Riflessione filosofica: c’è ancora spazio per la fede?

Nel 2015 viene resa pubblica la seconda enciclica di Papa Francesco, dal titolo Laudato si’. L’argomento principale dello scritto è il rispetto dell’ambiente, un invito pastorale alla cura del creato. Il titolo riprende i celebri versi del Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi:

Laudato si’, mi’ Signore,
cum tutte le Tue creature

Le parole del santo chiamano infatti alla «cura per ciò che è debole» e ad una «ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità», secondo le parole del Papa.

Conviene interrogarsi, oggi più che mai, sull’essenza di questo Cristianesimo, sulla necessità liturgica e pastorale di sollecitare alla cura per il “creato”. Estendere quindi i concetti cristiani di “fratellanza” e “amore” dal solo essere umano a tutte le “creature” animali, vegetali, ecologiche e anche solo “materiali”.

La riflessione su questi orientamenti religiosi e spirituali della Chiesa Cattolica del XXI secolo, che portano persino la figura del Papa a prendere parte attiva nella lotta agli sprechi, agli sfruttamenti e alle rapine contro l’ambiente, ci conduce a mettere sostanzialmente in discussione alcuni degli aspetti fondamentali del nostro modo di capire il mondo e di guardare con occhio critico alla nostra forma di vita. Un messaggio, quello papale/pastorale, che va dritto al cuore della nostra società moderna. Ma a che diritto, potrebbe chiedersi l’individuo laico e razionale del XXI secolo, il discorso di fede del Papa potrebbe avere qualcosa da dire sul nostro mondo, sul mondo di tutti, credenti e non? Come può il discorso religioso avere ancora un valore, riconoscibile e rispettabile sia da “chi crede” sia da “chi non crede”?

L’uomo come “individuo”

Almeno per quanto riguarda il mondo occidentale, quasi tutti gli individui attualmente in vita sono nati e cresciuti nell’ottica capitalistica di un mercato concorrenziale, di una produzione massiva e di una corsa al consumo. Lo schema marxiano, che era già uno spauracchio aristotelico, dello schema danaro-merce-danaro (D-M-D’), è universalmente applicabile ad ogni ramo della società, dal più astratto lavoro speculativo al semplice vivere comune.

Ognuno di noi partecipa alla logica di questa struttura storica come ingranaggio fordiano o come parte attiva, come datore o come fruitore, come sfruttato o come sfruttatore, come alienato o come alienante, etc. Questo senza però che tali coppie binomie definiscano mai in maniera lineare (e quindi risolvibile) il fenomeno multiforme e diacronico del “capitalismo” e dei suoi modi di produzione, tratta e consumo.

Quella moderna è una logica di relazione inter-umana basata su individui almeno potenzialmente “liberi”, “autonomi” e “uguali” – almeno i cosiddetti «cittadini attivi» (Kant), che spesso si limitano concretamente al solo maschio, bianco, occidentale, in età adulta, di classe media. Per questo, è solo una logica di individui, non di relazioni. Una razionalità che si basa sull’atomismo sociale e che considera ogni costrutto relazionale come un fenomeno derivato, secondario. Si vedano a tal proposito le principali forme di “contrattualismo”.

L’essere umano, insomma, non è subito l’aristotelico animale politico. Non è quell’animale determinato fondamentalmente dalle relazioni umane che instaura con i suoi simili. Egli è prima di tutto una forma civilizzata (affinché) dotata di un’integrità morale che lo rende in grado di “condurre i propri affari”, quali essi siano, dalla mera sopravvivenza alla concorrenza finanziaria. Un individuo, come intuiva Locke, libero di essere e primariamente libero di possedere, pur se civilmente e nei suoi limiti. È a un individuo del genere, insomma, che si rivolgono le aspettative di qualunque religione contemporanea, compresa quella del Laudato si’ di Papa Francesco.

L’aspettativa è quella di far emergere, attraverso qualsivoglia “fede”, l’assolutezza di uno “spirituale” dalla discretezza delle relazioni “materiali” che instaura l’individuo moderno, l’unico tipo di relazioni che può essere instaurato da una monade completa nella sua utilità a se stesso e per se stesso. L’invito francescano a «curarsi del più debole», in prima battuta, è un disincentivare lo sfruttamento di quest’ultimo. È al rapporto di “potenza” (e spesso “prepotenza”), infatti, che si dirige l’agire reso possibile dall’individualismo moderno.

Alla fede in qualsivoglia dio o ideale non resta quindi che il tentativo di inibire la prepotenza, di far emergere dello “spirituale” da quella visione del mondo composta di rapporti produttivi, tecnici, economici, ontologici, scientifici, filosofici e morali che l’individuo moderno ha esercitato, una visione spesso troppo fredda, impersonale e che talvolta rischia di scadere in una violenza distruttiva.

Da un rapporto “Io-Tu”…

Continueremo quindi sul solco della “fede cristiana”, giacché si tratta dell’esempio globalmente più diffuso di “fede”, ma nella consapevolezza che il discorso è facilmente estendibile ad ogni ramo dell’esperienza spirituale, da quella emergente per “fede in se stessi”, “fede in un’utopia”, “fede nella pace”, etc. Infatti, ad interessare il discorso del Laudato si’ e delle iniziative liturgiche ad esso legate, non è un concetto di fede dogmatica e “conciliare”. Non si tratta di un’innovazione sul piano della lettura della Bibbia o sulla scoperta di un nuovo dogma religioso.

La fede di cui si parla e a cui si rivolge lo spiritualismo contemporaneo è meditativa, riflessiva, cognitiva, e riguarda la capacità del singolo di trovare un senso al proprio mondo, a prescindere da ogni istituzione religiosa o cultuale. È una fede che si riconduce al rapporto “Io-Tu” di cui tratta l’omonimo saggio del filosofo e teologo Martin Buber. Un rapporto personale, spontaneo, originario,“affettivo”. Il “Tu” può essere un oggetto della mente, un dio, una previsione, un animale. Il tutto collegato all’individuo in una piena personalità. Non parla a un organismo, né a una materia, ma ad una persona. Il problema definitorio sta tuttavia nell’ “Io”, che nell’accezione moderna diventa quell’individuo isolato sopra delineato.

… a un rapporto “Io-Esso”

Quest’individuo, secondo Buber, è in grado di trasformare quel “Tu” in un “Esso”, un’entità neutra con cui è impossibile instaurare un rapporto personale. Pensiamo all’oggetto di produzione e stoccaggio industriali, all’oggetto di sfruttamento ambientale e di invasione inquinante e violenta. Quell’Esso neutralizzato e de-personalizzato che può essere chiunque, qualunque cosa, qualunque idea e qualunque concetto. Il mondo a cui si rivolge lo spiritualismo moderno è composto dai rapporti riconducibili essenzialmente ad un Io-Esso, tentando di vedere se c’è ancora spazio per una fede personale e quindi per uno spirito animato e ambizioso di eternità.

fede

Per questo, la Chiesa Cattolica moderna non è solo istituzione. Quella per cui parla l’enciclica di Papa Francesco è una fede (religiosa) che collega alla personalità del mondo-ambiente e attraverso di esso all’eternità del Creatore. È questo infatti un concetto cardine della “fede”. Guardare all’oggettività diacronica del mondo e trovarvi degli accenni di eternità, degli spunti di spirito che ricollegano l’esistenza ad un senso eterno del tutto.

Cenni di eternità

Questa idea di “tramite mondano” è facilmente rintracciabile nella storia della fede cristiana. Possiamo infatti interpretare lo stesso Vangelo, secondo molti scritti di Erasmo da Rotterdam, come un “Nuovo Patto”, un nuovo accordo di Dio con l’essere umano affinché questi segua una condotta di vita a imitazione dell’amore divino, seguendo essenzialmente la legge predicata da Gesù: «ama il prossimo tuo come te stesso». È per questo che Erasmo invita il buon cristiano a seguire le azioni del Cristo e dei martiri e di fidarsi solo di una lettura personale della Bibbia e dei Padri della Chiesa, diffidando delle teologie e delle astruse complessità dogmatiche.

La vita del fedele deve condursi secondo azioni, non secondo metafisica e speculazione. Sono le azioni su questa terra che traducono il mistero del messaggio divino, è il tramite del mondo a rappresentare l’ambiente più divino in questa Terra.

L’essenza del Cristianesimo, infatti, non è nelle sue categorie e nella sua storicità, ma nel significato spirituale che ne determina le ambizioni teologiche e gli sviluppi mondani. Ciò che di una religione sopravvive al passare delle epoche non è un’istituzione. La scorza istituzionale è viziata dalla contingenza storica, dalla durata, dal tempo, dai dogmi, dai concili. Ma l’eternità della fede non risiede forse nel succo assoluto dell’eterno? Nelle scene quotidiane del mio mondo, del mondo della mia anima, un mondo che dalla materia lascia emergere, con grazia spontanea, la necessità di un’essenza eterna? La figurazione di una forma in-finita?

Infinito” non è solo mancanza di limiti, inclusione del “finito”. È anche “informazione” del finito, riempimento del finito materiale, storico, sociale di una sostanza eterna e sempre personale, spirituale ma ogni volta reale. Dio è eterno in virtù di un sentimento. È Dio “della fede”.

Ma “fede” non è “opinione”. Quest’ultima, nella coerenza di una vita ad essa legata, è l’adesione spontanea e riflessa ad un “mistero”. Qual è il mistero? Secondo Erasmo si tratta dell’incarnazione di un dio e soprattutto della resurrezione di quella carne. Insomma: l’infiltrazione di spirito nella materia da parte dell’eterno. La resurrezione di un organismo in virtù e per merito della sua fede.

Nei limiti e nella parzialità degli spunti analizzati, ciò che emerge chiaramente dalle considerazioni su “ciò che è fede” nel mondo moderno è una necessaria, libera e spontanea voglia del soggetto di reimpossessarsi di se stesso. Una voglia di riprendersi dall’Esso neutralizzante e anonimo. “Fede”, in qualunque cosa o in chiunque essa sia, è la manifestazione più evidente di ciò che in ultima istanza è l’essere umano: un soggetto irriducibile agli oggetti.


FONTI

Martin Buber, Il principio dialogico, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, 2011

Papa Francesco, Laudato si’, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, 2015

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