Nadia Comăneci, la piccola fata comunista

Nadia Comăneci: tra i giovani di oggi questo nome è spesso sconosciuto; per gli adulti, come per chiunque sia appassionato di sport, si tratta di un nome che è entrato nella leggenda. Nadia infatti è stata una ginnasta rumena dal talento ineguagliabile, conosciuta a livello mondiale. Tuttavia, dietro la grande sportiva, vi è stata innanzitutto una donna, prima ancora una ragazza, che ha patito molte sofferenze legate alla sua popolarità.

Nadia Comăneci nasce infatti in un contesto storico molto particolare: in Romania, uno dei tanti stati-satellite del Unione Sovietica, vige il regime dittatoriale di Nicolae Ceaușescu. Nella Repubblica Socialista di Romania (che rimane in vigore dal 1967 al 1989) la maggioranza della popolazione soffre la fame, a causa dell’arretratezza e della povertà del paese. La popolarità di Nadia diventa fondamentale per Ceaușescu, perché grazie alle sue vittorie il mondo intero punta per la prima volta gli occhi sulla Romania.

La futura campionessa si proietta nel mondo sportivo a soli tre anni, presso la società sportiva Flacăra (Fiamma). All’età di sei anni entra a far parte della società sportiva condotta da Béla Károlyi e dalla moglie Marta. Gli allenamenti sono ovviamente quotidiani e molto duri. Nadia comincia a partecipare ai campionati rumeni raggiungendo buoni successi: tuttavia, gli anni delle prime grandi vittorie sono il 1973, in occasione del Junior Friendship Tournament, e il 1975, ai campionati europei di Skien in Norvegia.

È però il 1976 l’anno d’oro della giovane ginnasta rumena. Nadia partecipa infatti ai Giochi Olimpici di Montréal, in Canada, eseguendo un numero perfetto alle parallele asimmetriche. Talmente perfetto da meritare un dieci, voto mai dato prima: sul tabellone, che non prevedeva la possibilità di segnare un numero a quattro cifre, compare il numero 9,99. Seguono momenti di grande confusione, il pubblico è esterrefatto e la nazionale rumena sbigottita, ma ben presto è chiaro che si tratta di un errore del computer. Nadia ha ricevuto un dieci, la perfezione, che otterrà altre sei volte nel corso della stessa Olimpiade.

I giudici non hanno dubbi sul fatto che la ragazza, appena quattordicenne, meriti quel voto. Il numero è stato eseguito senza alcun errore: non un’esitazione, nemmeno un indizio di instabilità. Un’esibizione limpida, pulita. Nadia viene denominata la “fata comunista”, o anche la “Lolita Olimpica” per la sua agilità e la sua forza, così abilmente nascoste sotto un corpo piccolo e magro. Ciò che colpisce è infatti anche il modo di porsi della giovane atleta, così diversa per il fisico (era alta 1.50 m, pesava appena 40 kg e aveva un fisico piatto e asciutto), ma anche per la serietà: è anche nota per il fatto che “non sorrideva mai”. A suo dire, infatti, un sorriso avrebbe potuto farle perdere qualche millimetro di equilibrio.

Nadia diventa così la più giovane atleta a ricevere il massimo punteggio ai Giochi Olimpici. Tornata in Romania, è accolta con tutti gli onori e le viene conferito il titolo di “Eroe del lavoro socialista”. Il dittatore Ceaușescu fa di lei il simbolo della propaganda comunista e la invita sempre più spesso a palazzo. Qui, però viene notata dal figlio del dittatore, Nicu Ceaușescu, e le viene imposto di diventarne l’amante, pur avendo lei solo 17 anni.

Inizia dunque l’incubo di Nadia Comăneci, la campionessa coperta di gloria dai connazionali, ma sempre più distrutta nell’animo. È infatti costretta a subire i soprusi fisici e psicologici di Nicu, noto per essere misogino e violento. Le viene regalata una casa lussuosa, ma è costantemente osservata e non può più vedere liberamente i suoi famigliari. Nel frattempo, prosegue tra grandi successi la sua vita di ginnasta. Nel 1980 ottiene nuove vittorie ai Giochi Olimpici di Mosca e nel 1981 conquista cinque ori alle Universiadi di Bucarest. È però anche il periodo in cui la campionessa tenta di arginare il successo, per esempio provando a ingrassare. La decisione più grave è indubbiamente il suo tentativo di suicidio, testimonianza della sofferenza che Nadia porta con sé.

Esasperata dal proprio dolore, nel 1984 l’atleta sceglie di ritirarsi. Seguendo l’esempio dei suoi allenatori, decide di fuggire dalla Romania, dove la dittatura di Ceaușescu ormai vacilla, sotto la spinta dell’instabilità del regime sovietico. Una notte di novembre del 1989, Nadia fugge a piedi, camminando per sei ore e attraversando il confine dell’Ungheria, dove la aspetta un amico. Viene infine accolta negli Stati Uniti come rifugiata politica.

Qui Nadia incomincia una nuova vita. Diventa modella di abbigliamento sportivo e soprattutto incontra Bart Conner, un ginnasta statunitense che l’aveva vista per la prima volta proprio a Montreàl, nel 1976. Bart non ha dimenticato la giovane libellula volteggiante, con cui aveva scattato una foto, che mostra a una Comăneci ormai adulta. I due approfondiscono la conoscenza e, nell’aprile del 1996, si sposano in Romania. La coppia attualmente gestisce una accademia di ginnastica negli Stati Uniti. Nel 2006 hanno infine avuto un figlio, Dylan Paul Conner, considerato da Nadia “il suo più grande successo“.

La parabola di Nadia Comăneci si conclude con un finale positivo, quasi fosse una bella favola. L’ex-atleta non ha però dimenticato i lutti del passato, di cui tuttavia preferisce non parlare. Si è apertamente schierata contro ogni forma di abuso in campo sportivo, sottolineando la necessità di una figura che controlli la sicurezza dei bambini, che devono vedere lo sport come una bella occasione per crescere, divertirsi e allenarsi senza alcun secondo fine.

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