L’uccisione di Soleimani e i complicati rapporti Iran-Usa

Anno nuovo, vita nuova”, dice un famoso detto. Mentre molte persone stilano liste di buoni propositi per il 2020, augurandosi il meglio per i successivi dodici mesi, Donald Trump sembra non aver intenzione di cambiare le sue abitudini. Infatti il 2019 del Presidente degli Usa si è concluso con l’impeachment, e il nuovo anno si è aperto in modo tutt’altro che sereno. Il 3 gennaio, Trump ha dato il via libera ad una missione speciale che Bush e Obama hanno sempre (saggiamente?) evitato.

Si tratta dell’uccisione del generale Qassem Soleimani, il comandante della Divisione Quds e grande regista politico dell’Iran. Il raid ha avuto luogo dopo l’atterraggio di Soleimani a Baghdad, con una scorta minima e un convoglio di due veicoli. Dopo aver attraversato una strada vicina allo scalo, dove erano piazzati velivoli spia Usa, l’obiettivo è stato centrato da un missile sparato da un drone.

Soleimani guidava le Al Quds, forze d’élite dell’esercito iraniano che hanno l’incarico di compiere le operazioni all’estero. Inoltre aveva stretto rapporti con gruppi in Afghanistan, Iraq, Libano, Siria e nei Territori palestinesi. Dunque, si muoveva in una vasta regione, ed era lui il vero architetto della politica estera iraniana. Dopo l’attentato dell’11 settembre propose agli americani di unirsi contro i talebani, ma l’accordo saltò quando Bush inserì l’Iran nell’“Asse del Male”.

Il rapporto tra Usa e Iran è teso sin dal 1979, a partire dal sequestro di 52 dipendenti dell’ambasciata americana in Iran, rilasciati dopo più di un anno. Questo servì al regime per farsi conoscere al mondo, e fu anche un’eclatante dimostrazione di antiamericanismo. Una delle principali preoccupazioni degli americani riguarda il nucleare iraniano. Ancora una volta Trump ci ha messo lo zampino, quando era ancora all’inizio del suo mandato. Infatti nel 2015 era stato firmato il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), noto come accordo sul nucleare iraniano. Questo è stato stipulato tra l’Iran e i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti), e in aggiunta la Germania.

L’obiettivo era quello di impedire all’Iran di sviluppare una tecnologia tale da consentire la costruzione di ordigni atomici. L’accordo, comunque, gli permetteva di proseguire il programma di produzione nucleare per usi civili. In cambio, Stati Uniti, Unione Europea e Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno rimosso le sanzioni imposte al Paese. Ecco però che, come già preannunciato durante le elezioni, Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo. Questo è stato un primo attacco del Presidente statunitense all’Iran. Le motivazioni della sua decisione hanno in un certo senso un fondo patriottico, in quanto Trump si è rifiutato di scendere a patti con un Paese che ha ucciso e torturato prigionieri americani. Inoltre, secondo l’allora neo-presidente, l’Iran non avrebbe rispettato l’accordo, in base a quanto riportato in alcuni documenti emersi in quel periodo.

Sta di fatto che dopo l’uccisione di Soleimani, l’Iran ha affermato che non rispetterà più gli impegni presi con l’accordo del 2015. La risposta all’affronto americano non si è fatta attendere: Teheran ha promesso una dura vendetta, sicuramente rivolta contro i siti militari statunitensi.

Infatti, poiché ad ogni azione corrisponde sempre una reazione, l’Iran ha lanciato un attacco missilistico contro le basi americane. Dopo questo attacco, Trump ha chiesto alla Nazione nemica, durante un discorso alla Casa Bianca, di “abbracciare insieme la pace”. Quest’azione è stata vista come una vittoria mediatica e strategica, tale da distogliere l’attenzione dall’impeachment.

Il livello di allerta rimane però altissimo a Baghdad, dove si consiglia caldamente ai civili americani che si trovano sul posto di lasciare l’Iran. Ma non è finita qui: si teme infatti che l’Iran possa colpire i pozzi petroliferi in Arabia Saudita e Kuwait con i missili. Questo creerebbe un danno non da poco all’economia globale.

Le tre parole che hanno invaso qualsiasi giornale e telegiornale nei giorni scorsi sono inevitabilmente “terza guerra mondiale”. C’è davvero il rischio che possa scoppiare un conflitto a livello mondiale? Ci sono pareri contrastanti, e come sempre quando aleggia una notizia del genere, i media acuiscono l’allarmismo. C’è chi dice che l’Iran è consapevole della forza dell’esercito americano e che non si arrischierà a dichiarare guerra a un nemico più forte. D’altro canto, sulla maggior parte dei giornali (soprattutto italiani), sembra che il conflitto mondiale sia dietro l’angolo. Non resta altro che aspettare ulteriori sviluppi.

Mentre una parte del mondo brucia senza tregua, ecco che un altro incendio, figurato fortunatamente, rischia di divorare tra le sue fiamme accordi, vite e pace.

FONTI

ilsole24ore.com

ilsole24ore.com

Guido Olimpio, “Le spie, un drone, gli Apache. Morte dal cielo per Soleimani”, Il Corriere della Sera, sabato 4 gennaio 2020 (pag. 2-3)

Lorenzo Cremonesi e Viviana Mazza, “Il generale dell’intrigo e delle guerre”, Il Corriere della Sera, sabato 4 gennaio 2020 (pag. 4-5)

Andrea Nicastro, “Teheran promette “dura vendetta” e chiama a raccolta le piazze sciite”, Il Corriere della Sera, sabato 4 gennaio 2020 (pag 6)

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