L’amore pietrificato: Camille Claudel e Auguste Rodin

La mia vita è stata un romanzo… anzi un’epopea, come l’Iliade o l’Odissea, tanto che ci vorrebbe Omero per raccontarla. Io non vi impegnerò di più oggi e non desidero rattristarvi. Sono caduta in un baratro. Vivo in un mondo così curioso, così strano. Del sogno che fu la mia vita, questo è l’incubo.

Nessuna donna modellò la pietra come Camille Claudel, e di questo si accorse subito lo scultore Auguste Rodin, che senza di lei non avrebbe potuto trasformare la pietra in carne e la carne in pietra.

L’incontro delle anime

Camille aveva gli occhi blu, occhi che esistono solo nei romanzi d’avventura e forse nel mare che lambisce qualche spiaggia inaccessibile. Il suo talento era all’altezza di quegli occhi, tanto che a 12 anni dichiarò che avrebbe dato la sua vita unicamente per scolpire la pietra. La pietra era la materia più dura, e alla ragazza piaceva tanto perché le ricordava il cuore di sua madre, la stessa che l’aveva abbandonata.

Nel 1884, Auguste aveva poco più di 40 anni, Camille nemmeno 20. Nonostante la sua giovane età, possedeva però un talento e una bellezza selvaggi, e un artista come Auguste se ne accorse subito. Scelse Camille sotto tutte le forme possibili: allieva, modella, amante ma soprattutto come Musa.

Lui era già sposato e aveva una figlia poco più giovane di Camille. Ma i loro corpi e le loro anime si mescolarono alla ricerca di ciò a cui anime e corpi anelano quando giocano a fondersi: qualcosa che è oltre loro e che, purtroppo, sfugge sempre. Tuttavia, la loro ansia di costruire l’infinito prevalse sia sull’anima sia sul corpo.

I sacrifici di Camille

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L’amore dà la forma all’identità degli amanti, così come l’ispirazione alla pietra grezza. Camille faceva da soggetto a lui e lui a Camille. Poi però l’equilibrio si spezzò, e la giovane donna cominciò a scolpire le mani e i piedi delle sue statue, rinunciando alle proprie.

Un bambino iniziò a crescere nel grembo di Camille, ma lei aveva già cominciato a sacrificarsi ad Auguste e alla sua ispirazione. Solo il marmo poteva avere e dare vita, non certo un grembo, e così Camille decise di pietrificarlo, di non dare alla luce quel figlio tanto desiderato.

Sperava però che Auguste prima o poi l’avrebbe sposata, così che le loro vite finalmente si sarebbero fuse in quel groviglio di pietra e carne che erano diventati, ma lui aveva idee chiare sin dall’inizio. Auguste voleva solo imparare dal talento selvaggio di Camille e metterlo al servizio della sua arte. Uno scrittore, un poeta, un artista, ama solo ciò che lo porta all’opera e ciò da cui essa può sgorgare.

La separazione delle anime

I due si separarono e Camille iniziò, come aveva già fatto con il loro bambino, a distruggere le sue opere, cioè se stessa. Non doveva nascere più nulla. La giovane donna aveva paura, pensava che Auguste potesse spiarla e rubarle le statue o le idee.

Dopo una breve storia d’amore con Debussy, allo scopo di far ingelosire Rodin, Camille si chiuse in casa con i suoi gatti. Il fratello di Camille, Paul, fu poeta, perché il demone creativo era di famiglia. Provò a leggerle i suoi versi, incoraggiandola a riprendere lo scalpello in mano cosicché la sua anima ritrovasse la via verso la realtà, ma non ci riuscì.

Finite le statue, infatti, Camille volse il martello contro sé stessa. Quella che il mondo chiamò pazzia era solo la coerenza di chi cerca di sentire la vita attraverso il sangue, di chi cerca di espiare le proprie colpe con la sofferenza che si infligge, come se si potesse espellere il male con il male.

Gli anni in manicomio

Il manicomio, a differenza di Auguste, aprì a Camille le sue braccia. Lo scandalo di aver attratto un uomo sposato ricadde tutto su di lei, come si è sempre fatto nella storia e come si suol fare tuttora. Proprio per questo motivo, nessuno andò a trovare Camille, nemmeno la sua famiglia.

Camille è morta sola, il 19 ottobre 1943, dopo ben 30 anni di manicomio. Lui, invece, era morto già da tempo.

Le statue della giovane artista sono collocate in una sala del museo dedicato oggi ad Auguste Rodin, a Parigi. Gli uomini, da sempre, celebrano i sacrifici che compiono, trasformandoli in trionfi.

Nella sua vita d’artista e da musa, Camille ha conosciuto il grembo del disamore: non come la pietra diventa carne, ma come la carne diventa pietra.

FONTI:

Alessandro D’Avenia, Ogni storia è una storia d’amore, Mondadori, 2017

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