Optical Art: oltre i limiti della visione umana

L’alleanza tra tecnologia e scienza è uno dei cavalli di battaglia delle nuove avanguardie degli anni ‘60. Con il soggettivismo espressionista di Matisse e di Kirchner alle spalle, si apre la strada a un nuovo linguaggio. Un linguaggio teso a rivalutare la cultura scientifica e tecnologica. La valorizzazione della progettazione, l’introduzione di movimenti reali o virtuali nell’opera d’arte e il coinvolgimento dello spettatore sono gli elementi di punti della scommessa dell’Optical Art.

Il movimento

Nata tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, l’Optical Art è essenzialmente un’arte grafica, astratta. Sull’onda della ricerca artistica portata avanti dalla Bauhaus, promotrice dell’opera d’arte totale, esplora i limiti della visione umana, creando immagini che sembrano vibrare e pulsare agli occhi dell’osservatore. Se a prima vista le opere dell’Optical Art sembrano una sorta di virtuosismi ad effetto, in realtà si fondano su rigidi codici visivi e calcoli scientifici in relazione allo studio della percezione visiva.

Le prospettive illusorie e i contrasti cromatici sono le due tecniche più utilizzate per condurre un’indagine sui rapporti causa-effetto tra l’opera d’arte, oggetto della visione, e lo sguardo dello spettatore, il soggetto ricevente. Manipolando figure geometriche elementari e accostando trame o colori diversi tra loro si crea l’illusione del movimento. Si dà dunque vita a interpretazioni sempre nuove, unendo ricerca scientifica e armonia formale.

Victor Vasarely
Optical Art
Zebre, Vasarely, 1938.

Tra i più importanti esponenti ricordiamo l’ungherese Victor Vasarely (1908-1997), considerato uno dei fondatori della corrente. Studioso della percezione ottica, Vasarely trascorre gli anni della giovinezza nel suo paese natale, in Ungheria, iscrivendosi prima all’Accademia Podolini-Wolkmann e poi al Műhely, una scuola che egli stesso definì come il “Bauhaus ungherese”. È qui che fa esperienza di un’arte nuova che si propone di figurare ciò che non è rappresentato normalmente.

Non è un caso che nelle sue opere applichi in maniera virtuosistica illusioni ottiche e ambiguità percettive. Vasarely agisce sulle strutture della visione e sulle relazioni tra forme, colori e superfici, per ottenere l’effetto di una spazialità illusionistica e di un dinamismo virtuale. Tutto questo, chiaramente, non sarebbe possibile senza la complicità dello spettatore.

La posta in gioco non è più il cuore, ma la retina, e l’anima bella ormai è divenuta un oggetto di studio della psicologia sperimentale. I bruschi contrasti in bianco e nero, l’insostenibile vibrazione dei colori complementari, il baluginante intreccio di linee e le strutture permutate sono tutti elementi della mia opera, il cui compito non è più quello di immergere l’osservatore, ma di stimolarlo, e il suo occhio con lui.

Conquistandosi l’immagine di artista enigmatico, Vasarely si fa portavoce di una tendenza artistica che vuole sviluppare ed educare il nostro apparato percettivo e il sistema della visione.

Bridget Riley
Optical Art
Late Morning, Riley,1968.

Un’altra pioniera dell’Optical Art è, senz’altro, la britannica Bridget Riley. La sua adolescenza immersa nella natura della Cornovaglia si preannuncia un periodo di forte formazione alla fantasia. Sulle spiagge di Padstow si ferma ad ammirare le variazioni della luce e il moto delle nuvole e di tutti gli elementi che la circondano. Accresce così la sua consapevolezza visiva. Proprio il rapporto con lo spazio e la fluidità della luce erano il fulcro dei suoi studi personali, che affiancava alle lezioni al College, da cui non era particolarmente soddisfatta.

Ispirata dai quadri futuristi di Boccioni e Balla, ammirati in occasione dei suoi numerosi viaggi in Italia, all’inizio degli anni ’60 esegue in modo molto istintivo i suoi primi lavori Op Art, facendosi guidare da ciò che i suoi stessi occhi le fanno vedere e percepire.

I suoi studi proseguono in questa direzione fino agli anni ’80, quando, affascinata dai colori dei geroglifici durante un viaggio in Egitto, si immerge in un’analisi approfondita dell’universo cromatico, esplorandone le infinite possibilità di combinazione.

Un linguaggio fresco e innovativo

Nel contesto delle Neoavanguardie degli anni ’60, l’Optical Art entra nella coscienza collettiva artistica, catturando l’immaginazione del pubblico. Si presenta come un linguaggio fresco e innovativo, che conquista l’attenzione delle industrie della moda, del design e della pubblicità. Queste infatti si rifanno alla sua impostazione grafica come modello di valore decorativo.

La sua consacrazione avviene nel 1965, quando il Museo d’Arte Moderna di New York ospita la mostra The Responsive Eyes, che espone le opere dei principali rappresentanti del movimento.

Una tendenza che rinnova costantemente il proprio potenziale comunicativo, portandoci alla scoperta di nuovi stimoli visivi, attraverso lo studio della realtà e la simulazione del movimento. Una finestra sulla storia dell’arte contemporanea che conserva una parvenza di attualità anche ai giorni nostri.

 

Fonti

Artevitae.it

Dol’s Magazine

 

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