Australia

L’estate in cui l’Australia andò in fiamme

Mallacoota, Jinden, Cooma, Melbourne, Flinders Island: sono solo cinque delle centinaia di località in Australia che da mesi sono minacciate dal fuoco. L’Australia sta vivendo la stagione degli incendi più devastante di sempre, con danni incalcolabili alle persone e al territorio. Dopo un inizio anticipato, tra settembre e ottobre 2019, del fenomeno stagionale degli incendi nel bush australiano, i fuochi non si sono ancora fermati. Gli incendi sono concentrati soprattutto nella zona sudorientale del Paese, precisamente nelle regioni del Nuovo Galles del Sud, Queensland e Victoria, dove si trovano le principali città. Essi sono alimentati dal vento e da un’estate con temperature record, dove diverse volte il termometro è arrivato a segnare 48 gradi.

Dopo un inizio del 2020 difficoltoso, con migliaia di persone costrette a lasciare le proprie case, le operazioni di contenimento delle fiamme e l’arrivo delle piogge insieme all’abbassamento delle temperature, hanno dato sollievo alla popolazione e ai vigili del fuoco. Questa tregua, però, durerà poco secondo le previsioni: un altro innalzamento delle temperature aggraverebbe ulteriormente la situazione.

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Una stagione degli incendi senza precedenti

I numeri della crisi sono la testimonianza di una tragedia: almeno 25 persone sono morte negli incendi, tra cui tre vigili del fuoco volontari. Oltre 1400 case sono andate distrutte, con interi villaggi spazzati via dalla furia del fuoco. Migliaia di residenti e turisti sono stati evacuati, perfino da alcuni quartieri di grandi città come Sydney e Melbourne. Anche per la fauna e la biodiversità è stato un durissimo colpo. I ricercatori dell’Università di Sydney hanno stimato che oltre un miliardo di animali potrebbero essere stati coinvolti negli incendi, uccisi direttamente dalle fiamme o dalla mancanza di acqua e di cibo. Sono morti molti esemplari di specie animali tipiche dell’Australia, come koala, canguri e wallaby.

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Gli incendi sono una grave minaccia al fragile equilibrio dell’ecosistema australiano e hanno causato immensi danni al territorio. 8,4 milioni di ettari sono bruciati: si tratta di una superficie corrispondente al doppio delle terre colpite da incendi in Siberia e in Amazzonia nel corso del 2019. Ci sono ancora più di 200 incendi in corso. Secondo le stime degli economisti, per risanare le devastazioni della stagione degli incendi saranno spesi 3,5 miliardi di dollari, contando anche i danni subiti dall’agricoltura e le perdite legate al turismo.

La “bushfire season” è un fenomeno stagionale: l’ecosistema australiano si caratterizza per il bush, un ambiente simile alla savana composto da arbusti e alberi bassi. Questo tipo di vegetazione è estremamente soggetto a incendi: il clima in Australia è infatti molto arido e diversi incendi sono causati dall’abbattersi dei fulmini. Per le piante che crescono nel bush, lasciarsi bruciare è la soluzione naturale per superare gli incendi, infatti, molte contengono oli e resine infiammabili. Tuttavia, i loro semi sono impermeabili al fuoco: questo permette alle piante di riprodursi in condizioni avverse. Quest’anno, però, la siccità è così estrema da far bruciare anche piante di ecosistemi più umidi, solitamente non soggette a incendi.

Cosa c’entra il cambiamento climatico

L’intensificarsi della bushfire season non è una novità. Un rapporto del 2008, stilato dall’economista Ross Garnaut (il Garnaut Climate Change Review) e consegnato all’allora governo australiano aveva previsto che senza un’azione adeguata di contrasto agli effetti del cambiamento climatico, l’Australia avrebbe dovuto affrontare una stagione degli incendi più frequente e intensa a partire dal 2020.

Il riscaldamento globale ha molto a che fare con la straordinaria bushfire season, sia per azione diretta, sia indirettamente. La temperatura media dell’aria in Australia è aumentata di almeno un grado nel corso dell’ultimo secolo, le piogge invernali sono molto diminuite negli ultimi anni e le temperature estive sforano molto spesso i 40 gradi. Inoltre, il cambiamento climatico ha influenzato le grandi strutture meteorologiche dell’emisfero australe.

Il clima secco dell’Australia si è intensificato straordinariamente a causa dei cambiamenti climatici. In particolare, la combinazione di alcuni fattori che hanno reso la siccità di quest’anno molto intensa. Il primo fenomeno è il verificarsi del Dipolo dell’Oceano Indiano, una configurazione meteorologica che porta aria secca sulle coste australiane. Il secondo fenomeno è stato il riscaldamento improvviso nella stratosfera della zona antartica, che si è verificato nel settembre 2019: anche questo fattore ha portato ulteriore aria calda verso l’Australia. A tutto ciò si è aggiunto lo spostamento verso nord degli anti-alisei, fenomeno che sembra sia causato dal riscaldamento globale e dal buco nell’ozono.

Le polemiche sul governo Morrison

Il primo ministro australiano Scott Morrison e il suo esecutivo hanno gravemente sottovalutato la crisi, tanto che lo stesso premier è andato in vacanza durante la fase più critica dell’emergenza, tra fine dicembre e inizio gennaio. Gli interventi decisi dal governo, come la mobilitazione dell’esercito, sono stati tardivi e poco utili.

Le polemiche non si concentrano solo sull’azione di governo per l’emergenza incendi, ma anche sull’atteggiamento scettico, a tratti negazionista, riguardo al cambiamento climatico. Il governo infatti non ha ancora riconosciuto il legame diretto tra incendi e riscaldamento globale, nonostante l’Australia sia, tra le nazioni sviluppate, quella più soggetta alle conseguenze della crisi climatica. In questo il governo è aiutato dai media conservatori di Rupert Murdoch e non solo, che nella loro copertura dell’emergenza incendi alimentano una campagna di disinformazione e di negazionismo.

 

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Non dovete averne paura, non vi farà male”: con questa frase Morrison, nel 2017, aveva portato un pezzo di carbone in parlamento, mostrandolo ai parlamentari. Eletto con il Partito liberale nell’agosto 2018, Morrison è sempre stato un grande fautore del carbone, di cui l’Australia è uno dei principali esportatori. L’industria del carbone dà lavoro a oltre 40000 australiani. Alla COP25 l’Australia è uno dei Paesi che ha fatto più ostruzionismo alla regolazione dei mercati internazionali del carbonio.

Morrison è molto restio a avviare dei progetti di decarbonizzazione dell’economia sul modello del Green New Deal, anzi, ha intenzione di fornire finanziamenti all’industria del carbone. Egli ritiene il cambiamento climatico un’invenzione delle classi medio-alte urbane per danneggiare la popolazione rurale, di cui una parte consistente lavora nell’industria del carbone. In passato il premier ha anche contestato il movimento ambientalista Fridays For Future, invitando gli studenti manifestanti a tornare a scuola.

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