Rise Against Straight Edge

La “rivoluzione sobria” dei Rise Against

Uno dei più diffusi stereotipi nel mondo musicale ha come protagonisti generi quali l’hardcore, il rock e il punk. Questi – insieme ad altri come il metal – sono spesso associati a stili di vita caratterizzati da eccessi e trasgressioni. Quello che molti non sanno è che, anche in questo caso, esiste un rovescio della medaglia.

Lo Straight Edge

Il termine Straight Edge viene abbreviato in sXe

Proprio dall’hardcore deriva infatti uno stile di vita chiamato Straight Edge, nato come reazione di rifiuto alle esagerazioni degli anni Settanta e Ottanta. Il movimento, ancora diffuso, esorta all’astinenza da alcol, droghe, fumo e, in alcuni casi, anche dal sesso occasionale. Alcuni membri praticano inoltre forme di vegetarianismo o veganismo, mentre altri rinunciano ad alimenti considerati “eccitanti” quali il caffè.

Lo Straight Edge prende il nome dall’omonimo singolo pubblicato nel 1981 dal gruppo hardcore-punk statunitense Minor Threat. Nonostante la band abbia pubblicato numerosi brani riguardo questa tematica, Straight Edge viene considerato l’inno del movimento, grazie anche al testo che espone chiaramente il distacco dalle forme di abuso ormai diventate normali nel panorama hardcore:

I’ve got better things to do
Than sit around and fuck my head
Hang out with the living dead
Snort white shit up my nose
Pass out at the shows
[…] I’ve got the straight edge.

Lo Straight Edge oggi: i Rise Against

Personaggi noti del panorama mondiale hanno affermato di seguire questa particolare filosofia di vita, un esempio italiano è il fumettista Zerocalcare. Ma è sicuramente nel mondo musicale che si trova il maggior numero di rappresentanti. Tra questi troviamo i Rise Against, un gruppo statunitense particolarmente noto per il grande impegno politico e soprattutto sociale. Negli anni, infatti, la band – composta da Tim McIlrath, Zach Blair, Joe Principe e Brandon Barnes – ha utilizzato la musica per affrontare diverse tematiche alquanto spinose.
Tutti i membri del gruppo, a esclusione di Barnes, hanno dichiarato di seguire lo stile di vita Straight Edge.

Three of the guys in the band are straight edged. It isn’t a defining thing but I just can’t relate to the drinking culture, I don’t get into that, so it is a choice I made. Straight Edge isn’t about judging people who drink, it is just being able to be out and not drink and stuff and not feel like a freak because of it. 

Come ha affermato Tim McIlrath, frontman della band, i membri non considerano il loro stile di vita anomalo, non si considerano “diversi” dal resto della società, e per questo motivo non coinvolgono quasi mai questa scelta personale nella loro vita pubblica. Anche all’interno dei loro brani i riferimenti allo Straight Edge sono quasi inesistenti. Solo in Join the Ranks (2001) troviamo la risposta a un ipotetico attacco verso il loro stile di vita che – soprattutto per come è inteso dai tre  – non crea in realtà problemi per nessuno:

You point your finger in my face
But you can’t remember what you did last night
It’s all fun and games ‘til you try to justify,
It’s all well and done ‘til you question the choices in your life
Join all the millions of victims who prescribe to this mediocre life.

La musica come divulgazione sociale

Il quartetto è in attività dal 1999 e ha alle spalle otto album in studio. Come sottolineato, l’aspetto sociale e quello politico sono al centro del loro lavoro: si va da collaborazioni con organizzazioni come Amnesty International e PETA (People for the Ethical Treatment of Animals), fino al sostegno per il progetto It Gets Better, che mira a prevenire il suicidio di ragazzi vittime di bullismo omofobico.

Il quarto album della band, The Sufferer & the Witness (2006), contiene alcune delle canzoni che maggiormente rappresentano l’impegno sociale del gruppo. Il sostegno a PETA è rappresentato alla perfezione in Ready to Fall. Nel video musicale vengono infatti mostrati deforestazione, caccia, pesca e allevamenti intensivi, inquinamento e scioglimento dei ghiacciai.
Prayer of the Refugee affronta invece il tema delle migrazioni forzate. Il video, rispetto al testo, affronta la situazione dei rifugiati da un punto di vista diverso, forse meno convenzionale. Con l’introduzione dei temi del consumismo e del commercio equo e solidale, ci viene mostrato il lato oscuro del capitalismo americano, dove uomini, donne e bambini immigrati sono costretti a lavorare per contribuire all’immagine della Great America.

Con Endgame (2011) l’impegno sociale continua attraverso brani come Help Is on the Way, che allude ad alcuni disastri ambientali quali l’uragano Katrina e lo sversamento di petrolio della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon. Particolarmente toccante è il video, che alterna la storia di una famiglia afroamericana intenta a fuggire dalle conseguenze di Katrina a filmati reali del disastro.
Ritroviamo invece il progetto It Gets Better nel brano Make It Stop (September’s Children), il cui titolo fa riferimento agli eventi del settembre 2010, quando nove ragazzi americani tra i tredici e i diciannove anni scelsero la via del suicidio come risultato di atti di bullismo legati alla loro sessualità.

The gatherings hold candles, but not their tongues
And too much blood has flown from the wrists
Of the children shamed for those they chose to kiss
Who will rise to stop the blood?

Le tematiche politiche

In Appeal to Reason (2008) compaiono tematiche più politiche, in particolare riguardanti la guerra in Iraq durante l’amministrazione Bush. Tra le varie tracce, una in particolare affronta una questione poco considerata ma molto sentita in America: il ritorno dei veterani dalla guerra. Stiamo parlando di Hero of War, brano acustico che prende il punto di vista di un soldato che si arruola, convinto di fare la cosa giusta. Si ritroverà poi parte di un sistema di orrori molto più grande di lui che lo porterà a rivalutare il concetto di patriottismo e a provare disgusto verso tutti coloro che, una volta tornato, lo vedono come un eroe:

A hero of war, is that what they see?
Just medals and scars, so damn proud of me.

Dopo le provocazioni alla politica di Bush, i Rise Against non potevano rimanere in silenzio con l’elezione di Donald Trump. È così che nel 2017 viene pubblicato l’ottavo album, Wolves, in cui la politica del presidente americano viene contestata in tracce come Welcome to the Breakdown e How Many Walls. Quest’ultima è un chiaro riferimento all’intenzione di Trump di costruire un muro per blindare il confine americano con il Messico.

How many walls can you put up?
How many guns ‘til you feel safe?
How many times can we watch this story over, and over, and over again?
And how many years have we wasted counting the lies that we’ve been fed?

La violenza come condizione umana inevitabile

Con gli otto album e la loro filosofia di vita, i Rise Against hanno infranto quello stereotipo che mette in relazione il loro tipo di musica con uno stile di vita sfrenato e superficiale. La band è consapevole di questi preconcetti ma rimane decisa nell’utilizzare il mezzo musicale per puntare il dito verso quelli che devono essere considerati i “veri cattivi”.

La “rivoluzione sobria”, a cui facciamo riferimento nel titolo, non riguarda unicamente la condivisione dei principi dello Straight Edge. Nel maggio 2017 la band avrebbe dovuto svolgere le riprese del videoclip di The Violence, brano che parla della violenza come condizione umana inevitabile, condizione alla quale, però, possiamo resistere e opporci. La location del video avrebbe dovuto essere un campo privato in cui erano stati depositati i busti dei quarantatré presidenti degli USA, opere precedentemente appartenute al Presidents Park, ormai smantellato. Il permesso precedentemente accordato per le riprese venne poi revocato con l’accusa al gruppo di voler diffondere un messaggio e un video “anti-governo”.

La violenza e l’oppressione sono condizioni umane inevitabili. Ma i Rise Against forniscono una risposta diversa da quella che ci aspetteremmo, dimostrando, ancora una volta, come spesso si punti il dito contro alcune categorie solo perché “sotto l’effetto” di determinati stereotipi. A volte la vera violenza e gli eccessi arrivano da parti della società che vengono normalmente additate come “buone”.

Are we not good enough?
Are we not brave enough?
Is the violence in our nature just the image of our maker?
Are we not good enough?
Are we not brave enough?
To become something greater than the violence in our nature?

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