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India: le proteste contro la nuova legge di cittadinanza

In India le proteste contro l’emendamento costituzionale alla legge di cittadinanza, che discrimina i cittadini di religione islamica, non accennano a fermarsi dopo tre settimane. L’11 dicembre il Parlamento ha approvato il Citizen Amendment Act (CAA), detto anche Citizen Amendment Bill, un emendamento alla Costituzione che rivede i criteri di assegnazione della cittadinanza indiana. Questa legge garantisce la cittadinanza agli immigrati appartenenti a varie minoranze religiose arrivati in India prima del 2015 dal Pakistan, dal Bangladesh e dall’Afghanistan, ma non a quelli delle minoranze musulmane. Questa controversa proposta di legge è stata proposta dal partito nazionalista hindu Bharatiya Janata Party (Bjp), di cui è leader l’attuale primo ministro indiano, Narendra Modi. Le manifestazioni sono la prima grande dimostrazione popolare da quanto Modi è al potere. Secondo gli attivisti e i manifestanti, il CAA e un altro provvedimento a esso collegato, il National Register of Citizens (NCR), sono dei veri e propri attacchi al secolarismo che caratterizza l’India.

Cosa prevede il CAA e perché viene criticato

Questa legge rende il criterio di assegnazione della cittadinanza esclusivamente religioso. Il CAA garantisce ai membri di sei minoranze religiose, induisti, sikh, cristiani, buddisti, gianisti e parsi, la possibilità di chiedere la cittadinanza indiana dopo aver vissuto in India per sei anni. Coloro che invece appartengono ad altre minoranze religiose potranno farlo dopo undici anni. La legge che viene emendata, risalente a 64 anni fa, prevedeva che un immigrato irregolare non potesse diventare cittadino indiano.

Secondo quanto dicono i gruppi islamici, di opposizione e di difesa dei diritti umani, la misura fa parte di un più ampio progetto del partito nazionalista hindu al potere in India che ha lo scopo di emarginare e discriminare i 200 milioni di musulmani che vivono nel Paese. Questa discriminazione violerebbe i principi della Costituzione indiana, che proibisce la discriminazione su basi religiose. Molti attivisti sostengono, inoltre, che la legge vada contro il pluralismo secolare dell’India.

Cos’è il National Register of Citizens

A spaventare ancora di più i musulmani che vivono in India è il National Register of Citizens (NCR), un provvedimento legato al CAA. Si tratta di un esperimento già in corso nello Stato dell’Assam (nord-est dell’India), dove sono presenti molte minoranze etniche e religiose e molti immigrati irregolari dal Bangladesh, che confina con la regione. Per poter essere registrato all’interno del NCR, ogni cittadino deve presentare la documentazione necessaria a provare che che sia entrato in India prima del 1971, anno in cui il Bangladesh ha ottenuto l’indipendenza dal Pakistan. Secondo la precedente versione della legge di cittadinanza, infatti, gli immigrati non conformi non potevano diventare cittadini, quindi i bengalesi non avrebbero avuto modo di mettersi in regola. Il 31 agosto 2019 è stato pubblicato il registro: oltre 2 milioni di residenti non sono risultati essere presenti nel censimento, dunque dovranno presentare ricorso in un tempo limitato per dimostrare di essere cittadini indiani, altrimenti verranno espulsi o deportati.

Uno degli obiettivi dell’attuale maggioranza di governo è allargare il National Register of Citizens a tutto il Paese entro il 2024, in modo da rintracciare gli immigrati musulmani irregolari e deportarli. Il rischio di un NCR esteso a tutta la nazione mette a rischio la questione della cittadinanza per tutti gli indiani. Quello che viene fatto passare come uno strumento amministrativo darà il potere a tutto l’apparato burocratico e amministrativo di interrogare le persone e valutare il loro effettivo diritto alla cittadinanza, basandosi sui documenti in loro possesso.

Il primo ministro Narendra Modi è al suo secondo mandato alla guida dell’India: dopo essere stato eletto per una prima volta nel 2014, è stato rieletto nel maggio 2019. Modi è già stato accusato in passato di condurre una politica all’insegna del suprematismo hindu e del nazionalismo. Ad agosto 2019 il governo centrale aveva abolito lo statuto speciale di due Stati della confederazione indiana contesi con il Pakistan e a maggioranza musulmana, sempre nell’ottica di favorire gli hindu. Inoltre, da quando Modi è diventato primo ministro, gli attacchi e le discriminazioni nei confronti dei non hindu, in particolare di musulmani, sono cresciuti di molto. Secondo quanto afferma il primo ministro, il CAA proteggerà le persone dalle discriminazioni; Modi ha poi accusato dei gruppi di interesse non precisati, di alimentare il malcontento e le manifestazioni.

Le manifestazioni di protesta

Dopo l’approvazione dell’emendamento da parte del parlamento di Nuova Dehli, avvenuta l’11 dicembre, i primi a scendere in piazza a protestare sono stati gli studenti delle università islamiche. Tra domenica 15 dicembre e lunedì 16 la polizia è entrata nel campus universitario della Jamia Millia Islamia University e ha reagito violentemente alle manifestazioni, arrestando oltre cento studenti, picchiando attivisti e sparando lacrimogeni. Nonostante le molte testimonianze degli studenti presenti alla manifestazione che affermano il contrario, la polizia ha negato di aver usato la violenza contro i manifestanti. Secondo quanto invece afferma un report del People’s Union for Democratic Rights sui fatti avvenuti all’università, la polizia di Delhi ha attaccato gli studenti che manifestavano volendo infliggere il maggior danno possibile.

Anche gli studenti che hanno protestato in un’altra università islamica, l’Università di Aligarh nella regione di Uttar Pradesh, sono stati repressi con l’uso della forza. I manifestanti hanno usato i social per documentare gli attacchi dei lacrimogeni, ma la polizia si è difesa dicendo di averli usati solo come risposta al lancio di pietre e alla violenza dei manifestanti. Per cercare di placare i manifestanti la polizia ha negato il permesso a diverse proteste nelle principali città indiane, come Mumbai, Bangalore e Delhi, ma questo non ha fermato le dimostrazioni. Dopo tre settimane di proteste vi sono state decine di morti, centinaia di feriti e diversi attivisti arrestati.

In seguito alla reazione particolarmente violenta delle forze di polizia a queste manifestazioni, sono scesi in piazza non più solo studenti universitari e attivisti per i diritti umani, ma anche semplici cittadini che non sono d’accordo con il CAA. La protesta si è allargata anche a università non islamiche, come il Tata Institute of Social Sciences e l’Istituto indiano di tecnologia di Mumbai. Il 19 dicembre i manifestanti hanno dichiarato uno sciopero generale in tutti i 29 Stati che compongono la confederazione indiana.

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Mentre le proteste in tutto il Paese si concentrano sulla discriminazione dei cittadini musulmani, con blocchi della rete internet e divieti di assemblea pubblica, nelle regioni di frontiera, come il già citato Assam, si teme che la normativa incoraggi l’arrivo in massa di nuovi immigrati.

Le proteste vedono per la prima volta vacillare la macchina propagandistica del Bjp, il cui scopo di trasformare l’India da una nazione secolare in una nazione indù è sempre più palese, e hanno unito un blocco di opposizione molto ampio, fatto di studenti, progressisti, accademici, anziani e giovani di diverse etnie religiose. Il giornalista Sidharth Bathia, direttore del sito indipendente di notizie indiano The Wire, ha definito così le manifestazioni in un editoriale pubblicato il 17 dicembre:

There comes a time in a nation’s history when silence is no longer an option. When neutrality, equivocation, discretion are acts of cravenness. Where standing up, and even protesting, becomes a moral duty, because much more than the personal, or even the principle, is involved — this is an inflection point where the very soul and existence of India are at stake. 

Arriva un momento nella storia di una nazione in cui il silenzio non è più un’opzione. Quando neutralità, ambiguità, discrezione sono atti di codardia. Laddove alzarsi in piedi e persino protestare diventa un dovere morale, perché è coinvolto molto più dell’interesse personale, o addirittura del principio – questo è un punto di inflessione in cui sono in gioco l’anima e l’esistenza stessa dell’India.

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