Il “Great pacific garbage patch” è un gigantesco accumulo di detriti in buona parte composto da plastica. Si stima che si trovi fra il 135° e il 155° meridiano Ovest, e fra il 35° e il 42° parallelo nord. La sua possibile estensione oscilla tra i 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km². I primi a dare la notizia di questa grande isola di sporcizia nel mezzo dell’Oceano Pacifico furono i ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration in un documento del 1988, dopo alcune ricerche condotte in Alaska.
Negli anni, questa grande macchia di plastica si è espansa fino a determinare un potenziale pericolo per le specie marine che popolano quella zona dell’Oceano Pacifico. Tra le principali cause di questo enorme disastro ambientale, oltre alla conclamata azione umana diretta (ovvero chiunque scarichi volontariamente rifiuti in canali che poi confluiscono direttamente o indirettamente nell’Oceano) ci sarebbe il flusso di navi cargo che ogni giorno transita lungo quel tratto di acqua e che, in caso di correnti incontrollabili e di ribaltamento, scarica inevitabilmente i materiali trasportati lungo la corrente.
L’allarme e l’interesse che si sono generati attorno a questo vasto angolo di mondo in anni recenti è dato in gran parte dal fatto che questa grande isola di detriti stia gradualmente assumendo delle dimensioni tali da poter essere vista anche dallo spazio e in molti tra attivisti, ricercatori e scienziati si stanno attivando per cercare una possibile soluzione.
I primi test del sistema non hanno però dato i risultati sperati: nelle settimane in cui la grande rete è stata testata in mare furono raccolti molti meno rifiuti di quello che si aspettavano i finanziatori e i costruttori del progetto. Gli organizzatori però non si dimostrarono preoccupati, potendo contare sull’ingente somma di finanziamenti che avevano ricevuto, tra i quali figura anche un sostanzioso finanziamento ad opera del fondatore di PayPal, l’imprenditore Elon Musk, e da alcuni grandi investitori della Silicon Valley e di altre start-up tecnologiche. Durante un test di ispezione della rete venne trovato un pezzo danneggiato che portò al fallimento della sperimentazione, ma questo non scoraggiò Slat.
Recentemente, il 2 Ottobre del 2019, il creatore del progetto ha rilasciato un comunicato ufficiale nel quale si legge che la rete di Ocean Cleanup ha finalmente funzionato. Ci sono voluti diversi test tra il periodo di raccolta dei finanziamenti e di costruzione, tra cui gli ultimi, nel 2018, hanno cominciato a dare prove concrete del suo funzionamento. Nel comunicato Slat afferma che “Ora disponiamo di un sistema di auto-contenimento che passivamente raccoglie e mette insieme gli oggetti di plastica”.
La contaminazione dell’Oceano Pacifico è un argomento che fa discutere gli scenziati dalla seconda metà degli anni ’80, e ad oggi non si è ancora in grado di attribuire le giuste misure né tantomeno di indagare gli innumerevoli effetti che l’inquinamento oceanico può causare. Però si sa che questo comporta numerosi problemi all’ecosistema marino di quella zona di oceano, con effetti ancora poco chiari sulle carni dei pesci di cui l’uomo, insieme con altre specie animali, si nutre. Per il fondatore del progetto si tratta di una questione urgente e di importanza capitale e la Ocean CleanUp è solo il primo passo verso il futuro della lotta all’inquinamento dei mari e degli oceani.