Ridare voce alle donne del mito: “Circe” di Madeline Miller

In Circe Madeline Miller restituisce una voce e un arco narrativo a un personaggio relegato ai margini della cultura classica. L’intento dell’autrice, già perseguito in passato da opere come “Medea” di Christa Wolf, è quello di effettuare una rilettura della mitologia e dell’epica greca in chiave apertamente femminista, affiancando a un accurato esame delle fonti spazi di commento sulla condizione femminile, i quali si poggiano sulla condizione di astrazione temporale del mito per assumere valenza universale.

Non mi sorprese come venivo ritratta: la maga altezzosa annichilita di fronte alla spada dell’eroe, inginocchiata a supplicare pietà. Le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo o piangiamo.

All’interno della letteratura epica greca, Circe è una delle tante comparse dell’Odissea, la maga amante di Odisseo che trasforma i suoi compagni in maiali. La sua funzione nella storia è pari a quella di altre donne dei poemi omerici, quali Calipso o Nausicaa: essere innanzitutto un oggetto del desiderio e, in seguito, fornire un ostacolo il cui superamento può far avanzare l’arco narrativo del protagonista. Questo stereotipo si è propagato, tanto tristemente quanto tenacemente, fino alla cultura popolare odierna, al punto da acquisire una denominazione propria: “women in refrigerators, ossia donne che, nei fumetti contemporanei, hanno subito abusi, violenze o a cui è comunque stato impedito di esprimere il proprio potenziale al fine di dare risalto al protagonista maschile. 

Con questo romanzo Madeline Miller restituisce a Circe un passato e un futuro al di là dell’episodio omerico, facendola diventare un personaggio a tutto tondo degno di un arco narrativo indipendente in cui, semmai, sono eroi come Odisseo o Giasone ad essere di passaggio. L’autrice si sofferma su un aspetto che nell’Odissea assume una connotazione particolarmente negativa – il potere magico che Circe esercita sull’isola di Eea e sulle altre persone – e lo rende invece parte intrinseca della sua identità.

Pharmakeia, così si chiamano queste arti, poiché hanno a che fare con i pharmaka, quelle erbe con il potere di operare mutazioni nel mondo, quelle che spuntano dal sangue degli dèi così come quelle che crescono comunemente sulla terra. Saperne estrarre la potenza è un dono, e non sono il solo a possederlo. […] Circe è l’ultima, e ne è la riprova.

Circe, figlia del dio del sole Elios e della ninfa Perseide, è inizialmente considerata un’anomalia all’interno della cerchia di immortali di cui fa parte: possiede infatti un temperamento indipendente e un’affinità con il mondo dei mortali e della natura, caratteristiche di eccentricità che la conducono in esilio sull’isola di Eea. In quel luogo, tuttavia, Circe trova la propria dimensione, affina i suoi poteri e li potenzia, affiancandoli a uno studio meticoloso della vegetazione e dell’ambiente circostante. Insomma, Circe è a tutti gli effetti una strega. Rendendola pienamente consapevole delle sue potenzialità, Miller la inserisce all’interno della rivendicazione femminista della figura della strega in quanto donna dotata di conoscenze — teoriche e pratiche — che le fanno acquisire un alto livello di autodeterminazione.

Alla luce di questa rilettura, anche l’episodio omerico della trasformazione dei compagni di Odisseo in maiali assume ben altra valenza, ricollegandosi a un tema tanto strettamente attuale quanto onnipresente nella cultura classica: quello della violenza sessuale. L’unico aspetto della storia di Circe entrato a far parte della cultura popolare è esaurito in poche pagine, con una serie di taglienti osservazioni che ribaltano completamente aspettative e conoscenze pregresse del lettore.

Quando ripassavo accanto al porcile, i suoi compagni mi fissavano con facce supplichevoli. Gemevano e strillavano, e premevano i grugni a terra. Ci dispiace, ci dispiace. Vi dispiace essere stati catturati, dicevo io. Vi dispiace avermi creduta debole, ma vi siete sbagliati.

Lo stile di scrittura di Circe va di pari passo con il contenuto: l’autrice opera una commistione tra poesia e prosa, tra echi della lirica greca e un gusto tutto contemporaneo per i passaggi evocativi e contemplativi tipici della literary fiction. La narrazione, in quanto focalizzata sulla storia di un personaggio immortale, assume un respiro estremamente ampio, che compensa la lentezza del ritmo con una eccezionale densità di significati anche nei punti più statici. 

Si può indubbiamente apprezzare un romanzo come Circe con alle spalle un bagaglio di conoscenze della mitologia e della letteratura greca, ma la sua fruizione non è preclusa a chi non ha conoscenze pregresse in questo campo. Semmai, l’avvicendarsi di personaggi ed episodi già conosciuti potrà risultare a un certo punto un patchwork poco gradevole agli occhi dei classicisti più incalliti, ma il taglio peculiare con cui queste vicende vengono raccontate rende comunque interessante l’esperienza di lettura.

Il primo romanzo di Madeline Miller, La canzone di Achille, aveva avvicinato il pubblico all’Iliade sovrapponendosi alla tematica LGBT+; Circe, d’altro canto, risente dell’impatto del movimento #MeToo e delle rivendicazioni femministe che ne conseguono. Nessuno dei due libri, tuttavia, snatura l’epica classica a favore dell’etica contemporanea; al contrario, questi temi emergono dalla capacità insita del mito di essere sottoposto a molteplici letture e rielaborazioni, senza perdere mai il proprio status universale.


FONTI
Madeline Miller, Circe, Sonzogno, 2019

https://www.lby3.com/wir/ 


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