Animazione digitale e computer grafica: la sfida Pixar

Venticinque anni fa, la casa di produzione Pixar rilasciava nelle sale cinematografiche Toy Story, il primo film d’animazione totalmente realizzato tramite computer grafica (dall’inglese computer graphics), una tecnica per l’animazione digitale che permette di realizzare e modificare immagini e video digitali. L’uscita di Toy Story ha segnato un grande traguardo per il mondo dell’animazione sul grande schermo e nel corso di questi anni, grazie a studi sempre più attenti e soluzioni ricercate, la Pixar ha compiuto un grande percorso di trasformazione. Rivediamo le tappe principali dell’evoluzione dagli anni Novanta a oggi e le difficoltà non indifferenti che Pixar ha dovuto affrontare. 

L’alba di Toy Story

Già nel 1995, Toy Story aveva rappresentato fin da subito una grande scommessa per il mondo dell’animazione: attraverso le avventure di Woody e i suoi compagni, Pixar aveva scelto di dare vita al mondo dei giocattoli, il sogno nascosto di molti piccoli spettatori. La strada per raggiungere un buon risultato era piena di ostacoli: in particolar modo rendere realistici i dettagli umani e il pelo dei personaggi animali sembrava essere la sfida più dura. 

Lavorare a ciascuna scena comportò l’impiego di molte ore e più di un centinaio di computer al lavoro per ventiquattro ore al giorno per ricreare ogni singolo personaggio nella maniera più realistica possibile. Per diminuire i tempi di produzione, Pixar non si fece scappare alcuni trucchetti del mestiere.

Per esempio, in Toy Story possiamo notare come le figure umane non compaiano spesso per intero: sfruttando il punto di vista dei giocattoli, veri protagonisti del film, i realizzatori del cartone decisero di far comparire soltanto alcune parti del corpo (spesso mani o piedi) per evitare di dedicare troppo tempo all’elaborazione dei dettagli del viso o delle espressioni facciali. La seconda sfida riguardava il pelo degli animali: solo nei sequel del film sarà possibile notare l’evoluzione e la dedizione dietro alla creazione dei personaggi pelosi.

Un percorso a ostacoli

Questo avvio al mondo dell’animazione digitale fu soltanto la prima tappa di un lavoro tutto da approfondire: da quel momento in poi infatti, Pixar non smise mai di porsi sfide e obiettivi sempre più ambiziosi, cercando di migliorare gli aspetti più ostici di questo tipo di produzione. Solo quattro anni dopo uscì Toy Story 2, dove già iniziarono a vedersi i primi passi avanti: le figure umane erano globalmente più realistiche e arricchite di dettagli.

Nel 2001 poi, grazie a Monsters & Co., Pixar mostrò il proprio avanzamento nella resa del pelo dei protagonisti, per cui ogni singola parte doveva seguire in maniera precisa i movimenti dei personaggi. A dare una svolta decisiva allo sviluppo dei lavori fu Simulation, un programma ad hoc: le forze che agiscono sui corpi, velocità e accelerazione andavano tenute in considerazione insieme all’osservazione del mondo reale. Questi studi furono utili poi anche negli anni successivi per la creazione dei paesaggi di Alla ricerca di Nemo e Cars.

Il successo di Nemo e Cars

E fu proprio Alla ricerca di Nemo a rappresentare un altro traguardo significativo per il mondo Pixar: le avventure del pesce pagliaccio più famoso del mondo si svolgevano negli abissi marini, ambiente che modifica la percezione degli oggetti in movimento in modo non indifferente. Anche qui i produttori presero ispirazione dal reale mondo subacqueo: particolare attenzione venne data alla luce e ai suoi effetti sott’acqua. Questi due elementi primari, luce e acqua, diedero non pochi grattacapi alla squadra di lavoro Pixar: vi fu un attento lavoro sui colori degli oggetti e sui movimenti animali, grazie ai quali Pixar fu in grado di migliorare la resa del mondo naturale e artificiale

Per quanto riguarda Cars, vennero dedicate molte ore di lavoro alla carrozzeria di Saetta McQueen e degli altri protagonisti a quattro ruote: ricreare la lucidità del metallo fu al centro del progetto per questo cartone. Anche qui il fulcro di tutto fu la questione della luce e il suo effetto sui vari materiali, anche nei lavori degli anni successivi i produttori fecero attenzione ai vari accorgimenti per rendere il tutto sempre più vicino alla percezione reale. 

I traguardi più recenti

Negli ultimi anni Pixar continua a coltivare il desiderio di voler dimostrare la propria abilità nel campo dell’animazione digitale: con Coco (2017), la luce è di nuovo protagonista, con milioni di punti illuminati all’interno di ogni immagine. Inoltre, l’ambientazione della trama ha permesso alla casa di produzione di cimentarsi nella realizzazione di scheletri e abiti colorati e voluminosi, tipici della tradizione.

Tutti questi sviluppi hanno portato nel 2019 all’uscita dell’ultimo capitolo di Toy Story: a un primo sguardo sono immediate alcune differenze con il primo film nella resa dei giocattoli, dei movimenti e dei personaggi umani, segno che nell’arco di un quarto di secolo dietro ogni pellicola c’è stato un lavoro attento e instancabile.

Dunque, lo sviluppo dell’animazione digitale, grazie al ruolo di Pixar, è stato veloce e costante, per dedicare sempre più attenzione alla cura dei dettagli. Queste tecniche, se ben sfruttate, sono la chiave per sprigionare la fantasia e far apprezzare il mondo dei cartoni a grandi e piccoli.

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