Aghi

«E lui che cosa ti ha detto?».

«Niente, mi ha passato una mano tra i capelli e mi ha baciata».

«Ti ha baciata! Così! Al primo appuntamento!».

«E’ stato bellissimo! Non avevamo più fiato, non ci volevamo più staccare, continuavamo a baciarci».

La ragazza bionda sorride mentre dice queste parole, gli occhi luminosissimi e le mani che si muovono gesticolando a caso nell’aria.

«Ma tu l’hai vista, Chiara, la scorsa sera?».

«Chi le piace?».

«Paolo, penso».

«Oh! Che si butti allora! Che glielo dica!».

Capelli corti, neri, si sistema nervosamente sulla sedia di plastica della sala d’attesa.

«Penso di essermi innamorata».

«Penso che tu ci sia dentro, fino ai capelli!».

Qualche risata soffocata, un accavallarsi di gambe, un rumore di tacchi sulle piastrelle che puzzano di disinfettante.

«Penso davvero che questa volta sia quello giusto».

«Come fai a saperlo?».

Un sospiro smorzato, uno sguardo rivolto verso il soffitto, sognante, le labbra unite in un sorriso timido ed imbarazzato.

Riverso lentamente la testa all’indietro, sento i capelli scivolarmi dentro al maglione, appoggio la nuca contro il muro e mi metto a fissare le lampade al neon, la luce bianca e asettica. A stomaco vuoto, alle otto del mattino, quante persone prima di me ancora?

“Ho paura degli aghi. Ho paura del sangue. Ho paura della sensazione del sangue che esce dal mio corpo, ho paura delle vene. Svengo ogni volta”.

È questo quello che dirò appena entrerò nella saletta dei prelievi. Ripasso mentalmente le parole, una ad una, con gli occhi sbarrati nel nulla. Le ragazze sedute davanti a me continuano a chiacchierare, eccitate, esuberanti.

«Lo amo, credimi. Non ho mai amato nessuno in questo modo. E lui mi ama! Ne sono sicura. Lo sento».

Una coppia di pensionati, seduti uno accanto all’altro, con le rispettive cartelline piene di esami tra le braccia, mi guardano dietro gli spessi occhiali da vista. Io guardo fuori dalla finestra, il sole che non è ancora sorto del tutto, la luce ancora opaca, la nebbia che non è ancora andata via, il silenzio degli alberi spogli, dei rami senza foglie, magri, contorti sullo sfondo grigio del cielo e delle sagome indistinte delle case poco distanti ma che sembrano lontanissime.

“Dove sei, dove sei?” vorrei chiedergli. Con il telefono tra le mani aspetto un suo messaggio. “Ma dove sei, perché non sei qui con me, neanche con una parola?”.

Sola, seduta al mio posto, ad aspettare che mi chiamino per cognome, o per numero, quello scritto sul piccolo pezzetto di carta che ho buttato nella borsa senza nemmeno guardarlo.

«Tutte le persone che sono venute prima, niente in confronto a lui» dice la ragazza bionda mentre lascia la borsa all’amica e si alza per andare nella saletta dei prelievi.

“Niente in confronto a lui”.

L’amica sorride e la segue con lo sguardo fino a che non vede le punte bionde dei capelli scomparire dietro l’angolo. Il mio cognome è quello dopo il suo. Mi alzo, guardo l’infermiera, le ripeto la frase che mi sono preparata.

«Ho paura degli aghi. Ho paura del sangue. Ho paura della sensazione del sangue che esce dal mio corpo, ho paura delle vene. Svengo ogni volta».

«Non preoccuparti cara, non te le accorgerai neanche. Un minuto ed è tutto finito. Sdraiati pure. Dimmi, che cosa fai nella vita? Studi?».

Chiudo gli occhi, sento la pelle del collo nudo aderire alla pelle verde acqua della poltrona su cui sono semi-sdraiata. Nella stanza accanto a quella dove sono io, divise solo da una sottilissima parete di cartone, sento la voce della ragazza che continua a parlare del suo amore.

Il sangue freddo inizia a scorrere lungo il tubicino appoggiato al mio avambraccio, lo sento scivolare via da me, fuori da me. I quadrati del soffitto iniziano a girare, e l’odore di ospedale mi opprime i polmoni.

“Dove sei? Dovresti essere qui ora, a dirmi che va tutto bene. Va tutto bene”.

«Non dubiterò mai del suo amore. Mai. Mi da così tanto, mi da tutto ciò di cui ho bisogno. Lui mi protegge. Lui è il mio porto sicuro».

Mi lascio scivolare via insieme al mio sangue, perdo i sensi, e quando riapro gli occhi è come se avessi dormito per due giorni interi.

“Tu sei il mio porto sicuro, ma io non so più dove sei”.


 

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