"Motherless Brooklyn": Edward Norton

“Motherless Brooklyn”: Edward Norton non convince

Non un brutto film. Non un bel film. Motherless Brooklyn – i segreti di una città, in sala lo scorso novembre, è solo un film come tanti altri, costretto nel grigiume di una mediocrità che fatica a coinvolgere e appassionare. Una pellicola fin troppo caotica e dalla preoccupante mancanza di coraggio, forse incapace di sfruttare a pieno il suo potenziale.

Diretto e interpretato da Edward Norton, Motherless Brooklyn, ambientato nel grigio panorama di una New York anni Cinquanta, ripercorre le vicende dell’omonimo libro di Jonathan Lethem e ci racconta la storia di Lionel Essrog. Salvato da un orfanotrofio violento quand’era solo un bambino, Lionel deve molto alla generosità del suo benefattore Frank Minna e, insieme ad altri tre uomini, lavora per lui in una agenzia investigativa. Affetto dalla sindrome di Tourette, Lionel fatica nelle relazioni sociali, ma la sua strabiliante memoria fotografica lo rende un investigatore abile e capace.

L’inesperienza genera caos

I primi minuti della pellicola fotografano alla perfezione la struttura confusionaria dell’opera. La scelta di un’introduzione in medias res all’interno della vicenda, gestita con scarsa efficacia, risulta tra l’altro condita da una sceneggiatura decisamente non all’altezza. Il numero di nomi e situazioni presentate è infatti troppo elevato e, nonostante l’obiettivo del regista sia creare domande e curiosità nella mente dello spettatore, l’effetto che ne deriva tende invece a originare un evidente senso di disorientamento dello stesso.

Una difficoltà direttiva è riscontrabile anche nella gestione delle numerose piccole trame intermedie e intrighi della pellicola. La sensazione infatti è che, sebbene giunti ai titoli di coda ogni pezzo della storia sia andato al suo posto, la strada che il regista ha voluto percorrere sia inutilmente complicata e, soprattutto, non dia il giusto spazio a questioni secondarie che finiscono per essere trattate solo superficialmente.

Sembro un fenomeno da baraccone ma nella mia testa il casino è più grosso.
Lionel Essrog

Diciannove anni dopo Tentazioni d’amore, Edward Norton torna dunque alla regia con un film che difficilmente lascerà il segno negli anni a venire. Al di là dei problemi di gestione già menzionati, la direzione risulta infatti piuttosto piatta e priva di particolari virtuosismi. Le poche eccezioni in merito non bastano a compensare quella che appare un’evidente mancanza di coraggio da parte del regista, quasi intimorito dalla macchina da presa e incapace di guidare e modellare con saggezza un materiale sicuramente complicato.

Atteggiamento che ben si riflette anche nella scelta dell’interpretazione di un personaggio quale Lionel Essrog. Il giovane è solo l’ultimo di una lunga lista di ragazzi disturbati a cui Edward Norton ha prestato volto e voce. Dopo Schegge di paura, American History X e Fight Club, solo per citarne alcuni, sembra che Norton abbia faticato e fatichi tuttora a disfarsi del ruolo che lo ha lanciato fra i grandi di Hollywood.
I fasti di Tyler Durden sono però un lontano ricordo e, sebbene l’interpretazione di Norton sia comunque di livello, il suo Lionel Essrog sembra a tratti solo una parodia di quel Rain Man che nel 1988 consegnò l’ennesima statuetta al grande Dustin Hoffman.

Luci e ombre

Una corretta analisi di Motherless Brooklyn non può tuttavia trascendere dall’evidenziare alcuni indubbi aspetti positivi del film. L’ottimo comparto fotografico restituisce un’immagine credibile degli anni Cinquanta e descrive una New York buia e dai toni cupi, che ben riesce a fare risaltare la componente di mistero ed oscurità che si cela fra le fitte trame della pellicola.

Sullo sfondo newyorkese, insieme a Norton, si muovono inoltre attori di tutto rispetto. Nonostante i pochi minuti sullo schermo, Bruce Willis offre al pubblico un discreto Max Minna, confermandosi attore poliedrico e forse a tratti sottovalutato. Convincenti anche le prove di Alec Baldwin nelle vesti del subdolo calcolatore Moses Randolph e Gugu Mbatha-Raw in quelle di Laura Rose. Senza naturalmente dimenticare un ottimo Willem Dafoe, la cui espressione facciale riesce in parte a compensare i difetti di sceneggiatura che poco approfondiscono il suo Paul Randolph, trascinato nella spirale di superficialità che coinvolge molti dei comprimari.

Quello che succede ai poveri non interessava ieri e non interesserà domani.
Laura Rose

Motherless Brooklyn è dunque un film di luci e ombre. Una pellicola terribilmente appesantita da difetti evidenti e che avrebbe probabilmente richiesto una regia di maggiore esperienza. Una regia che fosse in grado di gestire con più saggezza una materia tanto intricata. Una regia che, se necessario, si dimostrasse abbastanza coraggiosa da distaccarsi persino dall’opera originale di riferimento. Edward Norton perde dunque una grande occasione per affermarsi ad alti livelli, ma dovrà presto decidere quale strada intraprendere. Se innalzarsi tra i mostri sacri della settima arte, o perire nel triste cassetto hollywoodiano del “ciò che avrebbe potuto essere”.


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