L’anima dei luoghi: il progetto di Edoardo Tresoldi

Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.

Avete mai pensato al paesaggio come a una scultura? Avete mai pensato che una casa, un albero, possano avere una propria personalità, una propria identità? Avete mai immaginato che un luogo possa avere un’anima propria?

edoardo tresoldi

Qualcuno forse non l’ha mai fatto, altri probabilmente sì. Tra questi c’è sicuramente Franco Arminio, autore della poesia sopraccitata tratta dal libro Cedi la strada agli alberi. Sulla stessa scia si muove il lavoro di Edoardo Tresoldi, un under 30 considerato ad oggi tra gli artisti più influenti al mondo.

La storia dell’artista

Edoardo Tresoldi nasce e cresce a Cambiago, un paesino dell’hinterland milanese. Qui, tra una rotonda, una superstrada e una palazzina anni ’70, spuntano qua e là dei cascinotti diroccati. In questo contesto, l’artista inizia ad appassionarsi e a incuriosirsi al paesaggio e alla sacralità che domina alcuni luoghi. Nel frattempo, finisce gli studi all’Istituto d’Arte di Monza e a 20 anni si trasferisce a Roma, dove inizia a lavorare come scenografo.

Nel 2013, un amico lo invita a partecipare a un festival d’arte urbana in Calabria. Edoardo accetta, spinto anche dall’istinto, dall’idea, dal desiderio di voler ritornare a parlare di paesaggi e di natura. Realizza così la sua prima scultura, Il collezionista di venti: è semplicemente la figura di un uomo, seduto su un muretto, davanti al mare.

L’idea è quella di raccontare una storia senza artifici tra edifici; per farlo, Tresoldi decide di utilizzare la rete metallica e la trasparenza. Cerca di realizzare un’opera che sappia inserirsi nel luogo in maniera timida, senza imporsi, come se fosse una comparsa di un film. Molto presto, però, si rende conto che è il paesaggio stesso la vera essenza di cui è fatta la sua prima opera.

Non solo in Italia

Dopo un periodo di ricerca, Edoardo realizza a Londra l’opera Control. Con Control presenta, ufficialmente, il concetto di materia assente, il punto focale attorno al quale ruotano tutti i suoi soggetti. Con questa idea, l’artista definisce la rappresentazione di una proiezione mentale attraverso la quale raccontare luoghi, istanti, enti. Tramite questa materia nascono quindi opere scultoree, vive, in grado di generare esperienze tanto personali quanto collettive che si evolvono attraverso gli elementi che le compongono.

Il percorso di Edoardo Tresoldi continua. L’artista matura e decide di iniziare a creare anche delle installazioni caratterizzate da volumi che inglobassero il paesaggio, così da valorizzarlo. Inizia quindi a immaginare di realizzare delle architetture, nel paesaggio, in cui l’orizzonte delimita il pavimento, le montagne entrano nelle pareti e le nuvole decidono quanto siamo lontani dal cielo. Così, realizza in Inghilterra la sua prima cupola. E se negli archetipi classici la cupola rappresenta la volta celeste, nella sua architettura è proprio la volta celeste la materia che delimita la cupola.

La commissione più importante

Passano pochi anni e finalmente arriva la commissione più importante, il lavoro che avrebbe permesso a Edoardo di concretizzare tutta una serie di riflessioni sviluppate sul paesaggio, sul luogo e sulla sua sacralità. In questo caso l’opera viene fatta a Siponto; per chi non la conoscesse, si tratta di una piccola località vicino a Manfredonia, in Puglia, il cui parco archeologico custodiva le fondamenta di un’antica basilica paleocristiana, scomparsa quasi 1000 anni fa.

Così, attraverso la trasparenza, Edoardo Tresoldi ricostruisce la basilica sparita: la riporta, attraverso la sua essenza, alla sua dimensione più eterea. Una chiesa sospesa nel tempo, che mostra principalmente la sua assenza raccontando la sua storia, la sua sparizione; al tempo stesso però esprime l’identità e la sacralità del luogo in cui è stato fatto l’intervento. Tutto diventa più tangibile e gli archetipi architettonici cominciano a fondersi con quelli naturali: i muri diventano montagne, il soffitto la volta celeste.

La Basilica di Siponto, alta circa 15 metri, è l’opera più importante di Edoardo, quella che gli farà ottenere la Medaglia d’Oro dell’Architettura Italiana – Premio Speciale alla Committenza 2018, istituito dalla Triennale di Milano con il Mibac.File:Basilique Santa Maria di Siponto et reconstitution de la basilique paléochrétienne-1.jpg

La potenza dell’arte

Ma quindi, cosa significa pensare al paesaggio come una scultura? Cosa vuol dire scolpire il paesaggio?
Scolpire il paesaggio significa fare di un luogo un’opera d’arte viva, che respira e si evolve con gli elementi del luogo. Significa generare un’esperienza in grado di metterci in connessione con l’identità, ma anche con la sacralità di un luogo. Scolpire un paesaggio è scoprire un paesaggio. E chi meglio può raccontare questo tipo di storie se non l’arte?

L’arte ha la capacità nascosta di raccontare la poetica di un luogo. Perché l’arte, attraverso la poesia, può darci delle chiavi di lettura che la sola logica non è in grado di fornire.

 

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