Il Cile tra proteste e abusi di potere

Il Cile è un paese dell’America meridionale, la forma di governo adottata è di una Repubblica Presidenziale e l’attuale presidente in carica è Sebastián Piñera. Dal 18 ottobre 2019 sono iniziate numerose proteste per le vie di Santiago, capitale del Cile, tutt’ora in corso e sono arrivate anche ad altre città come Valparaíso, sede del Parlamento, Concepciòn e Coquimbo.

I motivi sono collegati al sistema sociale e governativo cileno e i manifestanti sono oggi più decisi che mai a cambiare la propria vita.

I perché delle proteste

Le proteste sono iniziate apparentemente a causa del piccolo aumento del costo del biglietto della metropolitana di Santiago valido solamente nelle ore di punta, si è infatti passati da 800 a 830 pesos cileni, che equivalgono circa a 0,98€ fino a 1,02 €. Sembrerebbe quindi un motivo non importante, soprattutto per la poca rilevanza economica. In realtà, un piccolo aumento come questo rappresenta un’ulteriore difficoltà per i cileni a coprire le esigenze primarie della vita quotidiana, dato l‘alto costo della vita e i bassi salari che ricevono la maggior parte dei lavoratori.

Così, il 7 ottobre, tantissimi studenti liceali di Santiago hanno iniziato a entrare in metropolitana senza pagare il biglietto, creando il caos assoluto e iniziando le proteste che pochi giorni più avanti si sarebbero estese anche ad altri settori della società. Gli studenti però non lamentavano solo l’aumento del costo dei biglietti ma anche un sistema educativo non all’altezza delle loro aspettative e strutture scolastiche poco funzionali.

Dopo neanche una settimana, il presidente cileno ha deciso di sospendere la legge appena approvata sul costo dei biglietti dei trasporti ma questo non è servito a fermare le proteste: infatti, l’aumento è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le proteste sono in realtà iniziate per un malcontento generale della popolazione, incrementato dal tempo.

Tra le principali cause di malcontento i cileni lamentano una disuguaglianza economica molto marcata, che ha avuto inizio durante il XVI secolo, in seguito alla colonizzazione spagnola. Quando i colonizzatori arrivarono in Sudamerica, la maggior parte delle terre vennero affidate a ricchi europei, che con il passare del tempo andarono a costituire la classe borghese cilena. Quando il Cile riuscì finalmente a ottenere l’indipendenza nel 1818, il sistema amministrativo spagnolo continuò a essere utilizzato. Questa volta però da una parte c’erano i padroni delle grandi aziende agricole e dall’altra i peones, cioè i lavoratori agricoli che non sarebbero mai potuti arrivare ad essere i capi.

Oggi questo sistema si è ormai radicato: la distribuzione delle ricchezze e delle risorse e il sistema giuridico-legale del Cile tendono a favorire alcune classi sociali più di altre. La classe media cilena è composta in maggioranza proprio da quei lavoratori che stanno attualmente protestando contro l’enorme distanza che esiste tra i benestanti e la working class: la maggior parte degli operai non riesce a fare carriera, appartenendo a una classe media che rimane immobile e che non può essere dinamica.

Inoltre, i cileni lamentano i bassi salari: lo stipendio minimo, regolarizzato dalla legge, è di 301 mila pesos cileni (370€) ma, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica del Cile, più della metà dei lavoratori ottiene uno stipendio non superiore ai 400 mila pesos (490€), che sono molto pochi considerando l’alto costo della vita in Cile. Per molte persone il costo dei trasporti rappresenta infatti il 30% del loro stipendio. Il malcontento è poi aumentato a causa dei recenti aumenti del costo dell’acqua e della luce.

I manifestanti protestano contro il governo di Piñera anche perché, quando è stato eletto nel marzo del 2018, aveva promesso numerose riforme sul sistema didattico, sanitario e fiscale e una riforma sul sistema pensionistico privato, che in realtà non sono mai state attuate. I cileni si sono, così, sentiti presi in giro da un presidente che si è dimostrato molto bravo con le parole ma poco concreto nei fatti.

Il comportamento di Sebastiàn Piñera:

Negli ultimi giorni, il presidente del Cile è stato molto criticato dalla popolazione ma anche dagli stessi membri del suo governo per le sue dichiarazioni riguardo le proteste. Ha infatti affermato:

Siamo in guerra contro un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun limite.

Questa frase ha suscitato scalpore e indignazione per l’utilizzo delle parole “guerra” e “nemico”: il presidente ha infatti utilizzato “guerra” in modo inappropriato riferendosi alle proteste di questi giorni e la parola “nemico” per riferirsi a chi dovrebbe in realtà proteggere e ascoltare, cioè il suo popolo.

Sabato 19 Ottobre il presidente ha dichiarato lo stato d’emergenza del paese e ha imposto un coprifuoco dalle 22 alle 7 della mattina, che è stato però revocato nei giorni scorsi. Inoltre, ha inviato centinaia di militari per le vie di Santiago al fine di riuscire a controllare le manifestazioni, usando soprattutto gas lacrimogeni, proiettili di gomma e manganelli.

La violenza delle manifestazioni e gli abusi di potere

La maggior parte dei manifestanti sta protestando pacificamente, con l’intenzione di ottenere cambiamenti significativi per la propria condizione. Una minoranza della popolazione agisce invece in modo violento: viola luoghi di culto come le chiese, saccheggia supermercati e negozi, danneggia i trasporti e causa incendi. Questi gruppi non pacifici sono usati dal governo come pretesto per utilizzare a sua volta la violenza. Polizia e militari cileni stanno usando mezzi violenti non convenzionali per cercare di fermare i manifestanti – e non solo quelli più aggressivi – , non facendo distinzioni e abusando del loro potere: i protestanti sono infatti torturati, maltrattati e abusati. Sono state arrestate tantissime persone, i feriti sono migliaia e i morti sono per adesso più di 20. La situazione peggiora ora dopo ora.

La denuncia dell’ONU

L’alto numero di feriti e il modo in cui sono state utilizzate le armi, sembrano indicare che l’uso della forza è stato eccessivo e ha violato il requisito di necessità e proporzionalità.

É ciò che ha dichiarato l’ONU dopo aver mandato un team di esperti in Cile e aver constatato la drammatica situazione della popolazione. Il team ha infatti comunicato:

Siamo profondamente preoccupati per le notizie che ci arrivano circa gli abusi contro ragazzine e ragazzini; maltrattamenti e percosse che possono costituire fattispecie di tortura. Sono giunte altresì notizie di violenze sessuali subite da donne, uomini e adolescenti.

L’ONU ha quindi allertato la comunità internazionale circa i violenti e ingiusti provvedimenti cileni. Inoltre agli inizi di novembre, il settimo tribunale penale di Santiago ha avviato un’indagine contro il presidente Piñera per crimini contro l’umanità. Il governo cileno è quindi sotto accusa.

L’unica soluzione che sembra esserci per fermare questo caos è un cambiamento profondo del governo e del sistema sociale cileno, non facile però da raggiungere. La popolazione non vuole perdere altro tempo: vuole essere ascoltata e necessita di azioni immediate, quelle che il presidente sembra non voler attuare.

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