano dentro, a come gli era severamente vietato mostrarsi fuori, nella loro vita da adulti. Questi uomini protestavano. Non riuscivano a reggere il fardello di responsabilità e di senso del dovere che gli era stato affibbiato dalla sorte, ma erano costretti a rispettare le regole del gioco […]. È per questo che con me erano tanto buoni”.
Ed è proprio così: negli animali riversiamo tutta la nostra tenerezza in avanzo, osserviamo come in uno specchio la debolezza che siamo costretti a celare e impariamo ad averne cura. E proprio nel prenderci cura di qualcuno finiamo per curare anche noi stessi.
FONTI:
G. Služitel’, Il mondo secondo Savelij, Francesco Brioschi editore, 2020
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