Giappone, il “buco nero” della sottrazione dei minori

Paese buco nero della sottrazione dei minori, così è considerato il Giappone. Infatti John Gomez, Presidente della Kizuna chil-parent reunion, un’associazione che si batte per la difesa dei diritti dei bambini in Giappone, racconta di come annualmente siano quasi 150.000 i bambini che perdono la possibilità di vedere uno dei genitori. Questo fatto, racconta Gomez, è da considerarsi come una sistematica violazione dei diritti umani.

La Convenzione delle Nazioni Unite garantisce tali diritti sull’infanzia, ma il testo è stato ratificato dal Giappone solo nel 2014. Sono state importanti le numerose pressioni da parte della comunità internazionale; tuttavia, a livello legislativo, non sono presenti meccanismi che ne garantiscano un concreto rispetto.

Il contenuto della convenzione

La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata nel Novembre del 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si tratta in tutto di 54 articoli e, ad oggi, sono 196 gli Stati che hanno firmato per il riconoscimento di questi articoli. Parliamo, in estrema di sintesi, di riconoscere tutti i bambini e le bambine come portatori di diritti civili, politici, culturali ed economici. Dal momento della sua creazione, è la Convenzione che ha raccolto il più alto numero di ratifiche. In aggiunta agli articoli, poi, vi sono tre protocolli, ciascuno incentrato su un tema specifico. Riguardano i bambini in guerra, lo sfruttamento sessuale e le procedure di reclamo (in base alle quali anche i minorenni possono denunciare violazioni dei propri diritti).

L’articolo 9, in particolare, affronta varie questioni relative al rapporto tra genitori e figli. In primo luogo si assicura una vigilanza per evitare che il bambino non venga separato dai genitori contro la sua volontà, salvo decisioni di autorità competenti in materia. Viene poi riconosciuto come altrettanto importante il diritto del bambino a intrattenere rapporti con entrambi i genitori, salvo che ciò non vada contro l’interesse del fanciullo.

Legislazione interna

Il fenomeno della sottrazione dei minori è possibile in primo luogo per un motivo: tutte le questioni riguardanti affidamento e mantenimento dei figli, a seguito di una separazione, sono considerate questioni private, dunque non affrontate a livello legislativo. Il concetto stesso di affido condiviso in Giappone non esiste. Il tribunale che si occupa della separazione decide a quale genitore spetta la potestà del figlio, in seguito, offre all’altro la possibilità di visite saltuarie senza però fornire nessuno strumento in grado di garantirgliele.

Nella stragrande maggioranza dei casi il genitore che riceve la potestà è la madre. Quando un genitore riesce a ottenere una visita coi figli, il contesto in cui questo avviene è tutto tranne che informale e rilassato. Numerosi padri denunciano il dover rimanere in sale prefissate, l’impossibilità a portare regali o a fare foto e talvolta la presenza di assistenti sociali per tutta la durata della visita (che raramente supera un paio d’ore).

Il problema è il che il sistema, non avendo legislazione specifica, si è sviluppato attorno a prassi che sono divenute ormai difficili da sradicare. Gomez sostiene come siano gli stessi avvocati a suggerire al genitore che vuole divorziare di andarsene di casa e portare il figlio o la figlia con sé. Al resto pensa il tribunale. Continua Gomez: “La legge giapponese privilegia il principio di continuità: il fatto che il bambino rimanga con il genitore che l’ha portato via è più importante della continuità della famiglia”.

Casi concreti

L’ultima testimonianza in ordine cronologico viene da Scott McIntyre, un australiano che ha denunciato la situazione dopo che la moglie si è allontanata con i suoi due figli. L’uomo è stato arrestato e detenuto per un mese e mezzo a Tokyo per violazione di domicilio. Egli era andato nell’appartamento dove viveva la moglie per chiedere informazioni sui suoi bambini. È importante sottolineare come la coppia risulti tuttora sposata e non ci siano ordini restrittivi contro di lui, tuttavia egli non riesce a vedere i figli da ormai numerosi mesi. Inoltre, afferma di aver inviato numerose richieste all’avvocato della moglie e alla polizia, tutte però ignorate.

Non mancano casi che coinvolgono anche padri italiani, Tommaso ad esempio. Nel dicembre del 2016 la moglie si è allontanata da casa con i due figli, nei sei mesi successivi ha potuto vederli solo una manciata di ore e, al momento, non riesce ad avere più loro contatti da due anni. Evento simile è successo anche a Taro, in circostanze, almeno all’apparenza, inaspettate. Egli racconta di come stesse aspettando il rientro a casa della moglie e del figlio per la cena e, in seguito, insospettito dal ritardo, si è recato in un commissariato di polizia. Si è scoperto che alla donna non era capitato nulla, ma il giorno seguente Taro si è visto recapitare a casa la lettera dell’avvocato riguardante la separazione. A oggi sono circa quattro anni che egli non vede e non sente suo figlio.

Si tratta di una serie di situazioni ai limiti dell’assurdo, inconcepibili in un paese che viene categorizzato come all’avanguardia sotto molteplici aspetti. Il fenomeno era scarsamente conosciuto, almeno fino a pochi anni fa, anche nello stesso Giappone. Molti dei padri che denunciano questa situazione sottolineano come non avessero idea che tali eventi fossero così diffusi. Tralasciate le colpe relative alla fine di una relazione, resta ingiustificabile il vuoto normativo in merito all’affidamento dopo il divorzio.

Ugualmente assurda è l’impossibilità del padre di far valere il proprio diritto, per quanto riconosciuto al termine del caso giudiziario. Ne è un esempio il caso di Gianluca, al quale è stato riconosciuto il diritto di vedere il figlio per un’ora due domeniche al mese. Omettendo ogni giudizio sulla quantità di tempo assegnata, egli si è recato inutilmente nel luogo stabilito per quattordici volte. In nessuna di queste occasioni si è presentata la madre con il figlio, ma le istituzioni non sono in grado di agire per garantire il rispetto della sentenza.

Spinta al cambiamento

Negli ultimi anni sono diverse le associazioni nate per tutelare i diritti del bambino e del genitore separato. Ad esempio la K-Net, creata da Mitsuru Munakata, il quale si è visto sottrarre dalla compagna le sue due figlie. Queste associazioni, unite alle istituzioni internazionali che richiedono a gran voce un impegno sulla questione, stanno lentamente spingendo al cambiamento il Giappone. Bisogno di mutamento che deriva anche da ciò che sta accadendo nella società. E’ sempre più diffusa l’esigenza dei padri di essere coinvolti nella crescita e nell’educazione dei figli, ambiti in cui prima vi era esclusiva presenza femminile.

Nel 2018 furono gli Stati Uniti a inserire il Giappone nella lista degli stati che “mostravano esempi di inadempienza” in merito al rispetto della Convenzione. L’anno seguente, poi, è stato rimosso dalla lista, riconoscendo i suoi tentativi di miglioramento della situazione. Di fatto però, anora oggi, non esistono meccanismi in grado di garantire un rispetto totale della Convenzione.

In Italia?

Nel contesto italiano è stato inserito l’affidamento condiviso con la legge del 2006, viene così introdotto il principio della bigenitorialità. Con questo si afferma il diritto del bambino a mantener un rapporto continuativo con entrambi i genitori. Parallelamente a questo, l’ordinamento prevede anche che la responsabilità genitoriale ricada su entrambe le figure. Si garantisce quindi un rapporto continuativo tra genitore e figlio e in egual maniera il genitore deve garantire assistenza ed educazione nei suoi confronti. L’affidamento esclusivo invece, cioè quanto accade normalmente o quasi nel contesto giapponese, è considerata un’eccezione. La prassi infatti è l’affidamento condiviso, se poi sorgono motivazioni serie legate ad uno dei due genitori, allora è possibile fare richiesta dell’esclusività.

Il fatto che sia riconosciuto per legge l’affidamento condiviso non rende però la società italiana esente da problemi. Purtroppo non sono pochi i casi dei padri che, una volta separati, piombano in serissime difficoltà economiche perché non in grado di garantire il pagamento del mantenimento della moglie e dei figli. Un esempio recente è quello di un uomo che, in provincia di Milano, si è impiccato perché non più in grado di pagare il mantenimento dei suoi tre figli. A Trieste, un padre separato denuncia il proprio caso: a fronte di uno stipendio mensile di 1400, l’assegno di mantenimento a moglie e figlia raggiunge i 1000 euro mensili. Sempre Milano è lo sfondo della storia di un padre cinquantenne che denuncia di aver visto la figlia per soli due giorni in un anno, nonostante il giudice avesse stabilito con precisione i tempi per le visite. L’uomo afferma di non saper più a chi rivolgersi per ottenere il rispetto di quanto sancito dal tribunale italiano, i tempi dunque si allungano e inevitabilmente i rapporti con i figli si deteriorano.

Le stime più recenti parlano di circa quattro milioni di padri separati; l’80% di questi denuncia difficoltà a vivere con il proprio stipendio, e quasi 300.000 si classificano al di sotto della soglia di povertà. Sul territorio italiano operano diverse associazioni che si battono per il riconoscimento dei diritti dei padri e per rendere pubbliche storie che altrimenti cadrebbero nell’oblio. Tra queste è impossibile non citare l’Associazione Padri Separati, la prima e la più grande, presente in tutta Italia a partire dal 1991. Prima di tutto offrono incontri con legali esperti in diritto di famiglia, ma sono numerosi anche i percorsi con gli psicologi che garantiscono un’assistenza nel caso in cui la separazione si riveli particolarmente traumatica.

FONTI

Chiara Galvani e Federica Galvani, Lontani dai figli, Internazionale, febbraio 2020, numero 1344, pp. 46 – 49

Unicef.it

Reuters.com

Ilgiorno.it

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