Un’infanzia stereotipi-free: esagerazione o valida possibilità?

Molta parte di cosa reputiamo normale o strano dipende dalla nostra cultura, da usi e costumi a cui siamo abituati. Il nostro comportamento è inevitabilmente influenzato dal contesto socio-culturale in cui viviamo. Se ci spostiamo in un ambiente differente dal nostro, ad esempio in una nazione distante, può capitarci di venire a contatto con modi di fare che ci sembrano strani, o essere noi stessi ritenuti strani per qualcosa che reputiamo assolutamente normalissimo.
Ciò accade anche in periodi di forte cambiamento: ci si rende conto di quanti siano gli stereotipi, più o meno impliciti, presenti anche nel nostro stesso ambiente.

L’avvertenza Disney

Chi di noi non ha passato l’infanzia a guardare film Disney? Anzi, molti di quei bambini di ieri vanno al cinema ancora oggi per i live action dei loro film d’animazione preferiti e per le nuove produzioni. Quanti, però, si aspetterebbero di trovare stereotipi razziali in quelle pellicole a cui sono tanto affezionati?

A ben guardare, sembra essere proprio così e a dichiararlo è la casa di produzione stessa. In questi mesi Walt Disney sta lavorando al lancio della sua nuova piattaforma streaming Disney+, finora disponibile solo in alcuni stati (Usa, Canada, Olanda, Australia e Nuova Zelanda). Il colosso ha scelto di proporre sulla propria piattaforma le edizioni originali dei propri film, ma con un’avvertenza per gli spettatori contemporanei:

“Questo programma è presentato così come creato originariamente. Potrebbe contenere rappresentazioni culturali obsolete”.

Alcune delle pellicole incriminate sono Dumbo, Il libro della giungla, Peter Pan, Gli Aristogatti e Lilli e il vagabondo. Nel caso di Dumbo, ad esempio, le controversie riguardano i corvi, visti come stereotipizzazione della popolazione afro-americana. Nell’originale, infatti, hanno un particolare accento e i loro modi sembrano scimmiottare proprio quelli della comunità di colore. Lo stesso si può dire per le scimmie del Libro della giungla. Inoltre, uno dei corvi si chiama Jim Crow, curiosamente lo stesso nome che aveva il sistema di leggi per la segregazione razziale nel Sud.

Ma questo non è l’unico banner inserito sulla piattaforma. Si può trovare anche la scritta “contiene scene con fumo di sigaretta”, il cui intento è forse più immediatamente comprensibile. Ma quello riguardante gli stereotipi razziali fa riflettere su quanto questi potessero passare inosservati un tempo. Solo oggi vengono pienamente riconosciuti come tali.

stereotipi

Sogni per bambine ribelli

Che ci fosse bisogno di una ventata di novità nel settore delle storie per l’infanzia lo avevano capito già Elena Favilli e Francesca Cavallo nel 2016. Sono loro le autrici del libro Storie della buonanotte per bambine ribelli e del volume 2 che gli fa da sequel.

La raccolta mette insieme storie di donne che hanno realizzato i loro sogni: astronaute, scienziate, giudici, chef, artiste di ogni genere e così via. Si punta, così, a dare nuove figure di riferimento alle giovani generazioni: non solo principesse e candide donzelle in pericolo, ma professioniste che si sono realizzate. Hanno dovuto superare ostacoli importanti sulla loro strada, dovuti al colore della loro pelle, alla situazione socio-economica svantaggiata da cui partivano, o anche solo al loro essere donne. Con coraggio e tenacia, hanno inseguito le loro inclinazioni e realizzato i loro desideri più profondi.

Storie vere che fanno vivere una vera favola. E che in più fungono da “anticorpi” per quelle tendenze ancora tristemente diffuse a ridurre la donna ad un ruolo passivo o meno rilevante: minori aspettative, minori pretese, minori risultati.

Emblematico in questo senso il fatto che il libro sia stato censurato in Turchia, al pari di un prodotto pornografico. L’ente governativo per la protezione dei minori dalle pubblicazioni oscene ha ritenuto, infatti, che possa avere un’influenza dannosa sulle giovani menti dei lettori (e soprattutto delle lettrici).

La grammatica di mamma e papà 

Non è difficile trovare ancora stereotipi di genere nei libri di testo, anche in quelli per bambini delle scuole primarie. Girano spesso sui social immagini delle pagine di grammatica con frasi-esempio che presentano ruoli stereotipati per la mamma e il papà. In un esercizio in cui bisogna scegliere tra i verbi proposti quelli adatti ai soggetti, il bambino si trova ad abbinare il sole con illumina e sorge, l’acqua con scorre e lava, e poi il papà con lavora e legge, e la mamma con stira e cucina. Certo, queste sono attività frequenti per i due genitori, ma casi come quello dell’esempio – fortunatamente sempre più rari – le presentano come nettamente distinte secondo i ruoli di genere.
L’impostazione dell’esercizio tradisce il bias di fondo a cui siamo tremendamente abituati, e lo ripropone ancora: l’impegno professionale è
tipicamente dell’uomo, quello domestico è tipicamente della donna. 

Piuttosto, è corretto presentare ai bambini una realtà equa come la norma (perché se non lo è ancora, dovrebbe però esserlo, è ciò a cui puntiamo). È importante far capire loro fin dalla più tenera età che non c’è nulla di “tipico” in una bipartizione dei ruoli genere. Che una madre che vuole lavorare non ha nulla di strano, che un padre che vuole svolgere le faccende di casa non è meno “virile”. Una rappresentazione ricca di stereotipi è limitante e contribuisce al perseverare degli atteggiamenti sessisti.

Questione di rappresentanza

Cos’è che lega queste tre storie? Il fattore comune è il desiderio di dare rappresentanza a qualcosa che prima non ne aveva, il tentativo di far emergere istanze prima sottovalutate o ignorate. È il bisogno, insomma, di mettere in luce l’enorme ma invisibile peso che ha su di noi la percezione della realtà che ci circonda: sul nostro pensiero, sui nostri sogni e sulla nostra vita. 

Questi piccoli passi possono sembrare addirittura insulsi, le battaglie che ci sono dietro magari spropositate. Certamente l’evoluzione di una società non dipende dal singolo tassello, ma non si può negare il peso dell’intero mosaico. Bollare ogni piccolo passo come irrilevante finisce per minare la realizzazione del quadro completo e complesso di cui fa parte.

 


FONTI
The Guardian
National Post
Il Corriere della Sera 1, 2

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