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Green New Deal: un piano per salvare la Terra e noi stessi

Le mobilitazioni ambientaliste dei giovani in tutto il pianeta e il rapporto pubblicato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) nel 2018 hanno scosso l’opinione pubblica globale, che ha chiesto ai governi dei propri Paesi di agire concretamente per la salvaguardia del clima. La risposta da parte di alcuni politici non si è fatta attendere. La neoeletta rappresentante al Congresso Alexandria Ocasio-Cortez, di corrente democratico-progressista, nel febbraio 2019 ha presentato con il senatore Ed Markey al Senato statunitense il Green New Deal. Il nome del progetto nome è un richiamo al programma di investimenti statali che Roosevelt attuò per far uscire gli USA dalla crisi del 1929.

Crisi climatica e giustizia sociale

Il Green New Deal ha il duplice obiettivo di realizzare entro l’anno 2030 una transizione verso un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale e ridurre le diseguaglianze economiche e sociali. Questo progetto di legge non prevede soltanto la decarbonizzazione dell’economia, ma agisce in un’ottica di giustizia sociale. Questa impostazione olistica alla risoluzione della crisi climatica è già da diversi anni al centro delle iniziative di movimenti ambientalisti, in particolare in America Latina. In questa zona il riscaldamento globale ha gravi effetti sulle comunità e sul territorio e provoca milioni di migranti climatici ogni anno. Fino a poco tempo fa, le richieste di una legislazione non trovavano appoggio nei Paesi occidentali. Ora le cose sono cambiate, grazie a una nuova generazione di politici che ha posto la crisi climatica al centro dei propri programmi e l’ha collegata alle altre crisi del nostro tempo.

Il già citato rapporto dell’IPCC dell’ottobre 2018 sottolinea la necessità di non superare un aumento della temperatura globale oltre 1,5°C rispetto ai livelli della società preindustriale per evitare catastrofi all’ecosistema terrestre. Anche un aumento di 2°C causerebbe danni ben più considerevoli ai territori e alle persone. Senza cambiamenti rilevanti, alla fine del XXI secolo il riscaldamento potrebbe raggiungere i 5°C. Il rapporto pone il 2030 come anno limite per cercare di correggere la rotta: entro questa data è necessario ridurre le emissioni di gas serra del 45% rispetto ai livelli del 2010. Per raggiungere questo ambizioso e cruciale obiettivo sarà necessaria una trasformazione del nostro sistema economico e del nostro stile di vita.

Il Green New Deal statunitense

Le premesse del Green New Deal americano sono due. La prima è che il governo federale debba ascoltare le richieste e le tesi sostenute dagli scienziati dell’IPCC. La seconda è gli USA siano in debito climatico nei confronti degli altri Paesi, soprattutto quelli del cosiddetto Sud del mondo, essendo stati storicamente responsabili di un’elevata quantità di emissioni di gas serra. Il cambiamento climatico ha inasprito le discriminazioni razziali, di genere e di classe, colpendo frange di popolazione già svantaggiate, come le comunità indigene, i migranti, i poveri.

Il Green New Deal pone tre ambiziosi obiettivi. Il primo è quello di neutralizzare le emissioni di gas serra entro dieci anni, tassando l’utilizzo di carbone fossile e investendo nelle fonti di energia rinnovabile. Il secondo consiste nel creare nuovi lavori “green adeguatamente retribuiti, per rendere le infrastrutture e il sistema economico resilienti alla crisi climatica. Il terzo considera l’aspetto sociale legato al riscaldamento globale e consiste nel porre rimedio alle disuguaglianze sistemiche della società americana. Il Senato statunitense ha respinto questa proposta di legge, giudicata troppo estrema dai senatori repubblicani e dall’ala più moderata del Partito Democratico. La speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, si è più volte detta scettica nei confronti di questa proposta di riforma.

Il Green Deal europeo

Nonostante il respingimento del progetto da parte del Senato statunitense, il piano è stato ripreso da partiti di sinistra e verdi di tutto il mondo, soprattutto in Europa. A inizio dicembre 2019, mentre a Madrid si svolgeva la Conferenza sul clima dell’ONU, la neopresidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha presentato il Green Deal europeo. Il piano ha l’obiettivo molto ambizioso di rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Questo significa che, entro questa data, il Vecchio Continente non dovrà produrre più gas serra di quelli che riesce a assorbire. Per poter centrare questo obiettivo, già entro il 2030 sarà necessario ridurre le emissioni del 50% rispetto ai livelli del 1990.

Questo significherà attuare cambiamenti profondi alla politica industriale, ambientale ed economica e dovrebbe costare all’Unione Europea una cifra stimata di 260 miliardi di euro l’anno. Le principali strategie di attuazione del Green Deal europeo sono l’incremento dell’utilizzo di energie rinnovabili e di mobilità alternativa, l’aiuto allo sviluppo dell’economia circolare nella filiera dell’industria alimentare e l’aumento della presenza di verde nelle città europee al fine di proteggere la biodiversità.

Come nel progetto americano, vi è anche nel piano europeo l’idea di spostare i posti di lavoro legati ai combustibili fossili nei settori tecnologici e industriali che più spingeranno la trasformazione. L’Europa vuole diventare leader mondiale nella rivoluzione ambientale, nella speranza che anche altri Paesi possano seguire l’esempio. In particolare l’UE vuole convincere i Paesi del G20, responsabili dell’80% delle emissioni globali. Una parte importante del funzionamento effettivo di questo piano dipenderà dal convincere a partecipare anche i Paesi dell’Est Europa, quelli più legati all’utilizzo di combustibili fossili. La Polonia, durante le trattative iniziali, si è dimostrata restia ad accettare i tempi di decarbonizzazione previsti. La Commissione ha già proposto la creazione di un fondo per la transizione di 100 miliardi di euro per sostenere le regioni che dovranno cambiare maggiormente le loro politiche energetiche.

E l’Italia?

Anche l’Italia si sta muovendo in questo senso: il ministro Gualtieri lo scorso settembre ha annunciato all’Ecofin, il summit dei ministri dell’Economia europei, che il governo italiano chiederà all’UE di escludere dal calcolo del deficit gli investimenti per l’ambiente. Il governo M5S-PD ha come punto forte del proprio programma un maggiore sforzo nell’elaborare politiche ambientali significative. Il Decreto Clima, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 ottobre 2019, rappresenta il primo passo per la costruzione di un Green New Deal italiano.

Le novità principali del Decreto Clima sono l’istituzione di un buono mobilità per incentivare la rottamazione di vecchie auto in modo da migliorare la qualità dell’aria; lo stanziamento di fondi per la piantumazione di nuovi alberi e la creazione di foreste urbane; l’istituzione di un fondo dedicato ai commercianti per la realizzazione di green corner per la vendita di prodotti sfusi. Per l’applicazione di queste norme il governo ha stanziato 450 milioni di euro. Anche la plastic tax, norma passata dopo molte polemiche e svariati ridimensionamenti nella Manovra economica 2020, fa parte di quello che è stato definito il Green New Deal italiano.

I progetti del governo italiano guardano anche ai giovani, le generazioni che più saranno costrette a vivere con gli effetti del riscaldamento globale. Il ministro dell’Istruzione Fioramonti ha annunciato che l’Italia sarà il primo Paese a insegnare nelle scuole il cambiamento climatico, per un totale di 33 ore l’anno. Inoltre, lo lo studio di diverse materie, come fisica e geografia, sarà rinnovato in un’ottica nuova legata allo sviluppo sostenibile e al clima.

FONTI

Naomi Klein, Il mondo in fiamme, Feltrinelli, 2019

open.online

altalex.com

assets.documentcloud.org

openmigration.org

lifegate.it

ispionline.it

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