Umani tra le macchine intelligenti: il dibattito sulle prospettive dell’Intelligenza Artificiale

Il 29 agosto, a Shangai, si è svolto un dibattito sulle prospettive future dell’Intelligenza Artificiale e del rapporto tra umani e macchine. Si sono incontrati il co-fondatore di Alibaba, Jack Ma – l’uomo più ricco della Cina – ed Elon Musk, noto ed eccentrico visionario che ha fatto delle sue intuizioni il fondamento di una fortuna economica e tecnologica che, ad oggi, compete con le più grandi corporation del monopolio tecnologico.

È stato un confronto testa a testa, orientato sui noti punti fissi del dibattito contemporaneo in materia di “Artificial Intelligence” (AI) e problematiche socio-morali ad essa associate. Non è mancata la spontanea e colloquiale esplorazione dei più drammatici territori di frontiera. Quegli eventi emergenti negli ultimi anni che mettono al centro la necessità di rintracciare le linee argomentative e ideologiche sul problema dell’automazione delle intelligenze. Lavoro, istruzione, problem solving, ma anche viaggi nello spazio.

Cosa resta dei good old days della mente umana e dell’antropocentrismo – si chiedono i due imprenditori – quando non solo prevediamo, ma testimoniamo coi nostri occhi la massiccia venuta al mondo dei potentissimi supplenti delle facoltà umane? L’allievo supererà il maestro?

Elon e Jack si sono mantenuti su posizioni radicalmente diverse. Da una parte il CEO di Tesla e Space X manipola i dati e le statistiche del mondo contemporaneo a sostegno della visione per cui qualcosa di più intelligente/abile di noi già esiste. Si tratta quindi solo di trovare il modo, nella corrente di questo sviluppo tecnologico esponenziale, di far sopravvivere la mente e la coscienza umane. Dall’altra il ricco filantropo asiatico sostiene, con affermazioni di sapore più umanistico, che il primato semantico e cognitivo dell’homo faber è lontano dall’essere superato, in forza delle condizioni esclusivamente biocentriche che stanno alla base di ciò che noi conosciamo come “intelligenza”. In poche parole, Musk parla di futuro bionico e Ma di non eliminabilità e predominanza del fattore-bio.

L’intervento di Elon Musk

Elon comincia chiarendo un fatto importante: “AI” non equivale a “smart human”. Il più grande errore dell’umanità contemporanea è quello di credersi intelligente. Ma nelle frange quotidiane di questa sterminata info-sfera, nella manipolazione di quei mucchi di informazione (Big Data) che ridisegnano in continuazione i percorsi e le identità del mondo, le uniche ad essere intelligenti sono le macchine. Virtuali e reali. Quelle che riescono a creare raggruppamenti, a fare previsioni e costruire modelli sulla base di un numero di dati che va nell’ordine di decine o centinaia di zeri.

Mai prima d’ora l’identità del mondo era dipesa in tal modo dalla capacità di calcolo della tecnologia in auge. Mai prima d’ora l’identità del mondo e degli affari del mondo è stata così precaria, inconsistente, deambulante, agli occhi esterrefatti degli umani. Tutto cambia e si riequilibra nel fascino di grandezze e soluzioni incomprensibili, imponderabili per la nostra mente. Questo è il mondo di quello che potremmo chiamare un nuovo “sublime tecnologico”, il sentimento che nasce dall’espressione di una potenza digitale che annienta ogni categoria ed espressione della lenta e limitata intelligenza umana.

Secondo Elon, in questo mondo di macchine ad arbitrio diretto, bisogna adeguarsi al vecchio adagio del “if you can’t beat them, join them”.

Lo sanno bene i ricercatori del suo progetto “Neuralink”. Questi lavorano per lo sviluppo di interfacce neurali impiantabili che rendono sempre più viva l’immagine fantascientifica dell’uomo-cyborg. Il co-founder di Open AI – organizzazione di ricerca no profit su un’AI benevola e sostenibile – sa bene che il “futuro della coscienza” non è tra le mani imbranate degli esseri a base carbonio. È invece nelle logiche del progressivo miglioramento delle tecnologie infinitamente più brave di noi in compiti che prima reputavamo nostri.

Siamo stati battuti a scacchi, a go, le automobili guidano senza e meglio di noi. I software riconoscono e classificano le figure presenti nelle immagini. Gli algoritmi gestiscono i mercati finanziari. Addirittura i programmi impiantati nei nostri telefoni ascoltano le nostre richieste e vi rispondono meglio di come farebbe uno specialista. Inoltre, i millisecondi del lavoro di una macchina sono lunghe quanto eternità umane di lavoro.

In parte, già siamo dei cyborg (gli smartphone, le banche dati e i computer sono i contenitori della nostra “mente estesa”). Dobbiamo proseguire su questa strada e, in un’ottica transumanista, migliorarci. Questo allo scopo di mantenere, se non un vantaggio, almeno un rapporto di coesistenza pacifica con quella rete olimpica di macchine virtuali estremamente più intelligente di noi. Una rete capace, veloce e perfettibile.

L’intervento di Jack Ma

Jack Ma viaggia su altri percorsi. Se per Elon lo studio sull’IA deve aiutarci a capire come aggiornarci, per Jack esso ci permette di comprendere noi stessi, che resteremo sempre su un livello superiore. Non bisogna alterare le nostre capacità. Bisogna invece sfruttare intensivamente quelle capacità che una macchina non potrà mai emulare, per evitare che di esse, in un mondo “logico”, non ci sia più bisogno.

L’intelligenza umana ha essenzialmente due caratteristiche fondamentali: l’amore (ciò che Jack chiama “Love Intelligence”) e la creatività. Le previsioni di cui si serve Elon sono quasi sempre sbagliate. Non ci si azzecca quasi mai nel leggere il futuro, specie quando in gioco ci sono le pretese transumanistiche e macchinocentriche degli eccitati positivisti di un progresso che, in realtà, non porta a nulla di così alieno.

Certo, la nostra è un’epoca di stupore e fiati sospesi, di macchine capaci e imprenditori furbi, che ridisegnano continuamente le logiche di potere e di mercato.  Orientano tutto verso il quantitativo (i dati e la capacità di processarli) invece che verso il qualitativo (il “buono” all’inizio di “buon governo”, “buon diritto”, ma anche il “bello” all’inizio di “bell’idea”, “bel modello”…).

Ma l’essere umano è creativo: egli dovrebbe essere più ottimista sulla sua facoltà cognitiva. L’IA non è così titanica, sublime: gli esseri umani sono in grado di capirla. L’intelligenza umana deve lavorare a due obiettivi: migliorarsi sempre di più “nei propri termini” e garantire un futuro al pianeta che abita. Educazione ed ecologia sono il futuro delle persone intelligenti.

Elon risponde che Jack crea troppe aspettative intorno a quel pezzo da museo che è la “civiltà umana”. La civilizzazione è stato un processo lunghissimo, affannoso e lento, che solo ora, finalmente, può dirsi in via di conclusione. In termini computazionali, l’essere umano è stato un “programma d’avvio” per una super-intelligenza digitale, un pezzo di codice per cominciare la vera evoluzione. Diremmo che come il nostro patrimonio genetico è stato solo un necessario ma piccolo patrimonio informativo per la nostra evoluzione neocorticale individuale (la cultura), così l’intelligenza biologica è l’ignorante e povero ma affettuoso genitore che ha pagato gli studi al figlio, che presto diventerà specialista in vattelappesca. L’essere umano come spinta iniziale per un percorso ancora tutto da fare.

Questi, in estrema sintesi, sono stati gli antagonismi concettuali del dibattito. Si è scesi più nello specifico parlando di lavoro, per cui entrambi sono sostanzialmente d’accordo nell’affermare che in futuro ci sarà bisogno di meno forza lavoro umana. Bisognerebbe quindi finalmente togliersi gli scarponi e dirigersi verso la disoccupazione. Si è parlato di educazione, per cui Jack consiglia un orientamento verso la stimolazione sempre più intensiva della nostra inimitabile creatività. Per Elon si tratta invece di ridurre gli errori di predizione dei nostri figli, avendo più controllo sul futuro.

Chi ha vinto il confronto?

Sicuramente entrambe le argomentazioni partivano da punti di vista radicalmente diversi, ma Elon Musk sembrerebbe dimostrare più aderenza alla realtà. La visione “umanistica” di Jack Ma rischierebbe di essere troppo vicina ad uno slancio onirico-utopico e di incagliarsi sulle nostre vecchie pretese di antropocentrismo. Elon Musk, nell’affermare che “sfidare un computer a go è come sfidare Zeus”, intende che, dati alla mano (cosa che è mancata al suo interlocutore), in ciò che abbiamo creduto essere “inimitabilmente umano” siamo stati o saremo a breve superati dalle macchine.

Jack risponde che il go è stato fatto per il gioco tra esseri umani. Sfidare un computer che vince a go equivale a pretendere di battere in velocità un’automobile. L’automobile non vince perché “corre” nel senso umano, ma perché fa altro, “funziona” in modo diverso. La nostra superiorità semantica, per Jack, la nostra capacità di dare contenuti ai nostri pensieri, è incomparabile con la capacità sintattica delle macchine, che sono solo in grado di manipolare simboli.

Ma l’obiezione a questa intransigenza sembra facile. Non sappiamo definire qual è il quid che determina la nostra intelligenza, che vogliamo chiamarlo “creatività” o “coscienza”. Allora perché siamo così convinti che non possa essere implementato su una macchina in silicio e non organica?

Elon Musk resta più vicino ai dati, alla consapevolezza che l’essere umano diventa sempre meno forte. Del resto, non c’è differenza qualitativa tra l’intelligenza biologica e quella artificiale, ma solo un divario quantitativo che cresce e che distanzierà due tipi di realtà. Quella digitale, un videogame sempre più privo di pecche, e quella biologica, che è

come un videogioco in cui la grafica è eccellente, la trama confusa e il respawn lentissimo.


CREDITS

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Copertina: del redattore

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