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#Macheaspettateabattercilemani? Il “Mistero Buffo” di Dario Fo

“Ma che aspettate a batterci le mani?” Chi non ha mai canticchiato l’incipit teatrale più famoso al mondo? Così si apre Mistero Buffo, il capolavoro teatrale e letterario di Dario Fo. Un’opera d’arte assoluta, un unicum nel suo genere. Un intrigo di popolarità e leggenda, letteratura e spettacolo dal vivo. Fu presentato per la prima volta nel 1969 e andò in scena per più di mille repliche, riscuotendo un successo inaudito. Mistero Buffo è il capolavoro grazie al quale Dario Fo fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. La motivazione esposta dall’Accademia di Svezia nel momento dell’assegnazione è stata:

A Dario Fo… che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati. […] Se c’è qualcuno che merita l’epiteto di giullare, nel vero senso della parola, questo è lui. Il misto di risa e serietà è il suo strumento per risvegliare le coscienze sugli abusi e le ingiustizie della vita sociale.

Quello a Dario Fo fu un Premio Nobel molto criticato, al punto che si parlò di “schiaffo alla cultura italiana”. L’élite criticava infatti il nuovo approccio rivoluzionario al teatro, approccio disprezzato e definito “circense”. Non veniva infatti accettata la ripresa di quel teatro popolare, da secoli ormai tenuto in ombra. Lo stile comico-grottesco delle farse medievali e delle “giullarate” era accantonato per lasciare spazio alla tragedia o alla commedia borghese, insieme alle imponenti regie di Strehler. Tuttavia la motivazione del premio appare fin troppo chiara. Dario Fo fu un rivoluzionario. Comprendendo la realtà con un velo di comicità e sarcasmo, è stato in grado di destrutturare la società stessa. Dario Fo ha messo in crisi l’apparato sociale come mai era stato possibile in precedenza. Il riso, infatti, desacralizza, distrugge.

Dario Fo ha distrutto la barriera che separava il teatro alto da quello popolare, creando un genere artistico fruibile dal pubblico vasto. Lo spettacolo teatrale non è più dunque predominio delle classi colte e l’intero popolo è legittimato a immedesimarsi e ridere di fronte alle “giullarate” di Mistero Buffo. Ciò fu possibile grazie alla ripresa di un teatro comico popolare e legato alla terra, tipico delle tradizioni di provincia e degli antichi borghi medievali. In un viaggio attraverso la cultura e la tradizione italiana ed europea, Dario Fo ha riscoperto l’arte del cantastorie, dell’autore e dell’attore e ne ha creato una sintesi nel personaggio che egli stesso ha portato sul palcoscenico. Perché, infatti, Dario Fo è ben presto passato alla storia (soprattutto in Italia) come il “poeta-giullare“.

Dario Fo come “poeta-giullare”?

Il giullare, in occitano “jongler“, è il “giocatore”, “colui che gioca”. In effetti, nella tradizione medievale, il giullare era prima di tutto un giocoliere, un intrattenitore nelle piazze e durante le festività. Era però anche un suonatore o un cantastorie, un mimo e un acrobata. Insomma un artista a tutto tondo. Il giullare conosceva leggende popolari nonostante fosse analfabeta e recitava davanti al pubblico. Si può dunque affermare come il giullare sia l’antenato diretto dell’attore di strada, o di commedia dell’arte.

Dario Fo è stato in grado di sintetizzare la maschera del giullare e integrarla alla propria personalità. Quello che egli ha realizzato è stato infatti un vero e proprio travestimento, un mascheramento. La maschera-giullare costituisce infatti la prospettiva da cui osservare il mondo e la realtà. Questo filtro permette dunque di utilizzare un registro linguistico e stilistico basso, quasi animalesco. Dario Fo inventa infatti il grammelot, un pastiche linguistico tra dialetto, italiano e parole inventate. L’obiettivo è quello di creare una lingua il più possibile evocativa e fonica, comprensibile prima di tutto grazie all’udito. Accanto alla lingua diventa fondamentale la gestualità e l’espressività facciale. Dario Fo infatti non utilizza una maschera (come invece avviene nella tradizione della commedia dell’arte), proprio perché il suo intero viso diventa una maschera. Molto famose sono infatti le sue smorfie e celeberrimo è il monologo “Fame dello zanni” o “La resurrezione di Lazzaro”.

Dario Fo sintetizza a livello recitativo la tradizione della “commedia dell’arte” e l’abilità letteraria del poeta-testimone. Attraverso la comicità più pura e terrena, sdogana un atteggiamento elitario, mettendolo in ridicolo. Con Mistero Buffo Dario Fo offre prima di tutto una testimonianza poetica. L’opera è infatti costituita da una raccolta di racconti popolari, ciascuno focalizzato su specifici personaggi. In particolare, i brani contengono argomento biblico e sono ispirati ai vangeli apocrifi o a episodi della vita di Gesù. In Dario Fo si può dunque parlare di recupero totale del personaggio del giullare. Egli è infatti saltimbanco e acrobata, ma anche cantastorie. Mistero Buffo, un insieme di “giullarate” appunto, sono testimonianze dell’io che recita sul palcoscenico.

La recitazione di Dario Fo si carica dunque di un impegno sociale. Sfrutta la risata per dare origine al pensiero, sdogana un atteggiamento attraverso l’intrattenimento. In un’intervista, Dario Fo e Franca Rame affermano:

Ma dovete capire: per noi recitare non è solo un mestiere, ma è anche e soprattutto un divertimento. Che raggiunge il massimo del piacere quando riusciamo a inventarci nuove situazioni e buttare all’aria convenzioni e regole. Speriamo di comunicarvi questo nostro spasso e di riuscire a sorprendervi, farvi ridere e magari pensare.

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