Donne, da ineccepibili a scandalose: l’evoluzione del ruolo

C’era una volta una fanciulla che era bella, ma pigra e trascurata. Quando doveva filare, era così seccata che, se il lino aveva un piccolo nodo, ne strappava subito un mucchio e lo buttava a terra, tutto ingarbugliato. Ora ella aveva una servetta laboriosa, che raccolse il lino scartato, lo pulì, lo filò sottile, e con esso si face fare un bel vestito. Quando quella pigrona si sposò, e si stavano per celebrare le nozze, la fanciulla laboriosa danzava allegramente nel suo bel vestito, e la sposa disse: “Guarda, guarda, la ragazzina! Con ciò che scartò s’è fatta un vestito! Così agghindata è proprio carina , è bella a tempo, a menadito!”. Lo sposo l’udì e le domandò che cosa volesse dire. Allora ella gli raccontò che la ragazza portava un vestito fatto con il lino che lei aveva scartato. All’udirla lo sposo si accorse della sua pigrizia e della laboriosità della servetta; perciò piantò la fidanzata, andò dall’altra e la prese in moglie.

Questo breve testo intitolato Gli scarti è una delle tante favole raccolte e trascritte da Jacob e Wilhelm Grimm nelle loro Kinder – und Hausmärchen, notoriamente conosciute in Italia come le cosiddette Fiabe del focolare. Spesso equivocate come storie per bambini, queste favole appartenenti alla tradizione orale erano in realtà racconti che gli anziani nelle campagne narravano quando d’inverno la famiglia si stringeva intorno, appunto, al focolare, e accadeva che la maggior parte delle volte l’uditorio fosse composto soprattutto da bambini. Questo patrimonio che viveva nelle radici ormai secche della società tramandava, tra gli altri insegnamenti, un messaggio ben chiaro: la donna, per compiere il suo destino di madre e sposa impeccabile, deve darsi da fare.

Nei millenni il ruolo femminile è cambiato, sfumato, progredito e regredito passando da simbolo di fertilità, accompagnatrice di vita e rinascita nelle civiltà arcaiche, a oggetto inferiore sottoposto al controllo del pater familias che tutto ordina e comanda nel nucleo intimo della domus. Nonostante sia ormai un argomento noto che nel giro degli ultimi due secoli e poco più ha dato inizio a movimenti sociali in numerosi ambiti (psicologico, sessuale, musicale e persino geografico), ciò che stupisce è che da qualche anno a questa parte il gentil sesso abbia deciso di non lottare più per il solo riconoscimento del proprio contributo sociale, ma per una vera e propria riforma delle tradizionali attese e previsioni di comportamento da parte della metà in rosa del pianeta. Quello che si cerca di infondere è una corsa allo “scandalo” che sia in grado di competere con lo scalpore osceno da sempre tanto concesso quanto perdonato ai ruoli maschili. Com’è vero che, se in una pellicola o un racconto un personaggio maschile mantiene una condotta riprovevole per tutta la vita e si pente solo poco prima di passare oltre, tutti i suoi errori vengono perdonati per concedere lui la grazia della redenzione, altrettanto veritiero è che quando si tratta di un personaggio femminile che intraprende una via erronea, questo sarà automaticamente destinato a rientrare nella categoria dei cattivi non redenti, non per suo volere, ma per un’assoluta mancanza di disponibilità a considerare costei una figura in grado di pentirsi o tanto meno di meritare il perdono.

Ci si chiede allora: perché seguire le regole per essere ugualmente condannate a un giudizio negativo? Se il destino delle eroine è quello di non essere buoni esempi, tanto vale esserne di cattivi, ma pur sempre grandi. È così che nascono personaggi come Harley Quinn, Cersei Lannister, Emma Frost, Poison Ivy, Bellatrix Lestrange o Ramona Vega (quest’ultima dal recente film Hustlers). Sono tutte donne che competono per il potere, il cui motore si direbbe essenzialmente virile in quanto nella storia ha mosso i fili di numerosi eroi, ma da un decennio le eroine hanno strappato con le unghie e con i denti i ruoli più scandalosi ai loro rivali per dimostrare come anche mogli, spose, madri e serve possano essere assassine, spie e senza scrupoli, ma senza vergogna: non un’ombra di rimorso può infangare l’identità di queste figure tutt’altro che gentili.

Secondo una lettura sociale, si potrebbe dire che l’opprimente carico di aspettative nutrite verso coloro che da sempre hanno sostenuto le basi dell’operare umano, nelle sue caratteristiche più essenziali, e che infinite volte hanno lavorato in silenzio, magari con la fiducia, mal riposta, di essere un giorno ripagate per i loro sforzi, – e che ora hanno deciso di puntare i piedi e disattendere queste aspettative tanto care ai maschietti -, ha originato l’esatto opposto dell’insegnamento che le favole, i racconti, e nell’età più moderna i film hanno cercato di inculcare ripetutamente nel loro cervello come una sorta di litania ridondante che facesse da sfondo alla loro intera esistenza.

Cosa ne pensano tutte le donne che praticano lavori domestici fondamentali alla sopravvivenza della propria famiglia nei Paesi meno sviluppati e il cui apporto viene considerato superfluo per la produttività dell’economia? Gli studiosi hanno infatti stimato il valore monetario corrispondente alla produttività delle donne nella sola famiglia, ad esempio calcolando il denaro che si spenderebbe se non fossero loro ad occuparsene ma qualcuno di appositamente impiegato, e si è scoperto che il reddito nazionale lordo annuo del pianeta crescerebbe di circa un terzo. Sono infatti le donne che nei Paesi poveri producono più della metà del cibo, costruiscono abitazioni, scavano pozzi, seminano e coltivano le piante, fabbricano gli abiti necessari insieme a un lungo elenco di altre mansioni domestiche e non che nel XXI secolo persistono a essere sottovalutate e, di conseguenza, ignorate. La forza lavoro a perdere, in gran parte dell’Asia e dell’Africa, è sempre la loro e, in molti paesi del Sud del mondo, chi di loro ha già un impiego nell’industria continua a occuparsi di agricoltura in piantagioni e fattorie. Altri oggetti relativi alla cosiddetta economia informale sono prodotti da mani femminili: sartoria, produzione di birra, fabbricazione del sapone.

Cosa ne pensano le donne indiane che sono attualmente soggette al rischio di morte per dote? Spesso, infatti, si creano delle dispute per la somma di denaro che il padre della sposa deve al padre dello sposo durante i matrimoni combinati e che, più assiduamente di quanto si pensa, termina con la morte della ragazza o punizioni estreme: nel 2006 si sono registrati 7618 casi di questo tipo.

Cosa ne pensano le bambine morte prima di nascere per cause culturali? È molto diffusa, oltre alla mortalità infantile, la vera e propria consuetudine adoperata nei paesi più poveri di abortire nel caso in cui il neonato sia una femmina, perché vista come sola fonte di spese e preoccupazioni.

Cosa ne pensano le decine di migliaia di donne che in Africa muoiono per l’HIV? Questa malattia debilitante, trasmissibile, epidemica e letale, che indebolisce l’organismo e ne impedisce la capacità di combattere altre infezioni, colpisce in Africa ed Asia Sud orientale soprattutto le donne in giovane età, tenute nell’ignoranza e addestrate ad eseguire il volere di chi le comanda.

Davanti a questi dati disarmanti e in continuo peggioramento, la risposta delle donne può essere interpretata o come una totale perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni sociali che deludono sistematicamente le loro speranze e che le porta quindi ad accettare con rassegnazione il ruolo affidato loro da una società secolare che le vede colpevoli, oppure come una graffiante provocazione mirata a destare le menti che ancora non si sono decise a prendere una parte, un ultimo ed estremo tentativo di gridare cosa potrebbe accadere se quei personaggi dei racconti uscissero dalle pagine dei libri e capovolgessero la gerarchia sociale dei generi. Un messaggio chiaro che urla al compromesso, al riconoscimento, e che se non ascoltato può anche sfociare, in extremis, nelle ribellioni radicali di un intero genere, stanco e frustrato da innumerevoli tentativi di cambiamento.

 

FONTI

E. H. Fouberg, A. B. Murphy, H. J. de Blij, Geografia umana, Zanichelli, Bologna, 1994

Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe, Mondadori, Milano, 2018

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