La violenza ostetrica: parliamone!

La gravidanza, quando desiderata e voluta, è un periodo bellissimo in cui tutti i malesseri che la futura mamma può avere sono resi maggiormente sopportabili dall’unico, grande obiettivo: la nascita del figlio tanto atteso. I genitori sono immersi nei preparativi e nelle ansie da prestazione quando, finalmente, arriva l’ora del parto. Si tratta di un momento molto delicato, in cui la futura mamma dovrebbe essere supportata materialmente e psicologicamente dal personale medico. I medici hanno enormi responsabilità durante questa fase e soprattutto hanno il dovere di far sentire la donna completamente sicura sulle procedure mediche che andranno ad attuare. Essi dovrebbero anche ascoltare i pensieri e i bisogni della futura madre, per assicurarsi che non si senta in alcun modo preoccupata o violata nel corpo e nella mente. Questo, però, talvolta non avviene! Infatti moltissime donne, in Italia e non solo, hanno subito casi di violenza ostetrica.

Cos’è la violenza ostetrica?

La violenza ostetrica è una forma specifica di violenza che comprende vari comportamenti irrispettosi, violenti o discriminatori attuati dal personale medico durante il percorso di maternità e soprattutto durante il parto. A dispetto della sua denominazione, questa non comprende solo il maltrattamento praticato dalle ostetriche ma anche da tutte quelle figure che una donna in gravidanza incontra durante il suo percorso, come infermieri e ginecologi. È un genere di violenza che può verificarsi solo nelle strutture sanitarie, luoghi in cui gli abusi e la discriminazione non dovrebbero esistere.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha affermato:

Resoconti sui trattamenti irrispettosi e abusanti durante il parto nelle strutture ospedaliere includono l’abuso fisico diretto, la profonda umiliazione e l’abuso verbale, procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione), la mancanza di riservatezza, la carenza di un consenso realmente informato, il rifiuto di offrire un’adeguata terapia per il dolore, gravi violazioni della privacy, il rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, la trascuratezza nell’assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna, la detenzione delle donne e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare.

I dati e le testimonianze:

L’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVOitalia) ha affermato che per 4 donne su 10 l’assistenza al parto è stata un vero e proprio incubo, fisicamente e psicologicamente.

Le testimonianze raccontano di donne in travaglio lasciate per ore in sala parto senza alcun tipo di assistenza, donne obbligate a rimanere in posizione supina senza possibilità di scelta, altre a cui è stato negato l’uso dell’epidurale per alleviare il dolore. Ci sono poi future mamme di cui è stata violata la privacy e alcune obbligate a subire un cesareo non necessario. Senza dimenticare le donne trattate con poco rispetto in un momento così delicato da medici che hanno minimizzato e trascurato il dolore della paziente.

Più della metà delle madri (il 54%) ha evidenziato come i medici abbiano deciso di attuare la dolorosa pratica dell’episiotomia o la manovra di Kristeller senza il loro consenso. L’episiotomia consiste nell’incidere il perineo, l’area compresa tra vagina e ano, per facilitare la fuoriuscita del bambino, mentre la manovra di Kristeller consiste nello spingere la pancia al livello del fondo dell’utero per lo stesso motivo. Sono pratiche pericolose sia per il bambino sia per la madre e la maggior parte delle volte non sono assolutamente necessarie. L’OMS ha vivamente sconsigliato la manovra di Kristeller e ha descritto l’episiotomia come una “pratica dannosa tranne in rari casi”. 

Praticare qualsiasi tipologia di esercizio medico senza il consenso della paziente è da considerarsi una violazione dei diritti umani della donna che rientra nella violenza ostetrica.

Inoltre, l’OMS ha affermato che a subire questa violenza sono soprattutto le adolescenti, le donne non sposate, donne con difficoltà economiche, donne migranti, straniere o affette da HIV.

É una vera violenza di genere e le donne che la subiscono avranno molta difficoltà a superare l’episodio. Non sono solo le ferite fisiche ad essere dolorose, ma anche quelle psicologiche: l’idea di affrontare di nuovo una situazione di questo genere in un’altra futura gravidanza spaventa moltissimo le donne vittime di violenza ostetrica.

Una violenza sconosciuta:

La violenza ostetrica è sconosciuta ai più e si può considerare come una forma invisibile di maltrattamento, questo perché è stata per molto tempo non considerata e non riconosciuta anche dalle donne stesse che la subivano.

La sua denominazione non comparve fino al 2007, quando in Venezuela ha avuto finalmente il primo riconoscimento ufficiale e, grazie all’aiuto di alcuni movimenti femministi, è diventata un reato vero e proprio. Il governo venezuelano l’ha descritta come:

Appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna.

Dopo il riconoscimento nel 2007 da parte del Venezuela, l’Argentina ha seguito il suo esempio nel 2009. Altri stati del Sudamerica, come alcuni stati del Messico e del Brasile, hanno promulgato la legge contro la violenza ostetrica solo tra il 2014 e il 2017.

In Italia, invece, si ha avuto la prima proposta per tutelare la libertà di scelta e il rispetto per la donna durante il parto, e per introdurre il reato di violenza ostetrica, solo nel marzo 2016 con le “norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato per la promozione del parto fisiologico”. 

Fino a pochi anni fa, quindi, i medici italiani che praticavano violenza ostetrica non potevano essere perseguiti penalmente e la maggior parte delle persone non ne era a conoscenza. Proprio per questo motivo, nello stesso anno della proposta di legge, OVOitalia ha lanciato una campagna mediatica su Facebook, il social network per eccellenza.

La campagna mediatica di OVOitalia:

La campagna mediatica di Ovoitalia incoraggiava le donne vittime a raccontare la loro esperienza. L’obiettivo era proprio quello di sensibilizzare le persone ma soprattutto di informarle e spargere la voce su una violenza ancora oggi troppo sconosciuta. È stata chiamata “Basta tacere: le madri hanno una voce” e le esperienze delle partecipanti si possono leggere in questa pagina Facebook.

L’iniziativa ha avuto un successo enorme: sono state raccolte tantissime testimonianze, oltre le 1.136.

Ma non bisogna fermarsi qui: ogni donna che subisce questi trattamenti disumani deve denunciare e soprattutto essere informata adeguatamente per riuscire ad avere un percorso di gravidanza sereno e sicuro con medici empatici, che riescano a capire e a mettersi nei panni della donna per  trasmetterle sicurezza e fiducia, senza farle del male.

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